Nella Cronologia dell’Umanità, c’è una data precisa, a partire dalla quale l’Uomo fu finalmente e definitivamente annoverato tra le Bestie: il 24 novembre 1859, giorno nel quale Darwin terremotò gli ambienti scientifici pubblicando il suo L’Origine delle Specie, attacco mortale ad ogni biblico “creazionismo”.
Tuttavia, è destino di molte grandi scoperte, che poi si scopra ch’esse hanno poco d’originale: e anche questa ha dei precursori, dei pionieri teorici, e una sua preistoria, assai oscura e durevole. Ben prima di Darwin l’Uomo fu percepito come un Animale e le sue divergenze con il resto del Bestiario non vennero certo attribuite all’arbitrio di un Creatore, bensì alla logica della Natura.
Dobbiamo quindi retrodatare l’intuizione di Darwin: l’Uomo è ritenuto una Bestia tra le Bestie almeno da cinquanta o centomila anni.
I popoli considerati “primitivi”, nel passato come nel presente (quei pochi che sono rimasti) raramente hanno creduto che ci sia stata una Storia Naturale: per loro Uomini, Donne e Animali combaciano, anche adesso. Molto spesso gli invasori stranieri, i conquistadores di ogni nazione, o gli esploratori, furono ritenuti, dagli aborigeni in via di soppressione, degli “strani” Animali. Gli indios delle Americhe scambiarono gli Spagnoli predatori per un’unica bestia col loro cavallo, una specie di centauro, mai visto sotto quelle latitudini. «Quando i russi sbarcarono per la prima volta in una delle isole dell’ Alaska, gli indigeni li presero per seppie “a causa dei bottoni sui loro abiti”». A un nativo dell’Australia Centrale, narra sempre Frazer, fu scattata una fotografia. Quando la vide, riconobbe in essa il ritratto di un canguro. Non c’è differenza tra l’Uomo e il suo Totem, per le religioni primitive: perciò, per esempio, i Bororo del Brasile sono convinti “di essere degli uccelli dalle piume di un rosso sgargiante che vivono nelle loro foreste”. Mal sopportando la loro condizione di “bipedi implumi”, i Bororo “uccidono gli uccelli selvatici per le loro penne e, sebbene non vogliano ucciderli, spennano quelli addomesticati per ornare i loro bruni corpi nudi con le piume sgargianti dei loro parenti pennuti”.
La Teoria dell’Evoluzione asserisce che, decine di migliaia di anni fa, l’Essere Umano e la Scimmia hanno avuto un progenitore comune. Non sappiamo però, se fosse più Homo o più Scimmia. Quindi, dire che discendiamo dalle Scimmie è improprio, e vale anche l’inverso. Gli Antichi, però, (come i primitivi di ieri e di oggi) non erano in genere “evoluzionisti”. Pensavano che le scimmie fossero uomini, non che fossero i nostri antenati. E forse le scimmie ritengono altrettanto, ovviamente al contrario. “Se le scimmie potessero parlare”, argomenta Heine, “probabilmente affermerebbero che gli uomini sono solo scimmie degenerate e che l’umanità è una razza scimmiesca corrotta, come secondo gli olandesi la lingua tedesca è un olandese storpiato”. Una tesi che ricorda l’invenzione distopica del Pianeta delle scimmie, il romanzo che Pierre Boulle scrisse un secolo dopo Heine.
Benché l’Evoluzionismo sia entrato ormai nel buonsenso comune della Civiltà Occidentale, le grandi Religioni Monoteistiche continuano ad avversare questa teoria. Per evidenti motivi: fa a meno di Dio; e, in più, sbugiarda i Testi Sacri. A loro volta gli Evoluzionisti vengono rimproverati di non esser riusciti a fornire ai credenti una prova certa, definitiva, della validità dei loro assunti.
Uno degli argomenti più “fantasiosi”, a sostegno dell’Evoluzione, fu evocato da Jack London. Lo scrittore statunitense (nel racconto Prima di Adamo), invitò i lettori a riflettere sui nostri Sogni: quante volte – si chiese – uomini e donne, dalla Notte dei Tempi, sognano di “precipitare dall’alto”, in caduta libera? Ciò si spiegherebbe secondo lui con la sussistenza nella nostra atavica memoria delle paure e delle esperienze traumatiche dei nostri avi scimmieschi, “probabilmente arboricoli”.
A una prima analisi, l’osservazione di London, più che una prova sufficiente a convalidare l’Evoluzionismo, può sembrare una bêtise. Se eravamo scimmie, proprio per questo non dovremmo affatto temere le cadute dalle cime degli alberi. I nostri antenati erano agili saltatori. Mentre è proprio dell’Uomo, inetto alla vita della jungla, temere questi capitomboli rovinosi.
Sembra inconfutabile, ma non è affatto così. Gli zoologi che hanno osservato, curato, anatomizzato i primati, sostengono che non si contano i “casi di fratture gravi e persino multiple di crani, bacini, clavicole, sterni e costole, contate in scimmie inferiori e superiori adulte selvatiche”, dovute per lo più alla “errata valutazione della solidità di un ramo o di un salto mal calcolato”. Maggiormente esposte alle fratture – afferma la statistica – sono proprio le scimmie più funambole, come i gibboni.
Chi nega l’Evoluzionismo non tiene conto neppure della propria esperienza personale. Si comporta come l’uomo adulto e alto due metri che, ritrovando in cantina la culla dove ha dormito nel primo anno di vita, dicesse: “È assurdo, non è possibile che io sia mai entrato lì dentro!”.
Inoltre, e posso affermarlo in prima persona, come “prova”: a volte, sento tutto il peso dei quattro miliardi d’anni che ci sono voluti per crearmi.
[in copertina: La Scimmia antiquario, di Jean Baptiste Simeon Chardin]