V- Boomerang
Anche dimostrare eccessive conoscenze sulla Jettatura – e persino dar conto dei mezzi antichi e infallibili per sopraffarla e metterla in fuga con scongiuri –, diventa sospetto, agli occhi del partenopeo verace, esperto o vittima, che sia, della Malasorte. Chi troppo sa di certi segreti effluvi, è in odore di Jattura egli stesso.
Di questa tesi, condivisa da nobili e popolino, fece le spese il canonico Andrea De Jorio (1769-1851), che ebbe l’ardire di descrivere La mimica degli antichi investigata nel gestire napoletano, libro nel quale dava ampio risalto a tutto il repertorio apotropaico indispensabile, agli umani, per controbattere il Malocchio.
Solo all’esibizione delle “Corna” fatte a mano, lo studioso dedicò più di trenta pagine della sua fatica scientifica. Troppe. E non basta: tirando le conclusioni del suo saggio, arrivò a negare che la Jettatura fosse argomento serio, degno dell’attenzione dei dotti. Atteggiamento quanto mai sospetto, che un Valletta avrebbe considerato una prova decisiva a suo sfavore. Deviare, ammorbidire, il tema – e in generale sottovalutare l’importanza della Sfortuna –, è tipico di chi la “porta”, e sa di portarla.
Per cui, Re Ferdinando I “era così persuaso che il buon De Jorio fosse un temibile jettatore, da non concedergli per ben quindici anni un’udienza che il De Jorio gli aveva ripetutamente chiesta per presentagli in omaggio un suo libro; finché, cedendo alle pressioni della corte, il re ricevette il canonico il 3 gennaio 1825, col previsto risultato di morire la mattina del 4, fulminato da un colpo apoplettico”.
L’aneddoto, fulminante, è rintracciabile nel Corricolo di Alexandre Dumas.
VI- I moderni “Erode”
Naturalmente il Menagramo, tanto più è potente, tanto più miete vittime innocenti. Anzi, molto spesso porta la strage, non volendo, negli affetti famigliari e tra i congiunti maggiormente amati.
Nel suo Corricolo, Dumas, neofita nello studio della jettatura, ma già ferrato lettore di Nicola Valletta, non può trattenersi dal fare un cenno, sia pure vago, a Giuseppe G., uno dei più famosi jettatori partenopei dell’epoca moderna.
Costui, “conscio forse della sua malefica potenza, non abbracciò mai i propri figli”.
Tuttavia, racconta Vittorio Imbriani, “avendo un d’essi, per nome Giovanni, sostenuto, mirabilmente, un esame diplomatico, si narra, che il padre non sapesse trattenersi dallo stringerlo al cuore e dal dargli un bacio. Il giovanetto ebbe a fare una malattia mortale. Riavutosi, imprese un viaggio per l’Europa; a Ginevra, ritrovò un amico e compagno di Napoli, che vi era maritato con una francese alsaziana. Costei fece tant’inviti al povero Giovanni, il quale non volle imitare il casto Giuseppe, da irretirlo. Ma, essendo egli uomo d’alti sensi, gli parve cosa così orribile lo aver tradito lo amico, che impazzò: ed è morto, lì, in Isvizzera, in una casa di salute”.
Non saprei dire se Dumas nomini il Giuseppe con la sola iniziale del cognome, “G…”, perché timoroso di eventuali querele per diffamazione, o pel terrore di evocarlo per intero, e attirarsi così chissà quale nuova sciagura. Il solo nome del Jettatore, è noto, ha questo potere, una volta evocato.
Anche il “temibile” Principe di *** (il realtà, Duca di Ventignano), pare fosse specializzato in tragedie famigliari. Dumas, che nel Corricolo lo ritrae magistralmente, compila un lungo elenco delle sue malefatte involontarie, che cominciarono quando la madre del disgraziato morì di parto.
Fu poi vittima del suo potentissimo Malocchio il genero del Principe, un dongiovanni infaticabile e libertino di chiarissima e indiscussa fama, il quale, appena che ne ebbe sposata la figlia Elena, non riuscì mai a consumare il matrimonio. Si risalì presto alla causa di quei quotidiani tentativi andati a vuoto: la “paterna” benedizione, impartita il giorno delle nozze. Il nobile aveva esortato la giovane coppia con un biblico, ma al tempo stesso intemerato (vista la provenienza), “Crescete e moltiplicatevi!”.
Dumas utilizza una perifrasi umoristica di notevole inventiva, per indicare che la principessina era rimasta illibata durante e ben oltre la luna di miele: lo scrittore sostiene che i medici riscontrarono che la ragazza, “in caso d’invasione, aveva tutto il necessario per scacciare gli Inglesi dalla Francia”. La stessa “dote”, insomma, di Giovanna d’Arco, l’eroica verginella (o pulzella) d’Orleans.
Il fratello maggiore del *** sfidò a duello, per salvare l’onore di famiglia, un superstizioso che s’era azzardato a ripetere la vox populi, e aveva definito il principe, senza mezze misure, uno “Jettatore”.
Come terminò questo confronto epico – questa sorta d’Ordalìa –, è intuitivo per chiunque. Il congiunto del Menagramo perì ovviamente nel duello, rese l’anima sul campo dell’inutile battaglia.
VII- Jettatura e Magia
Di tutto lo sterminato regno della Magia, credo che la “Jettatura” meriti, sopra ogni altro elemento, un’indagine approfondita.
Non per ciò che ottiene il Malocchio, ma per ciò che gli si attribuisce.
La “Magia” non è di per sé Fantastica. È un’attitudine tesa a ottenere determinati scopi, scatenando un intreccio di cause e effetti che mira alla praticità. Ha leggi parallele a quelle di natura, e dalla stessa Natura ritiene d’averle tratte.
Ernesto De Martino ci ha insegnato che il Mondo Magico non è affatto irragionevole.
Certamente la Magia ci appare oggi come il retaggio di un passato remoto, o come il patrimonio culturale di genti cosiddette “primitive” che poco hanno a che spartire con la nostra civiltà. Se essa davvero riesce ad agire “concretamente” nel nostro mondo scettico e secolarizzato, allora, questo, sì, ci sembra Fantastico. Uno dei segreti della moderna Letteratura Fantastica è appunto questo: immaginare che la magia – o il Mito, o le Forze Infernali – possano reclamare ancora il diritto a dominare la nostra realtà “illuminata”, il nostro mondo secolarizzato e de-sacralizzato.
Su questo argomento, rinvio il lettore alle pagine finali della Fantaenciclopedia: l’ “Appendice” dedicata a Il Fantastico in Letteratura.