Lo sforzo maggiore, in Occidente, di penetrare la fragile psiche sirenesca, fu fatto da Andersen, il favolista danese. Cantano, ma non sono – o non sembrano – certo felici, queste chimere marine. E quando le Sirene piangono, non sanno di piangere. Le loro lacrime si confondono con l’acqua diafana del mare, e hanno lo stesso sapore salmastro.
I- Nel mito greco, la Sirena era un duplice mostro, che condivideva natura di femmina umana e di uccello. “Dalla vita in su, sono donne e dalla vita in giù, uccelli marini”, secondo Apollonio Rodio. Così, con l’attitudine al volo, quel popolo razionale spiegava la capacità di queste creature di scalare e conquistare gli scogli marini più isolati e impervi. È stata la forza delle testimonianze dirette a imporre, della Sirena, l’immagine acquatica che conosciamo e amiamo: quella dell’essere metà donna, metà pesce. È anche interessante notare che difficilmente i soggetti che condividono natura umana e ferina hanno, delle bestie, la parte superiore del corpo. Eppure, forse, con mente animale e inguine d’uomo, o di donna, soffrirebbero di meno. In generale, però, nessuna Evoluzione delle Specie ha mai tenuto conto della sofferenza e dell’infelicità degli individui.
L’inganno delle Sirene non è che siano mezze bestie, ma mezze donne: è chiaro che la loro natura ferina è prevalente, se non unica. Il seno, i lunghi capelli, il bel volto, la pelle candida come un abbaglio, la voce angelica di soprano, sono la maschera che indossano ereditariamente, fisiologicamente, solo per attrarre i marinai, che sono tutti maschi, tutti errabondi, tutti preda di inestinguibili voglie di femmina.
Infatti, che quello di gentildonna sia un travestimento, lo dimostra il fatto che la sirena maschio, il Tritone, neppure si sogna di cantare, ma è un bruto, un mostro che, andando per le spicce, afferra le femmine dell’uomo che trova sulle spiagge, le avvinghia e le rapisce giù negli abissi.
II- Le Sirene, argomenta Apollodoro, muoiono se incontrano qualcuno che resiste al loro fascino o canta meglio di loro. Orfeo saldo su Argo, la nave che veleggiava verso il vello d’oro, rivaleggiò con queste seducenti chimere, le batté nella gara musicale – e immancabilmente provocò, tra loro, un’ecatombe suicida.
Omero (Odissea, XII, 197-9), non fa cenno al loro scorno per essersi lasciati sfuggire l’astuto Ulisse: ma non afferma neppure che le Sirene la presero allegramente: la barca dell’Eroe le sorpassa e le lascia al loro destino. Eppure, questo incontro è cruciale nel Mito. E infatti Horkheimer e Adorno l’hanno reso il pilastro teoretico intorno al quale ruota la loro Dialettica dell’Illuminismo. In essa, è evidente, le Sirene incarnano, intonano, la voce della Natura.
Dai tempi omerici, miriadi di interpreti si sono arrovellati per dare un “senso” al canto delle Sirene. Perché le parole che esse salmodiavano si sono disperse. Ma, “cosa cantavano, le Sirene?” Sostiene Flaiano: il loro repertorio era fatto di canzonette volgari, come quelle che giravano sui fonografi del XX secolo. Con i loro “motivetti” questi subdoli mostri attiravano i naviganti nel gorgo della stupidità, cui nessuna forza umana si può opporre. Lo schianto era inevitabile. Da parte sua, Franz Kafka immaginò che la canzone delle Sirene fosse invece: muta. Perché “le Sirene possiedono un’arma ancora più temibile del canto, cioè il loro silenzio. Non è avvenuto, no, ma si potrebbe pensare che qualcuno si sia salvato dal loro canto, ma non certo dal loro silenzio”. Senonché, Ulisse raggira le ammaliatrici incatenandosi e sciogliendo la cera nelle proprie orecchie, non in quelle dei marinai; e così si salva: perché è convinto di non udirle grazie a questo stratagemma, mentre ignora che esse non cantano affatto. Kafka – come tutti gli scrittori Fantastici –, fu naturalmente indotto a “riscrivere” i Miti, redendoli laici e secolari: e dimostrando così ancora una volta che l’incrocio tra Parodia e vertigine combinatoria dell’Immaginazione è uno dei segreti della Narrazione Fantastica.
Più correttamente, e più in sintonia col racconto d’Omero, “le Sirene” – ci ricorda Montaigne – “per ingannare Ulisse, e attirarlo nei loro pericolosi e rovinosi lacci, gli offrono in dono la Scienza”. Se personaggi e interpreti non fossero così diversi, sembrerebbe di assistere a una replica del dramma dell’Eden: un Albero (quello a cui si avvince Odisseo); una bestia – dai tratti umani – che tenta o seduce un fenotipo dell’Uomo; la promessa d’una Conoscenza ultraterrena – che rende simili a un Dio.
Aderendo ancora di più allo spirito omerico, Italo Calvino è sicuro, senz’ombra di dubbi, che le Sirene allettassero Ulisse con la promessa di cantargli la sua stessa storia: “l’Odissea, forse uguale a quella che stiamo leggendo, forse diversissima”. Cosa gli avrebbero insegnato, quelle ambigue creature marine? Chi era lui stesso. Nel bene e nel male.
