I- Scambi di Ruolo
Vi è qualcosa di sublime nell’arcaica concezione del matrimonio, in Europa e in Africa, che dimostra come questo evento, lungi dall’ essere naturale, sia foriero di chimerici disordini, e produca addirittura confusione tra i sessi.
Proprio mentre da loro ci si attende la più energica prova di virilità, un atavico, rivoltante, Terrore (e Tremore) della Donna induce i maschi al travestimento. Viceversa, le ragazze appena reduci dalla cerimonia, si liberano dell’angoscia, volentieri, con la Metamorfosi.
Frazer, parlando di un’usanza “apparentemente molto diffusa”, raccoglie a questo proposito tre testimonianze: “nell’isola greca di Coos lo sposo si abbigliava da donna quando riceveva la sposa.
I Masai dell’ Africa Centrale si vestono come ragazze per un mese dopo il matrimonio. Le spose argive portavano barbe finte quando dormivano con il marito”: – la fonte di quest’ultima tradizione è Plutarco.
“Io stesso – testimonia Plinio – vidi in Africa trasformato da femmina in maschio il giorno delle nozze un certo Lucio Cossunzio di Tisdro, che vive ancora mentre scrivo”.
“Nei rapporti tra uomo donna, del resto, guai se non andassimo contro Natura. Cosa c’é, per esempio, di più contro Natura che il matrimonio?”, si domanda – e non senza ragione, a quanto pare – il grande letterato fantastico Dino Buzzati, in Siamo Spiacenti di…
II- Matrimoni Disumani
Le sciamane della Birmania si uniscono in Nozze regolari con i loro Spiriti-amanti. Anzi, avverte Zolla in una pagina superlativa, il loro nome comune, in quelle terre, è proprio: “Sposa di uno Spirito”:
«A un primo incontro, in transe o in sogno, con uno spirito, seguono gli sponsali, quando in segno di fidanzamento si beve dell’acqua pura, atto solenne che preserva dagli assalti troppo irruenti e sregolati del celeste amante. Appena possibile si festeggeranno le Nozze, che vogliono un costoso corredo, costumi cerimoniali, offerte di cibo e incenso, l’ingaggio di un’orchestra esperta in musiche per spiriti, l’affitto di un “palazzo degli spiriti” e infine l’opera di sciamani celebranti […]. Il celebrante maggiore avvince l’anima-farfalla, la sposa dello spirito, mostrandole uno specchio in cui si vede riflessa, e strusciando poi lo specchio su tutto il corpo; le lega quindi i polsi e le caviglie, le incrocia sul petto una cordicella e nella crocchia le infila un ago col refe incrunato. La sposa consuma infine il matrimonio eseguendo una danza in transe» .
Fuori della dimensione spirituale, vi sono altre tipologie di matrimoni che non prevedono l’amore, e che vengono contratti con le specie più strane. Giù, per la scala dei Tre Regni della Natura.
Tra gli indù, “quando un uomo ha perduto diverse mogli una dopo l’altra, deve sposare un uccello prima che un’altra famiglia sia disposta a dargli in moglie una figlia”. Oppure, se decide di prendere una terza moglie, “un uomo deve prima sposare ufficialmente una pianta di una particolare specie”. Nel caso l’oroscopo dell’indù pronostichi sfortuna nel matrimonio “l’uomo (o la donna) viene sposato a un vaso di coccio”.
Sempre in India, un tempo, le cortigiane figlie di cortigiane erano obbligate ad interrare, coltivare e a sposare – ignoro se questo sia l’ordine delle azioni – certe piante in fiore del loro giardino. Quando i virgulti morivano, dovevano osservare un congruo periodo di lutto vedovile.
“Sappiamo che gli Indiani di un villaggio del Perù maritavano una bella fanciulla di quattordici anni a una pietra tagliata in forma umana che consideravano un dio (huaca). Tutti gli abitanti del villaggio prendevano parte alla cerimonia di nozze che durava tre giorni ed era accompagnata da gran baldoria. La fanciulla doveva restare vergine e sacrificarsi all’idolo per il popolo. Tutti le mostravano la più gran riverenza e la consideravano divina”. Naturalmente, subito dopo la festa di nozze, la squartavano.
A mo’ di Gran Finale, ecco un racconto da completare con la Fantasia:
“Le danzatrici di Goa vengono sposate a dei pugnali prima di poter esercitare la loro professione”.
III- L’Altare sul Patibolo
“È meglio sposarsi che ardere”, asseriva l’apostolo san Paolo (1 Corinzi, 7, 9); ma questa autorevole opinione veniva qualche volta contraddetta persino sul rogo e sul patibolo.
