I- Via col Vento, che per decenni è stato il film che ha incassato di più nella storia del Cinema, sparirà presto, crediamo, da ogni tipo di proiezione, visione o di supporto, in quanto viene considerato razzista e “offensivo” per la comunità afroamericana. Conoscerà dunque il destino – l’oblio – che spetta anche alla Capanna dello zio Tom, e a altre opere che, pur con i loro limiti (che vanno riconosciuti e rimarcati), contrassegnarono un’epoca. Nel film fiammeggia l’epopea della Secessione: ma forse, quella del produttore David O. Selznick e della romanziera Margaret Mitchell, non è la Storia migliore che si possa raccontare…
II- Durante la guerra civile nordamericana (1861-1865) – conosciuta anche, da noi, come “Guerra di Secessione” –, si combatté una piccola battaglia che poi passò alla Storia: non per la strategia che vi fu impegnata da una o l’altra delle parti in conflitto, o per particolari atti di eroismo, ma perché durante la scaramuccia avvenne un evento straordinario del quale, più tardi, dovettero occuparsi gli annali della Medicina.
Nel 1874 apparve un articolo sulla rivista The American Medical Weekly, che riassumeva i fatti, come erano stati registrati da un testimone oculare, il capitano L. G. Capers, che prestava servizio, in quanto chirurgo, nelle file dell’Unione.
Ecco, di seguito, il suo resoconto:
«Il 12 maggio 1863 ho assistito alla battaglia di R***, in Virginia. I nostri uomini si battevano con valore, ma, pressati da forze sudiste superiori, erano stati costretti, gradualmente, a arretrare, fino a centocinquanta metri da una casa di campagna. La dimora era abitata: sui suoi gradini una madre e le sue due giovani figlie stazionavano osservando lo scontro a fuoco, pronte a intervenire e a fungere da infermiere, se necessario.
Ero vicino al fronte, e all’improvviso vidi un giovane commilitone, nobile e coraggioso, avvicinarsi alla mia postazione barcollando e poi cadere a terra. Nello stesso momento un grido lacerante giunse al mio orecchio: proveniva dalla casa! Ben presto fui al fianco del soldato e, esaminatolo, riscontrai che aveva riportato una frattura composta della tibia sinistra; ma la lesione non si esauriva lì, perché la palla di fucile aveva proseguito il suo corso e, nel suo balzo in avanti, aveva traforato lo scroto, portando via il testicolo sinistro.
Avevo appena finito di medicare quel poveretto, che arrivò trafelata l’esimia padrona della casa che si trovava alle nostre spalle. Era preda della più grande angoscia. Mi pregò di andare subito da una delle sue figlie, la quale, mi informò, era stata colpita da una fucilata appena pochi minuti prima. Correndo fin sotto i portici, scoprii che la maggiore delle ragazze aveva effettivamente ricevuto una ferita molto grave. Un proiettile sudista era penetrato nella parete addominale sinistra, a circa metà strada tra l’ombelico e il processo spinale anteriore dell’ileo, e si era persa nella cavità dell’addome, lasciando dietro di sé, al suo passaggio, un taglio profondo. Credendo che ci fossero poche o nessuna speranza di guarirla, ebbi solo il tempo di prescriverle un calmante, perché il nostro reggimento si ritirò, lasciando sia il campo di battaglia che il villaggio nelle mani del nemico. […]
Circa sei mesi dopo, i movimenti del nostro esercito mi riportarono al villaggio di R***, e potei nuovamente rivedere la fanciulla, che nel frattempo per fortuna era guarita. Appariva in ottima salute e di buon umore, ma il suo addome s’era enormemente ingrossato, tanto da far pensare a una gravidanza giunta ormai al settimo o all’ottavo mese.
In effetti, se non avessi conosciuto la famiglia, che era d’ottimi costumi, e il modo col quale la ragazza si era procurata la ferita addominale, avrei chiuso così il mio referto. Ma, date le circostanze sopra indicate, non azzardai nessuna diagnosi, e decisi di tenere il caso sotto sorveglianza. […]
A duecentosettantotto giorni, giusti giusti, dalla data in cui aveva ricevuto nel suo grembo la palla di fucile, la fanciulla partorì un bel bimbo, del peso di otto libbre. […] Circa tre settimane dopo questa straordinaria nascita, fui chiamato a visitare il neonato, perché la nonna insisteva che c’era “qualcosa che non andava nei suoi ***”. L’esame cui sottoposi il bimbetto rivelò uno scroto ingrossato, rigonfio, sensibile, contenente sul lato destro un oggetto duro, ruvido, evidentemente estraneo. Decisi di procedere subito all’asportazione e così facendo estrassi dallo scroto un proiettile di fucile, deformato e malconcio, come se avesse incontrato nella sua traiettoria una sostanza dura e resistente».
Naturalmente fu un gioco da ragazzi, per il chirurgo, dedurre che si trattava della stessa palla di moschetto che aveva viaggiato dagli zebbedei del soldato ferito fino all’apparato genitale dell’innocente fanciulla, trasportando in volo, senza ucciderli, una quantità di spermatozoi volenterosi e atti a fecondarla.
Notizie successive vogliono che poi i due, padre debilitato e madre ignara di quel “figlio” non della colpa, ma del “colpo di fucile”, si siano conosciuti, frequentati e infine sposati, esattamente come pretendono le leggi dell’Onore.
Secondo lo storico Geoffrey Regan, collezionista di aneddoti militari, “la guerra civile americana abbonda di eventi degni di nota, ma è molto difficile che se ne possa trovare uno più bizzarro”. In effetti le riviste specializzate non hanno mai registrato altre “gravidanze da proiettile”, o “immacolate concezioni” come questa.
Va però aggiunto, per correttezza, che il capitano Legrand G. Capers (vissuto tra il 1834 e il 1877), qualche tempo dopo la pubblicazione del suo articolo, ammise col direttore dell’American Medical Weekly, che non tutto quello che aveva raccontato l’aveva effettivamente vissuto in prima persona. Ma che aveva sentito comunque il dovere, come medico e come militare, di riferirlo.