I- Il peccato d’Adamo e Eva non è reversibile: non si può tornare nell’Eden presidiato dall’Angelo infocato. I cristiani sanano col battesimo solo le ferite della Caduta, non ripristinano il Paradiso Terrestre. Ma nessuna norma divina vieta all’Umanità di regredire al tempo in cui tutti parlavano la stessa Lingua. Almeno: nel Decalogo non c’è, quel Comandamento.
I più fervidi lettori della Bibbia (e non solo i fanatici tra loro) provano un sentimento d’acuta nostalgia per l’epoca pre-babelica in cui gli uomini e le donne parlavano un’unica Lingua. Per Canetti – a esempio –, il rovinoso crollo della Torre altro non rappresenta che una Seconda Caduta, una nuova cacciata dal Paradiso: “L’intervento di Dio fu il più diabolico che mai sia stato compiuto. La confusione dei nomi fu la confusione della sua stessa creazione, e non si riesce a capire veramente perché egli abbia ancora salvato qualcosa dal diluvio”.
Strano abbaglio, per un Maestro come lui. Credo che invece sia stata una Babele provvidenziale. Ha dato voce a individualità più complesse, che finalmente erano obbligate a misurarsi con l’altro-da-sé, a tradurre esperienze locali, personali, lontane nel tempo e nello spazio, confrontandole con le proprie. Solo una dittatura spaventosa può provare nostalgia di un tempo in cui i nomi delle cose non erano molteplici e confusi. Il passo successivo sarebbe l’abolizione dei nomi propri, per omologarli.
Sostiene Zolla che alcune tribù gabonesi dispongono di ben “ottomila termini per le varie specie vegetali, e non per l’uso che ne facciano, ma per il puro piacere di classificare”. Ritengo doveroso per l’Umanità preservare ognuno di quei nomi come fossero specie in via d’estinzione. Secondo le stime dell’Unesco, circa la metà delle 6000 lingue parlate nel mondo sono in pericolo. Ogni due settimane, ne svanisce una, incalzata dall’offensiva “social” e digitale. Occorrerebbe opporsi al mito, al recupero, di una Lingua Comune, miraggio della pre-Caduta, che renda ogni sfumatura orizzontale, passandoci sopra come una schiacciasassi. Comunicare vuol dire accogliere l’Altro e sforzarsi di comprenderlo, non “convertirlo” al proprio idioma.
II- Ma è anche vero che la ri-conquista di una Lingua Universale è stata proposta e perseguita in ogni secolo dalle nostre menti migliori. Tuttavia, è probabile che l’unificazione delle Lingue collimasse, per questi intellettuali, con l’Utopia di un Mondo pacificato e scevro di barriere tra uomo e uomo, uomo e donna, popoli e nazioni, Umanità e Dio. Il fine, insomma, giustificherebbe l’equivoco.
Raimondo Lullo, l’inventore dell’Ars Magna – una Lingua Filosofica “perfetta” –, fu uno dei primi, in pieno medioevo, a intuire che un Linguaggio Universale, comprensibile a tutti i popoli stranieri e anche agli illetterati, avrebbe aperto irrevocabili prospettive di pace in tutto il mondo. Il dialogo doveva sostituire la forza delle armi. “La leggenda vuole – scrive però Umberto Eco – che Lullo muoia martirizzato dai Saraceni, a cui si era presentato munito della propria Ars come di un infallibile mezzo di persuasione”.
III- Il re egizio Psammetico, per scoprire quale fosse l’Idioma Originario che accomunava tutti l’Umanità, ricorse a uno stratagemma non si sa quanto astuto, o quanto idiota. Il faraone, racconta Erodoto, volendo apprendere quale popolo fosse apparso per primo tra gli Uomini, rapì alle madri due neonati e li affidò a un pastore muto, perché li crescesse nei luoghi più impervi e solitari, e senza nessun’altra compagnia che non fosse la sua. Compito del pastore era avvertirlo quando gli infanti avessero cominciato a parlare. Psammetico allora constatò di persona che i bimbi, affamati, gridavano “beccos”: informatosi in quale lingua la parola avesse un significato commestibile, risultò che, in Frigio, “beccos” voleva dire “pane”. Cosicché fu appurato che il Frigio era la prima tra le Lingue parlate dall’Umanità.
Dom Calmet ritenne invece che il verso “beec” non fosse altro che il belato che i due pargoli avevano appreso a imitazione delle pecore.
