I- Girolamo Segato (1792-1836) fondò e stabilì la supremazia degli Italici in un ramo della scienza (o dell’arte) forse poco invidiabile, ma nel quale dopo di lui nessun altro popolo è mai riuscito a sopravanzarci: la “Metallizzazione” o “Pietrificazione” dei Cadaveri. L’eternizzazione del morto in quanto carne, non solo come spirito.
Tra il 1818 e il 1823, Segato viaggiò a lungo in Egitto per apprendere i segreti della mummificazione, un procedimento nel quale divenne maestro ma che, si vede, in ultima analisi lo lasciava insoddisfatto. Le mummie dei sepolcreti egizi risultavano prive di organi essenziali, primo fra tutti, il cervello. Inoltre i corpi e i visi degli imbalsamati apparivano raggrinziti, incartapecoriti nelle bende, inelastici, e privi d’ogni fascino. Si doveva mantenere invece, nei cadaveri, l’impressione d’un loro persistente palpito vitale. A cominciare dai colori naturali, accesi.
Va da sé che l’obiettivo era talmente ambizioso che, procedendo per esperimenti, Segato sfregiò un’infinita quantità di morti, e non solo di animali. Ancora oggi certi reperti da lui trattati, i più approssimativi, sembrano usciti da spaventevoli film dell’orrore, sono “effetti speciali” proiettati fuori dallo schermo. E non sono artifici, ma cose “vere”, e al tempo stesso: impossibili.
Tra le creazioni più azzardate di Girolamo, una menzione a parte merita il tavolo che ancora oggi fa bella mostra di sé nella Sala dell’Estate della Reggia di Caserta. Se si osserva bene il piano, si distingue la materia di cui è fatto: sono parti anatomiche umane ridotte allo stato minerale.
È, credo, una parodia, piuttosto che un’adesione ai canoni del Barocco. Tipico degli Italiani è sempre stato il farsi beffe della Morte, e prenderla a mazzate, come Pulcinella insegna.
Il fine ultimo dei “pietrificatori” e dei “mineralizzatori” – come fu Segato, o come i suoi seguaci, primo fra tutti, Paolo Gorini –, era probabilmente artistico, almeno nel senso di come nei decenni passati si intesero i propositi dell’Arte d’Avanguardia. Questi pionieri miravano a fare uscire definitivamente le salme fuori dai sarcofagi, e a sostituire le raccolte di statue e di bassorilievi che costellavano allora i cimiteri, con i Defunti stessi. I Morti, resi “fossili” e sottratti a ogni tipo di deperibilità, sarebbero stati fieramente messi a guardia delle proprie lapidi commemorative.
Si dovevano svuotare le tombe, renderle cenotafi. L’effige vera valeva mille volte di più che un ritratto scultoreo del defunto, e come per la statua animata del Commendatore in don Giovanni, il simulacro di pietra combaciava con chi c’era dentro.
Nell’annoso dilemma “Arte, o Vita”, si è sempre affacciato un terzo protagonista, il meno eludibile: la Morte, che ha sempre preteso d’arraffarsi tutto, arte e vita, spirito e corpo, per dissolverli, incenerirli: e invece, da artisti col talento di Segato, quel gran mazziere dotato di falce finiva uccellato, raggirato.
Segato volle regalare un altro suo tavolo, un “mobile di carne”, al granduca di Toscana, per ingraziarselo e chiedergli finanziamenti per le sue ricerche. Il Signorotto, però, non apprezzò l’offerta. Pare che il chimico fosse talmente offeso da quel rifiuto che si ritirò dalla professione. Bruciò le sue formule e rifiutò di divulgare ad altri le sue tecniche. Talché non solo non ebbe allievi, ma quando morì, a soli 44 anni, nessuno “pietrificò” mai il suo cadavere. Quindi non sopravvisse, in nessuna delle forme da lui tanto amate, alla propria condizione di mortale.
Si legge sulla sua pietra tombale, posta in Santa Croce, a Firenze: “Qui giace disfatto Girolamo Segato, che vedrebbesi intero pietrificato, se l’arte sua non periva con lui. Fu gloria insolita dell’umana sapienza, esempio d’infelicità non insolito”.
III- Emulo di Segato e dell’alchimista Raimondo di Sagro, l’enigmatico orafo Angelo Motta, vissuto in Italia tra il 1826 al 1888, meritò la fama di miglior “Metallizzatore” della sua epoca. Si prefisse di “metallizzare dalla piuma al capello, dal fior vivente al cadavere, senza toccare né a volume, né a forma, né a trama”. E vi riuscì.
Tra i suoi capolavori di metallizzazione « va menzionata la mano destra del militare e politico italiano Giuseppe Garibaldi (1807-1882); un certo dottor T. Riboli, “una delle più chiare menti italiane”, sostiene che “quella mano è il più prezioso oggetto che possieda Torino” ».
L’esaltazione “massonica” del Riboli maliziosamente nasconde che Torino detiene anche la Sacra Sindone e dimentica l’Autoritratto di Leonardo da Vinci conservato nell’ex capitale d’Italia.
Dall’enciclopedia Forse Queneau apprendiamo che Angelo Motta magnificava con arte la sua scoperta: ora invitava le famiglie d’uomini illustri a metallizzarne all’occorrenza la salma, garantendo la perpetua conservazione del cadavere; ora applicava i suoi artifici al corpo senza vita “di un caro animale” da cui è sempre così difficile separarsi; oppure ancora esaudiva con le sue formule il desiderio più semplice, e romantico, d’un fidanzato: d’avere per sempre, presso di sé, il metallizzato “primo fiore che la fidanzata pudica presentava allo sposo promesso”. Per non parlare dei vantaggi che la sua pratica poteva offrire agli studi anatomici: un reperto deperibile da lui metallizzato durava ben più a lungo di un organo conservato in frigorifero.
Purtroppo, il segreto delle sostanze che Motta adoperava per metallizzare reperti organici non gli è sopravvissuto, per cui, poco o nulla si sa del trattamento che riservava ai cadaveri. Egli stesso, provò un certo qual vanitoso piacere a negare ai posteri le sue conoscenze strabilianti. Scrisse nel testamento: “Spiàcemi di non essere in tempo per trascrivere e lasciare nel dominio della scienza il segreto della trasmissione metallica, e ciò perché occorrerebbemi molto tempo a fare una dettagliata spiegazione; lo che mi manca: è quindi indipendentemente dalla mia volontà se sono costretto a portar meco il segreto della mia scoperta”.
Con questo finale ghiribizzo, il Motta imitò il suo predecessore e mèntore Girolamo Segato, che si era portato nella tomba il procedimento, da lui inventato, della “Pietrificazione” dei cadaveri e delle altre cose morte.
Portarsi i propri segreti nella Tomba, pare un destino comune a tutti i grandi “Metallizzatori” o “Pietrificatori” di Salme Umane; e nel caso loro, mi si permetta di usare almeno per una volta questa parola che non amo: fu un paradosso.
[in copertina, e sotto: il busto femminile di una adolescente deceduta, pietrificato da Girolamo Segato, e il quadro che ne trasse Sarah Goodridge: Beauty Revealed (1828, Metropolitan Museum of Art]