Il 2 febbraio 1881 l’anatomista dilettante Paolo Gorini, dopo averla studiata e corteggiata per anni, si allontanò finalmente e per sempre da Lodi – come dissero i suoi conterranei – “in compagnia della sua più vera e cara amica”: la Morte.
Morì poverissimo, e quasi in romitaggio. Digiunava spesso, frugale come un santone del deserto, e quando provava i morsi della fame, addentava un pezzo d’economico castagnaccio, che custodiva gelosamente nelle tasche.
Il gabinetto del misterioso scienziato era famoso, in città, soprattutto per questa singolare caratteristica: quando un cadavere entrava lì dentro, non ne usciva più.
Gorini, nato nel 1813, si era specializzato in vulcanologia, ma dové la sua notorietà soprattutto alla sua opera di “pietrificatore”: fu il maggior esperto del suo tempo nell’arte di conservare i corpi umani tramite la loro “mineralizzazione”. Era epoca, la sua, nella quale scarseggiavano le celle frigorifere. Le bare venivano chiuse in fretta e furia, con grande rammarico dei parenti, degli amici, e degli ammiratori dei defunti. Nel caso fossero celebrità, era raro vederli sfilare per le vie cittadine esposti alla vista, a feretro scoperto.
Gorini sapientemente a Pisa sottopose alle sue preparazioni la salma del patriota rivoluzionario Giuseppe Mazzini, e un successo ancora maggiore lo ottenne a Milano pietrificando il popolare letterato Giuseppe Rovani, così che le sue spoglie, perfettamente conservate, vennero tumulate dopo una lunga e trionfale processione.
Massone, e amico intimo degli amministratori dell’ospedale di Lodi, l’anatomista si vantava di poter “disporre liberamente”, per i suoi esperimenti, “di una copia illimitata di cadaveri”. Un’abbondanza provvidenziale che lo investiva d’un compito e d’un potere unico e quasi sovrumano, tra “tutti i figli della Penisola”.
Chi da ultimo visitava il suo laboratorio – in mezzo ai sorci, ai cani ai gatti e ai passeracei che accudiva, e tra i crogiuoletti ricolmi di materia vulcanica in perenne ebollizione –, si imbatteva in una interminabile serie di reperti e scorie umane “mineralizzate”, tra i quali c’erano teste dotate di fluenti capelli e immortali peli. Nella collezione figurava pure un corpo intero, quello d’un certo Pasquale Barbieri, pietrificato, che riposava lì (si fa per dire) da quarant’anni, supino e intonso.
L’anatomista abitava e trafficava dentro una chiesa sconsacrata. Era voce comune, e spaventava, che certe volte, a chi bussava, aveva aperto le porte del suo laboratorio un “maggiordomo defunto”, ma ancora in carne e ossa. Un “automa minerale” e cadaverico, di cui lo scienziato si serviva per le incombenze casalinghe.
Per i Lodigiani, Gorini era un “Mago”: ne aveva decisamente l’aspetto, quando transitava per la città con la palandrana stretta a fasciargli la silhouette ascetica, la barba bianca sulle gote smunte, e l’immancabile e indurito castagnaccio nelle tasche. Così vollero rappresentarlo nel monumento a lui dedicato, di fronte all’ospedale dove faceva incetta di materia prima.
A Gorini si deve anche l’invenzione del primo vero e economico modello di “forno crematorio per defunti”, il “forno goriniano” che si diffuse poi per tutta Italia, e che fu replicato anche a Londra e a Parigi. Brevetto e costume invisi, naturalmente, alla Chiesa prima, e poi al regime fascista. Le suore, di cui era affittuario, lo sfrattarono.
Si capisce, dai suoi studi sull’incenerimento delle salme, e dai suoi successi, che la sua autentica preoccupazione non fu mai quella di conservare i cadaveri a ogni costo e in barba alla Natura, ma di impedire che la morte li sfigurasse fino a decomporli. A questo compito, senza contraddirsi, poteva concorrere anche la cremazione. Voleva preservare le spoglie umane dalla dissoluzione, dallo spappolamento, e, infine, evitare che la vista del morto marcescente nella bara si rivelasse scandalosa e repulsiva pei superstiti, anche per chi era in lutto.
Uno scopo probabilmente e inconsciamente suggeritogli dalla visione, che ebbe da ragazzo, di suo padre morto maciullato sotto le ruote d’una carrozza sbandata e priva di guida.
Infatti Paolo Gorini denunciò così, in una lettera, che il suo movente era soprattutto estetico: “Io ebbi la fortuna”, scrisse, “di trovare un modo mediante il quale tutto un cadavere umano può essere ridotto in cenere in meno di mezz’ora. Il cadavere abbrucia con una fiamma lucentissima e affatto inodore e la vista dell’operazione non desta alcuna impressione di disgradevole, e vi poterono assistere molte gentili Signore senza provare ribrezzo”.
[L’ARTICOLO CONTINUA DOMANI ESAMINANDO ALTRE DUE “FIGURE DI MINERALIZZATORI”. Su tutta la materia, si veda anche il sito “Bizarro Bazar”]
[in copertina: Scudo con testa di Medusa, di Arnold Böcklin]