Nel Conservateur Suisse, nelle opere di Henri Estienne e in altri atti del Parlamento di Parigi, il Waree ha ritrovato traccia dell’antico costume, in uso in Francia, Germania, Svizzera e Danimarca, di graziare il condannato a morte – nel caso fosse celibe – se una donna nubile si fosse offerta di contrarre matrimonio con lui.
La norma, a Vand e a Friburgo, era valida anche a sessi invertiti: una condannata nubile poteva essere salvata in extremis quando uno scapolo si fosse fatto avanti per sposarla.
Se i giustiziandi accettavano, se ne andavano liberi, ed erano obbligati solo a pagare le spese di giustizia: il processo e il lavoro del boia e i suoi assistenti, come fosse stato fatto.
Di solito questi salvataggi miracolosi – quasi evasioni, più che amnistie – avvenivano davanti al popolo che si era riunito, in piazza, per assistere alle esecuzioni. E solitamente le ragazze che reclamavano il candidato al cappio, partito poco appetibile, erano prostitute consumate dagli anni e dai peccati.
Racconta Henri Estienne che un criminale piccardo, destinato all’impiccagione, si trovava già a un passo dal capestro, quando gli fu condotta innanzi una figliola di non più verde età che si era mal condotta nella vita. Ella promise che gli avrebbe salvato la vita, se in cambio l’avesse presa per moglie. Il condannato chiese di vederla meglio: la ragazza era zoppa, e aveva altri non lievi difetti. Il Piccardo allora si rivolse al boja, e lo esortò dicendo: “Attacca la corda, attacca!”. Preferiva la forca.
Similmente a Romont, in Svizzera – si era già, credo, nel XVI secolo – un giovane sfortunato, condannato ad essere appeso, se ne stava già salendo, rassegnato, sul patiblolo, allorché una ragazza si fece strada tra la folla, proponendogli la vita salva, se avesse acconsentito di sposarla. Il giustiziando la fissò e poi, con una pacca amichevole sulla spalla del carnefice, montò svelto la scaletta fatale. Le sue ultime parole furono: “Eh, nò! È pure guercia!”.
Le Autorità di Parigi, nel 1515, decretarono che questo tipo di Grazia, tradizionale, popolare, poteva essere mantenuto nella giurisprudenza moderna. Ma già un secolo più tardi, una corte francese respinse la richiesta di due meretrici francesi di sposare – e salvare – due forzati che dovevano scontare la loro pena a vita sulle galere.
Chassaneux, approvava con calore il costume antico per il quale, nel caso una fanciulla l’avesse chiesto in sposo, si concedeva la vita ad un condannato a morte. Ma per un motivo velenoso e misogino: “la donna è qualcosa di tanto intrinsecamente malvagio, che far sposare un uomo anziché impiccarlo, significa infliggergli una pena assai più rude e severa”.
IV- Il Prezzo di Mercato
I Babilonesi, come anche i Veneti dell’Illiria, una volta all’anno, radunavano tutte le fanciulle da marito nel mercato, e usavano venderle al miglior offerente. Si bandiva prima la più bella, e – acquistata questa dallo sposo più facoltoso – si passava alla più graziosa del lotto rimanente. Appena accasate le giovani avvenenti, l’asta non terminava di certo, ma procedeva, in certo senso, al contrario: il denaro ricavato dalla vendita precedente veniva ripartito sulle ragazze meno affascinanti, cosicché, tanto più era brutta la sposa, quanta più dote incameravano gli ultimi acquirenti.
Sia Erodoto, sia Eliano, ammirano questo costume dei Babilonesi. Se ne capisce, forse, il motivo.
I fidanzati evitano in tal modo la dilazione del corteggiamento, i sospiri d’amore, il “chiacchiericcio” sentimentale che non si colloca in nessun contesto coerente; nello stesso tempo, non è escluso che il Babilonese sia romantico, tutt’altro; perché l’asta (che viene appunto definita anche “Incanto”) presuppone il “colpo di fulmine” e una donna può essere fiera che l’uomo si sia battuto per lei, con il denaro (ben più raro delle spade) e contro l’indifferenza degli altri maschi e dei banditori.
E così pure, le ragazze meno belle e meno abbienti possono dirsi orgogliose di aver strappato il loro sposo alla miseria solo con l’esibizione delle disarmonie del viso, o della figura.
Però né Erodoto, né Eliano, si fermano a considerare un fatto: che gli acquirenti maschi potevano essere ben più orridi e sgraziati delle femmine che raccattavano al mercato.
V- Per l’attuale Catechismo dei Cattolici, quello uscito dal Concilio Ecumenico Vaticano II, “Dio stesso è l’autore del matrimonio”.
Lo è anche del Mondo. Ma poi mandò il diluvio, in segno di quasi integrale pentimento.
[CONTINUA DOMANI, SECONDO GIORNO DELLA “SETTIMANA DEL MATRIMONIO”]
[in copertina: Honeymoon di J C Leyendecker]