Nulla guarisce lo Iettatore. Destino tragico e insieme comico il suo, quindi: ben degno d’un Eroe dei Nostri Tempi.
Nella notevole novella di Gautier Jettatura (pubblicata a puntate dal 25 giugno al 23 luglio 1856 sul Moniteur universel, col titolo “Paul d’Aspremont, conte”), un giovane francese in trasferta a Napoli scopre casualmente di portare Scalogna. Si accorge che col suo “malocchio” sta uccidendo la fidanzata, da lui amatissima. Così, per cancellare il suo tristo sguardo porta-sfortuna, si abbacina gli occhi con uno stiletto rovente. Troppo tardi. Cieco, raggiunge a tentoni la camera della sua promessa. Ella é già sul catafalco. É appena morta. Allo iettatore non resta altro che precipitarsi da uno scoglio, sfracellarsi, annegare, e scomparire tra i flutti.
III- Le Leggi della Jettatura (2)
Una teoria, per essere scientificamente inoppugnabile, deve formulare predizioni che saranno poi tutte verificate, in ognuna delle osservazioni successive. Non ne esiste ancora una perfetta, che possa predire se uscirà rosso alla roulette. Ma il giocatore professionista, sopravanzando lo scienziato, sa che il rosso su cui ha puntato, non è uscito, perché qualcuno ha portato male.
Nel mondo magico del Gioco d’azzardo, la prima regola che si cerca è: come distrarre lo sguardo della Malasorte.
Tra l’Uomo e le carte, il lotto, la roulette, ci sarebbe dunque un’armonia paradisiaca, un’immediata e assicurata preveggenza, se non ci fosse stato il Peccato Originale che ha introdotto la Malasorte nel mondo, affidandogli le chiavi della Terra.
Col gioco insomma non tentiamo la Fortuna, ma la Malasorte. La tentiamo, nel senso che la induciamo in tentazione: in che altro modo se non peccando, se non contraddicendosi, potrebbe esserci a favore?
Un esempio: chiunque gioca al lotto, lo fa perché è convinto di vincere. Ha i numeri: non gli importa che ci siano probabilità matematiche contrarie, o probabilità a favore, che quei numeri escano. Solo la sfortuna, anche detta “Scalogna”, gli impedirà di diventare milionario. Se i suoi numeri non vengono sorteggiati, pensandoci a ritroso, scoprirà di aver subito l’influenza del Malocchio, o di non aver evitato incroci iettatòri con qualche menagramo. L’incontro con Tizio, la scappellata di Caio, l’occhiataccia di Sempronia, l’inavvedutezza di non aver osservato certi rituali, la perniciosa assenza di amuleti appropriati o l’oblio di radicati gesti apotropaici, hanno aggiunto all’urna altri numeri o bussolotti, in tale quantità da rendere impossibile la vincita. Se non fossimo tutti, intimamente, convinti che è così, nessuno di noi giocherebbe più al lotto.
Come ben sa il giocatore, miracolosa non è mai la vincita, miracoloso è che il Malocchio abbia guardato altrove.
Come afferma Francesco Algarotti nei suoi Viaggi di Russia, marinai e giocatori, che sono i più soggetti a jattura, “vorrebbono pur formarsi delle regole nelle cose soggette al caso”. C’è dunque, nella certezza che esista la jettatura, niente affatto una ripulsa anarchica contro le leggi di natura, o una rivincita dell’irrazionale sul razionale, quanto piuttosto, invece, proprio il contrario: la salda ipotesi che tutto sia riconducibile a una ragione.
Se non altro, a una ragione negativa: perché il superstizioso crede di norma che il successo in una faccenda delicata (e delicato può essere, in certe circostanze, anche battere un chiodo senza intaccare un’unghia), dipende da una sospensione benevola (o messa in opera a bella posta con scongiuri, amuleti e stratagemmi scaramantici) del flusso iettatorio, costante in tutte le esistenze.
Il nostro esserci o essere nel Mondo, si potrebbe dire parafrasando Heidegger, è sì, “dasein”, ma non nel senso dell’ esser gettati, bensì: d’esser jattati.
Insomma non esisterebbe proprio la Fortuna in positivo, ma essa si configura come un’assenza di cattiva sorte.
Si può dunque definire la Superstizione una “Scienza della Disgrazia”, la cui Norma fondamentale è stata a lungo indagata, ma – probabilmente – scoperta solo nel Novecento da un grande letterato fantastico: Dino Buzzati. Il quale, dopo aver attinto le vette della “paranoia” nei suoi racconti, ne trova traccia anche nelle Leggi Fisiche. “A ogni azione” – scrive Buzzati – “corrisponde una reazione uguale e contraria. Anche ogni attesa, ogni desiderio (che costituiscono indubbiamente delle azioni) mettono in moto, misteriosamente, delle forze contrarie, che si oppongono alle nostre intenzioni. Se uno aspetta con ansia il tram numero 8, io sono convinto che si determinano arcani ostacoli al suo arrivo”.
La Speranza, o meglio l’Aspettativa, è l’orizzonte entro cui si scaglia, come una folgore, la Jettatura. Che assume per perseguitarci anche una precisa “figura umana”: quella della Jettatrice, quella del Menagramo.
IV- La Patente
Contrariamente a quanti credevano alle fattucchiere, e poi reclamarono un pogrom generale contro la stregoneria, l’illuminato Nicola Valletta non chiese che fossero banditi, arrestati o bruciati i menagramo. Non si salva in quel modo, il malcapitato che ne rimane vittima. Anzi, può venirne del peggio, visto che non è mai stato chiarito dagli esperti, “se si possa jettare ed essere jettati dopo morti”. Il teorico settecentesco del Malocchio ritenne dunque che fosse sufficiente riconoscere gli Jettatori, per evitarli.
Infatti i guai peggiori – come le perdite dei famigliari più cari, lo smarrimento e la polverizzazione d’oggetti di valore, l’umiliazione in carriera, le “disgrazie, tempeste, dolori, pericoli, denti caduti, rotti cocchi, estinti cavalli, fontane disseccate, ed innumerevoli altri fatti” –, intervengono perché l’animo buono si affida, ignaro e senza precauzioni, alle potenze jettatorie, senza ravvisarle subito per tali.
Ci vuole, sollecita il Valletta, che si apra una scuola, dove gli “uomini di tutte le condizioni” imparino gli scongiuri e le profilassi atte a “fuggire gli jettatori”.
L’eco della proposta giunse fino a uno dei più geniali letterati italiani, Alberto Savinio, che suggerì alle autorità: “Perché non s’istituiscono corsi pratici contro la jettatura”?.
Ma: esiste, un sistema scientifico, collaudato, per “riconoscere” in quanto tale un Menagramo? Pare di sì, e si basa su un principio certo: il malocchio non è indolore neppure per chi lo jetta.
Per questo il previdente Antonino Schioppa era convinto si potesse cogliere i jettatori in flagrante, nell’atto stesso di tirartela: “nel momento del jettare per la maggior parte cangian di colore, e fanno altresì qualche movimentuccio, come di persona che abbia fatto uno sforzo […]. Se vi si faccia giusta attenzione, si scorgerà facilmente che alle volte abbassano il tuono e la lor voce diviene alquanto tremola: oh! Allora è segno sicuro che han jettato”.
Insomma “Jettare stanca”; non tanto però perché sia una forma faticosa di lavoro, quanto un ripetuto orgasmo triste, un precoce tic ejaculatorio.
[CONTINUA]