Nella Historia ecclesiastica gentis Anglorum (Storia ecclesiastica del popolo degli Angli) Beda il Venerabile racconta che l’asceta irlandese san Fursy (da noi: Furseo), vissuto nel VII secolo, da giovane restò morto per una notte intera.
Dal corpo inerte si mosse però l’Anima, e visitò il Paradiso. Sia in fase d’ascesa, sia in discesa, durante quel tragitto lambì e attraversò velocemente l’Inferno. Esso, nella visione che ne ebbe quando fu rapito, gli si presentò sotto la forma di quattro distinte sfere di fuoco che galleggiavano tra Cielo e Terra. Ogni globo di fuoco aveva un nome: uno si chiamava “Discordia”, uno “Iniquità”, un altro “Menzogna”, l’ultimo “Cupidigia”.
Fursy, ascendendo al Paradiso, ebbe paura d’essere bruciato. Ma gli Angeli lo tranquillizzarono, dicendo: “Non ti brucerà il fuoco che non hai acceso“. Quando, tuttavia, ritornava giù dal Cielo sulla Terra, “un demonio gli scagliò addosso l’anima ardente di un reprobo, che gli ustionò la spalla destra e il mento”. Fursy protestò per l’oltraggio, ma un Angelo pignolo gli dimostrò che se l’era meritato. Il monaco conosceva quel dannato. “Ora ti brucia il fuoco che hai acceso. Sulla terra accettasti gli abiti di un peccatore; ora il suo castigo ti coinvolgerà”.
Borges annovera questo racconto fra le fonti di Dante e dei suoi gironi infernali. Colgo, più che le risonanze dantesche, l’atrocità del gesto di quel satanasso che ustiona Fursy. Il demone frenetico pesca dalla massa, melassa e matassa ardente delle Sfere di Fuoco, l’anima infiammata d’un dannato, l’appallottola e la usa come un proiettile infernale. Ci turba l’idea che, patendo nelle bolge, saremo utilizzati come ”cose”, come oggetti d’uso, da cui ricavare una qualche macabra utilità.
A riprova che il viaggio, sia pur mistico, era effettivamente accaduto, e che all’asceta erano stati veramente rivelati i segreti dell’Aldilà, “Fursy conservò le stigmate della visione fino al giorno della sua morte”. Tornò sulla terra bruciacchiato: fu marchiato a fuoco sulla mascella e sulla spalla, e le profonde strinature sul suo corpo rimasero visibili fino alla sua “vera” morte, e sempre le esibì, nei monasteri che l’accolsero.
Precisa lo storico Le Goff, che “il monaco conservò del suo viaggio immaginario un tale terrore che quando ci pensava, anche se le vesti lo difendevano appena dalle giornate glaciali dell’inverno, sudava per la paura come se si fosse in piena estate”.
La prova dell’esistenza dell’Inferno, impressa sulla pelle di San Fursy, evoca nella mente per contrasto l’ipotesi opposta, gioiosa e parallela, del viaggiatore inventato da Coleridge, che invece dell’Inferno, toccò il Cielo: “If a man could pass through Paradise in a dream, and have a flower presented to him as a pledge that his soul had really been there, and if he found that flower in his hand when he awoke — Aye! and what then?” [“Se un uomo potesse attraversare il Paradiso in sogno, e gli dessero un fiore come prova che la sua anima è stata realmente lì, e se al suo risveglio si ritrovasse quel fiore nella mano – Sì!…allora: cosa?”]
Questo racconto breve e straordinario, un autentico “grado zero della Letteratura Fantastica”, basato sull’Ambiguità, e sull’Implicazione “Logica”, è leggibile nelle annotazioni dello scrittore che furono pubblicate postume, col titolo Anima Poetae.
[in copertina: miniatura di Pol De Limburg (XV secolo, particolare)]