[CONTINUA DAL 2 OTTOBRE]
È pure vero che chi difende a oltranza il Doppiaggio, spesso, non è meno nostalgico e retrò della maggioranza degli avversari di questa forma d’Arte Drammatica. Ammetto d’essere, in questo campo, fin troppo passatista. Al punto di insospettirmi e di allarmarmi quando sento, anche solo parlare, di “ridoppiaggi”. È più memorabile il Gable di Emilio Cigoli che dice alla fine di Via col vento “francamente me ne infischio”, lasciando di stucco Scarlett O’Hara sulla porta, o il fiacco Luigi Vannucchi della riedizione (presto finita nel dimenticatoio) con il suo “francamente, cara, non me ne importa niente”? Chi può avere dubbi? Per non parlare del “ridoppiaggio” dei Classici Disney: nonostante l’impegno di ottime voci, non c’è paragone tra le nuove, e le vecchie, Avventure di Peter Pan, dove Stefano Sibaldi è stato un impareggiabile Capitan Uncino e Vinicio Sòfia, che “fa” Spugna, è un capolavoro di vocale simpatia.
La perdita della colonna sonora del doppiaggio originale, è una sciagura per i film. Una di quelle “barbarie” che passa inosservata, se non viene, addirittura, applaudita. Come per la discografia delle Opere Liriche, si dovrebbe invece aver il diritto di riascoltare la versione preferita dei propri amati film “tradotti”.
Purtroppo l’ondata di puritanesimo crociano contro i Doppiatori li ha costretti per decenni a un’operosa clandestinità. Nell’edizione che ho sottomano del Dizionario del cinema italiano di Gianni Rondolino non si citano né Giulio Panicali (spesso Kirk Douglas, Robert Mitchum, e un superlativo James Mason in Lolita di Kubrick), né Gualtiero De Angelis, che ha prestato la voce ai loro esordi a vedette come Mastroianni o Girotti e perfino a Alberto Sordi, e che mai nessun italiano potrà separare dalle fattezze di Cary Grant, James Stewart, Henry Fonda, Dean Martin e Errol Flynn.
Emilio Cigoli (1909-1980), il più grande e prolifico di tutti i nostri Doppiatori, in bilico tra vecchio e nuovo stile di recitazione, ma asciutto, mai “fiorito”, ha “sincronizzato” più di 7000 film. Per la cinematografica italiana, può essere paragonato al ruolo che, nell’editoria, ha avuto Ervino Pocar, infaticabile traduttore di Kafka, Hoffmann, Thomas Mann e centinaia di altri classici di lingua tedesca. Cigoli è stato per John Wayne, Gary Cooper, Peck, Gable, Charlton Heston e Jean Gabin quello che è stato Croce per Hegel, Baudelaire per Poe, Italo Calvino per Queneau.
Sostiene Borges, il massimo detrattore del Doppiaggio: “la mia conoscenza dell’inglese è meno perfetta della mia ignoranza del russo, eppure non mi rassegnerei a rivedere Alexander Nevsky in una lingua diversa dalla primitiva”. Naturalmente, quando ha scritto questo passo, non prevedeva che la cecità gli avrebbe impedito di rivedere il film, e che non avrebbe potuto più leggere nessuna didascalia. Ma Borges ha mai ascoltato Emilio Cigoli nella parte del protagonista, Nikolay Cherkasov? C’è chi ancora trema per la potenza della battuta cigoliana: “Ha forse Paura, la superba Novgorod?”. Cigoli, caso unico, ti faceva sentire pure le maiuscole. Aveva i polmoni in Cinemascope, l’ugola in sensurround.
La pattuglia dei Grandi del Doppiaggio già al principio degli anni 80 si era assottigliata: ci hanno lasciato via via Carletto Romano (straordinario doppiatore di Jerry Lewis, Bob Hope, Peter Ustinov), Lauro Gazzolo, vecchietto di mille Western, Augusto Marcacci (imperdibile “come” Clifton Webb o Alec Guinness), Sergio Ruffini (Chaplin e Leslie Howard), Cigoli, De Angelis e Panicali (è un piacere riascoltarli tutti e tre, insieme, nel vecchio Beau Geste), Mario Pisu, Gino Cervi (Orson Welles, Laurence Olivier), Lydia Simoneschi (da Scarlett O’Hara a Maga Magò, passando per Bette Davis e Ingrid Bergman, la “regina” delle doppiatrici), Rosetta Calavetta (Marilyn Monroe, Ava Gardner, Doris Day), Tina Lattanzi (Greta, Marlene, Crawford), Stefano Sibaldi (Frank Sinatra, Danny Kaye, Glenn Ford, Fred Astaire), Renato Turi (grande voce per Walter Matthau), Giorgio Capecchi, specializzato nel ruolo del “burbero” (Charles Laughton, Edward G. Robinson, Spencer Tracy), Nando Gazzolo (David Niven, e perfino un canterino Rex Harrison in My Fair Lady), Mario Feliciani, Pino Locchi (Sidney Poitier, Tony Curtis e Sean Connery) e Peppino Rinaldi, il più eclettico e insostituibile tra i “nuovi”, sensazionale nel “restituirci” Jack Lemmon e nell’inventarsi il Peter Sellers franciosizzante della saga di Clouseau, ma che “è stato” anche Paul Newman, Marlon Brando, Richard Burton.
L’epoca d’oro dei Doppiatori è tramontata, ma non solo per ragioni anagrafiche: il loro Star System è stato triturato, sminuzzato a colpi di tv pubbliche e private e, ora, di piattaforme. Sono scomparsi i vecchi campioni della “dizione d’arte” insieme a quegli artisti della Voce che più hanno contribuito allo svecchiamento della recitazione in italiano, percependo le novità e adeguandosi alla nuova ondata attoriale che proveniva soprattutto dagli Stati Uniti. Hanno fatto scuola tra le generazioni più giovani, e pochi se ne sono accorti.
La vecchia guardia lascia un vuoto che solo il confronto con i film originali può far capire.
Vorrei concludere infatti con una piccola eresia: senza le versioni fiammeggianti dl Cigoli, De Angelis, Rinaldi, Simoneschi e gli altri che ho citato, i classici di Hollywood perdono qualche volta, se non spesso, la dimensione della profondità e rivelano in pieno il loro formalismo. La loro astratta perfezione, sembra quasi quella dei Documentari: mentre noi abbiamo bisogno di crogiolarci nel Mito del Cinema, e in questo il Doppiaggio, mitologico e fantastico per definizione, ci soddisfa pienamente.
[Sento il dovere di segnalare, alla fine di questo mio intervento, preparato per il “Dubbing Glamour Festival” di Genova, lo straordinario lavoro fatto da Antonio Genna nel suo sito: Il mondo dei Doppiatori, un’enciclopedia fondamentale per tutti gli amanti o i curiosi della materia, che, dai primordi del doppiaggio, arriva fino ai nostri giorni]
[in copertina: caricatura di Joan Crawford, di Umberto Tirelli]