In campo artistico, si distinguono i “Falsi Falsi” in due separate categorie: opere che, pur autentiche, sono state ritenute dai critici di maggior fama adulterate; oppure, all’inverso, opere giunte sul mercato come truffaldine, che poi gli esperti hanno smascherato come vere.
I falsificatori d’Arte, aspirano in genere – benché segretamente – ad essere riconosciuti ed ammirati come i Maestri originali che ricopiano. Esigono che almeno il loro ambiente distingua la firma che hanno apposto sui capolavori contraffatti: il loro marchio. Le opere “visibili” di Giovanni Bastianini, celebre falsario fiorentino ottocentesco, ebbero un grande successo di mercato. La loro classica “purezza”, destò però più di un sospetto. Ancora nel secolo ventesimo, si dubitò che una certa scultura, un busto “alla maniera” di Desiderio da Settignano, acquistato come un “autentico Bastianini” dal Victoria and Albert Museum, fosse in realtà proprio un bozzetto dello stesso Desiderio, che il falsario avrebbe fatto passare per suo. Non di rado infatti gli imitatori, i truffatori d’arte, si sono attribuiti opere originali di Maestri, pur di suscitare l’ammirazione dei critici. Per questo, quando i falsari escono dall’anonimato, bisogna essere cauti nel prendere per veritiera qualsiasi loro confessione.
Affrontando i “Falsi Falsi”, ci imbattiamo, talvolta, in episodi nei quali oggetti d’arte “veri” sono stati diffamati da occulti mitomani come contraffatti, senza che da questo gesto costoro traessero il minimo vantaggio.
A Londra, e sempre nella collezione del Victoria and Albert Museum, figura una famosa “testa di cavallo in giada”, cinese, databile tra il 200 a. C. e il 200 d. C. Un imprenditore svedese, Orvar Karlbeck, giurò nella sua autobiografia di averla vista a Pechino negli anni Trenta del ventesimo secolo, “subito dopo la sua fabbricazione”. Ne nacque una lunga disputa, alla fine della quale la testa fu scagionata. Si scoprì che lo stesso imprenditore l’aveva segnalata, come autentica, in un inedito carteggio privato con la sua clientela.
Si danno poi casi in cui fortemente si desidera che un determinato oggetto venga riconosciuto falso: questo tipo di scomposte aspirazioni produce allora “magicamente” un falsario, che dichiara appunto che l’oggetto in questione è contraffatto, e se ne attribuisce la paternità, anche se non ne è assolutamente l’artefice. Il fenomeno del “falso falsario” non è per nulla sporadico, e complica la figura del mitomane, che è un po’ lo sciacallo della Fama.
Nel 1896 il Louvre acquistò un copricapo rituale, che passò alla storia come “Tiara di Saitaferne”; si trattava d’un raro esempio d’arte scita, databile intorno al IV secolo della nostra era. Uno studioso berlinese, dopo anni di intenso dibattito, addusse numerose prove che il manufatto andava considerato una patacca. Nel 1903, un artista di Montmartre rivelò di esserne l’autore. La controversia sembrava definita, ma il presunto falsario parigino era in realtà “innocente”. Dalla Russia si materializzò, improvvisamente, piccato dalla falsa attribuzione di quel “Falso”, il vero truffatore: Israel Rouchomovskij. Costui convinse il mondo accademico di essere il falsario giusto, replicando una parte del copricapo davanti a una giuria d’esperti. Da notare che, senza la comparsa di un falso falsario – il quale pur privo di prospettiva di guadagno si era assunto il gravoso incarico di “confessare” una Menzogna –, è assai improbabile che il vero autore della “Tiara” scita si sarebbe mai fatto vivo, e, di conseguenza, nessuno avrebbe mai potuto dirimere l’annosa questione della sua autenticità.
V’è, ancora, un tipo particolare di “falsario”, da considerare: quello che replica opere d’arte cosiddetta “minore” o antichi manoscritti.
È una figura che andrebbe studiata meglio. Esemplare è, in questo campo, il caso di Kōnstantinos Simōnidīs, un avventuriero greco che aveva affinato la sua arte in un convento del Monte Athos, e che viaggiò nell’Europa continentale tra il 1853 e il 1864, prima di “fingere” di morire di peste, ad Alessandria, nel 1867.
In pochi anni Simōnidīs compilò, e cercò di vendere, falsi manoscritti di Esiodo, dell’Iliade, dei Persiani di Eschilo, nonché mappe geografiche e nuove cronologie dei faraoni egizi. Ma si specializzò presto nelle contraffazioni delle Scritture – tra queste, ad esempio, ci fu un suo famoso “ampliamento” del Vangelo di Matteo. Simōnidīs va probabilmente considerato l’inventore del “falso palinsesto”: scriveva il proprio testo apocrifo sotto quello autentico, “rovesciando” cioè la tecnica dei monaci medievali, quella che, una volta scoperta, aveva permesso il recupero di importanti opere della classicità.
Nel 1862, il falsario tentò il suo capolavoro. Rivendicò sul quotidiano “Guardian” di aver composto lui il Codex Sinaiticus, ossia la più antica versione integrale in greco onciale del Nuovo Testamento. Confessò di aver contraffatto il Codice su incarico dello Zar Nicola I di Russia. Mise in gioco così, scopertamente, la sua “credibilità” di truffatore, per la quale era giustamente celebre, ormai, in tutta Europa. Purtroppo per lui, secondo i filologi, il Codex era autentico. Lo detenevano da secoli, e su questo c’erano infinite testimonianze, i monaci del Monastero di Santa Caterina, alle pendici del Monte Sinai, in Egitto. In più, anche se Nicola I non poteva smentirlo, essendo trapassato nel 1855, gli eredi del suo impero dimostrarono un particolare accanimento nel perseguitarlo come calunniatore, come millantatore. Simōnidīs finì ovviamente in prigione, e quando tornò libero fece opportunamente sparire le proprie tracce. Datosi per “morto”, esercitò segretamente il suo mestiere a Alessandria per altri 23 anni, fino al giorno della sua vera dipartita, nel 1890.
Considerato come “Falso Falsario”, Costantino Simonides fu un mitomane particolare, un teorico dell’arte sua: alla fine, un martire. Il suo compito, sovrumano, era contaminare l’Autentico affinché poi non fosse più possibile distinguerlo dal Falso. Dove non arrivò con papiri, pergamene e penne d’oca, provò con il sospetto, con la diffamazione. Dimostrando che il suo fine ultimo non era il guadagno, ma la gloria, l’Empireo dei Falsari.
[dalla Fantaenciclpedia, voce: “Verità e Menzogna”]
[in copertina: La Predica dell’Anticristo, di Luca Signorelli (particolare)]