Afferma Robert Graves: “Nel folklore dell’Europa del Nord, l’Aringa è preferita alla Balena, come re del mare”. Tuttavia, va considerata la possibilità che l’Aringa non si contenti affatto d’essere eletta solamente “Re del Mare”, ma miri alla sovranità e al dominio dell’intero Pianeta. Di questa eventualità parla Sebald ne Gli Anelli di Saturno, un autore e un libro che non finirò mai di raccomandare a lettori e lettrici.
Se le Aringhe, anche solo per pochi anni, diventassero invulnerabili e immortali, la Terra non esisterebbe più.
Ce lo ricorda uno stupefatto, sublime viaggiatore novecentesco, Winfried Georg Sebald:
“In una Storia Naturale del Mare del Nord [Vienna, 1857] leggo che nel corso della primavera e dell’estate, le aringhe a milioni e milioni risalgono dagli oscuri abissi e, coricate le une sulle altre a strati, depongono le uova nelle acque costiere e nei bassi fondali. Segue poi, sottolineata da un punto esclamativo, l’affermazione secondo cui ogni femmina di aringa depone settantamila uova che, se potessero svilupparsi e proliferare tutte senza trovare ostacoli, produrrebbero presto, secondo un calcolo di Buffon, una quantità di pesci pari a venti volte il volume della terra. A più riprese le cronache segnalano anche annate nelle quali l’intero comparto della pesca dell’aringa ha rischiato più volte il tracollo, per via di eccedenze addirittura catastrofiche”.
Il piano strategico dell’Aringa – intesa come specie –, è semplice e istintivo: l’invasione e la conquista del Pianeta. Provvidenzialmente, l’incuria, i predatori marini, e i pescherecci del Nord, impediscono quest’avanzata esiziale per gli stessi Oceani.
L’Aringa però non è solo un Pesce conquistatore, un Pesce-Robur il quale, se non conoscesse ostacoli, s’ergerebbe a Padrone del Mondo. Rinverdendo altre, verniane, fantasie, quest’esemplare della sterminata fauna ittica è anche riuscito ad alimentare le speranze degli scienziati occidentali, perennemente alla ricerca di fonti d’Energia inesauribile.
“Quando la vita l’abbandona” – prosegue Sebald –, “una delle particolarità dell’Aringa è che, a contatto con l’aria, il suo corpo morto diventa luminescente. Questo singolare potere illuminante, simile alla fosforescenza, ma da essa sostanzialmente diverso, raggiunge l’acme pochi giorni dopo la morte e decresce con l’avanzare della decomposizione […]. Intorno al 1870, quando un po’ dappertutto fervevano i progetti per l’illuminazione capillare delle nostre città, due scienziati inglesi – i cui nomi, Herrington e Lightbown, curiosamente ben si confacevano al loro ambito di ricerca – studiarono questo strano fenomeno naturale nella speranza di poter ricavare, dalla sostanza luminosa secreta dalle aringhe morte, la formula per produrre una luce di natura organica capace di rigenerarsi da sé. Il fallimento di questo eccentrico progetto rappresentò […] un regresso che in fondo non merita menzione sulla via della cacciata – peraltro inarrestabile – delle Tenebre”.
Se il progetto di Herrington e Lightbown si fosse dimostrato realizzabile, immaginiamo quale sarebbe stato a partire della fine dell’Ottocento l’inconfondibile, pervasivo, “olezzo” delle nostre metropoli: a cominciare dalla più abbacinante di tutte, Parigi, la “Ville Lumière”.
Da tempo ci si interroga, ma credo senza aver trovato ancora oggi la risposta, sulla luminescenza delle Aringhe prive di vita e sulle sue cause “naturali”. Ma c’è più sfiducia adesso, tra i nostri contemporanei, sul contributo che questi Pesci smodati possono effettivamente offrire al Progresso Umano.