Si domanda, in altro luogo, Flaiano: “Se Madame Bovary avesse letto Madame Bovary, non avrebbe frenato le sue fantasticherie?”. Quindi, se su quel vascello ci fosse stata, invece di Ulisse, Madame Bovary? Avrebbe corso il pericolo, così grave, d’un naufragio, pur di ascoltare Madame Bovary, la sua stessa vita narrata nella prosa di Flaubert? La risposta giusta è: sì. Sbaglia, per una volta, Ennio Flaiano. Vogliamo sentire sempre e comunque la nostra storia, specialmente se a cantarcela sono le volubili Sirene. Del Mare, del Cortile, della Filosofia, della Letteratura.
III- Tale era la fortuna delle Sirene nel Medioevo, che una di queste creature si trova, scalpellata nella pietra, sopra l’ingresso principale di una chiesa, nei pressi di Pienza, magica cittadina toscana. La descrive Zolla, notando che essa “impugna le proprie pinne divaricate ostentando l’inguine bene inciso, come dicesse che varcando la soglia del tempio, si entra, si torna, nel suo grembo”. Persino Maria Vergine fu raffigurata in forma di Sirena, in una miniatura austriaca del XV secolo. Una stilizzazione così smaccatamente pagana potrebbe essere stata influenzata, penso, dall’emblema del Cristo, che fu rappresentato in antico come un pesce. Di conseguenza, sua Madre poteva essere una Sirena, almeno simbolicamente concepita.
IV- Jorge Luis Borges, in un libro che è stato tradotto col titolo: Manuale di Zoologia Fantastica, ha tratteggiato un informato repertorio d’apparizioni di Sirene nella Storia, a cominciare dalla più famosa tra loro, che fu sicuramente Partenope.
Il nome è leggendario, e non solo per il mito che la riguarda. Costei, pare, non fu tanto una Sirena, quanto un “cadavere” di Sirena. In questo stato deplorevole venne trovata sulle rive della Campania. In onore di quel rifiuto marino, amabile resto o corpo prodigioso che fosse, fu conferito un doppio nome: alla creatura sfortunata abbandonata dai flutti, e alla terra che ne aveva accolto le spoglie. Entrambe, il bel mostro, e la metropoli eretta in quel golfo, si chiamarono da allora Partenope. Oggi la città si chiama Napoli. Strabone vide laggiù la tomba della Sirena, e assisté ai giochi che ne celebravano periodicamente la memoria.
Prosegue Borges: “Nel sesto secolo una sirena fu catturata e battezzata nel Galles del Nord, e finì per figurare come santa in certi almanacchi antichi, sotto il nome di Murgan. Un’altra, nel 1403, passò attraverso la breccia di una diga, e visse a Haarlem fino al giorno della sua morte. Nessuno la capiva, ma imparò a filare e come per istinto venerava la croce”.
Parival, nelle Delices de la Hollande, precisa che la scoperta avvenne nel 1430: furono alcune donne contadine a trovare questa “Ninfa o Donna del Mare” vicino Edam, nella Frisonia Occidentale. Si era impantanata nella fanghiglia, sospinta lì dalla furia d’una tempesta marina. Era malconcia, ma viva. Subito, per decenza, la lavarono e la rivestirono con abiti femminili. La Sirena olandese non imparò mai a parlare, e dimostrò sempre una naturale inclinazione per l’acqua <e>.
Nel 1531, un’altra di queste Ondine, dopo la cattura nel Baltico, venne inviata in dono a Sigismondo, re di Polonia: ella visse solo tre giorni, e fu vista da tutta la Corte, che però non ne gradiva la presenza .
Una Sirena apparve a un famoso testimone oculare, Hudson, lo scopritore della Groenlandia. Il 15 giugno 1608, questa creatura mutante affiorò accanto alla sua nave. Sia il navigatore, sia il suo equipaggio, la descrissero minuziosamente: “dalla testa fino al ventre era identica a una donna di media corporatura. La sua pelle era bianca, aveva capelli lunghi e neri che le svolazzavano intorno alle spalle. Quando la sirena si girava, i marinai vedevano la sua coda di pesce, molto simile a quella di una focena e maculata come quella di uno sgombro”. La notizia incantò anche Kleist.
Quando la nave del celebre esploratore capitano Weddell, diretta al Polo Sud, si avvicinò a Hall’s Island, uno degli uomini del suo equipaggio giurò sulla Croce d’aver sentito cantare su uno scoglio un essere misterioso. Dalla tolda vide una creatura che sembrava una foca ma che aveva spalle umane di color rossiccio, e una chioma folta di capelli verdi. Modulava suoni armoniosi. La Sirena (riporta Sabine Baring-Gould), spaventata da quell’intrusione, si tuffò subito nell’acqua.
Gli incontri tra uomini, donne e sirene, sono sempre stati numerosi, nei secoli passati. Riferirli tutti, non è possibile. Uno degli ultimi avvenne probabilmente nel maggio del 1884 vicino alla costa meridionale della Sicilia, di fronte allo scoglio li Pignati. Un marinaio indigeno, non sappiamo quanto sobrio, vide affiorare dai marosi una “testa di donna bellissima” che intonò un “canto soavissimo” e poi scomparve.
V- C’è da chiedersi: come mai certi avvistamenti, certe “catture”, non avvengono più, in epoca moderna? Piuttosto che pensare a un abbaglio collettivo, non è più semplice credere che le “creature di mezzo”, come sirene e tritoni, si siano estinte?
In ogni caso: Fantastico non è il mostro in sé. Fantastica è la copula che ha generato le Sirene: l’attrazione e il desiderio, trasversali, che hanno prodotto, originariamente, simili Chimere. Promiscuità di Uomo, Donna, Pesce.
[in copertina: Lord Frederick Leighton, Il Pescatore e la Sirena (1856)]