Anche il Gran Mogol dell’Indostan – racconta Purchas – ordinò che si facesse crescere un bambino appena nato, isolandolo dal resto dell’umanità parlante: il fanciullo tuttavia non recuperò mai l’uso della parola e non si espresse in nessun idioma comprensibile.
Secoli e secoli dopo, il principe Federico II volle ripetere lo stesso esperimento. “Diede ordine alle balie e alle nutrici di dar latte agli infanti […] con la proibizione di parlargli. Voleva infatti conoscere se parlassero la lingua ebrea, che fu la prima, oppure la greca, o la latina, o l’arabica; o se non parlassero sempre la lingua dei propri genitori, da cui erano nati. Ma s’affaticò senza risultato, perché i bambini o infanti morivano tutti”. Ci dev’essere, insegna questo aneddoto, un rapporto stretto e misterioso tra Parola e Vita.
Per molti esegeti cristiani, la grammatica e il vocabolario che gli Uomini e Iddio utilizzavano prima di Babele, erano in forte sospetto di ebraismo. Si riteneva, con argomenti tratti dalla Bibbia, “che un fanciullo, lasciato a se stesso dopo la nascita, avrebbe automaticamente parlato ebraico”.
Ancora nel diciassettesimo secolo il gesuita François Pomey riteneva “verosimile” che in Paradiso beati e Santi comunicassero tra loro nell’idioma di Israele, la lingua “che Dio ha insegnato al primo uomo, e che Gesù Cristo ha parlato”.
Qualsiasi appello a ripristinare, anche in Terra, l’originaria Lingua Ebraica, come Lingua Universale, cadde però nel vuoto.
La filosofia più avveduta – con Leibniz, con Locke – sbarrò la strada alla restaurazione d’un eloquio ignoto alla maggior parte del pianeta. Inutile nasconderlo: suonava poi sgradito e inopportuno che, mentre dovunque continuavano a imperversare pogrom e vessazioni contro gli Israeliti, si esaltasse l’Ebraico, geloso patrimonio dei Rabbini, come Lingua Unificante.
San Filastro, vescovo di Bressa, giudicava un’eresia credere che gli Uomini parlassero una sola Lingua prima della Torre di Babele: l’Umanità invece, come gli Angeli, ne aveva molte a disposizione, tutte differenti, e le dominava. Per cui il vescovo, applicando una spietata Legge Combinatoria, leggeva il passo di Genesi “al contrario” di tutti gli altri esegeti e Padri della Chiesa: e cioè che Dio, per punire le sue creature, che si erano dimenticate di Lui, ridusse drasticamente all’improvviso il numero delle Lingue, cosicché quelli che fino a quel momento erano poliglotti e cominciavano a parlare in un certo Idioma, ne perdevano conoscenza durante la conversazione.
IV- Prima di approdare al fallimento dell’esperanto e allo svilimento dell’inglese sul “web” di Internet, le proposte intorno a una Lingua Universale da adottare in tutto il mondo, furono innumerevoli. Particolarmente interessanti, tra tutti, ci sembrano i tentativi di elaborare una Lingua Comune per l’Umanità parlante, che faccia a meno delle Parole stesse. Si provò, purtroppo con scarsa fortuna, a sostituire le conversazioni con la Musica, che sembrava la più adatta e la più condivisibile. Si ipotizzò il ricorso alla Gestualità, a esempio – una forma di comunicazione nella quale eccellono i miei compatrioti italiani, i quali, infatti, si fanno intendere da chiunque e in tutto il mondo. C’è stato poi chi ha visto nei “segni convenzionali” inventati per i Sordomuti, una chance di Lingua Universale.
Addirittura il “Linguaggio dei Fiori” (ce lo ricorda Zolla), ebbe le sue carte da giocare come ipotetico Idioma sovranazionale: per il Goethe del Divano occidentale-orientale, il Linguaggio Fiorito era già abbastanza antico e evoluto che con esso si potevano fare “indovinelli, sciarade e logogrifi”, semplicemente disponendo i bocci in una determinata successione. Lo stesso ufficio, anzi ancor più ricco e narrativo, potrebbero svolgere i Tarocchi, secondo il Calvino de Il Castello dei Destini incrociati.
Considerata nel suo sviluppo, giunto fino a noi, la storia della Lingua Universale è la storia, alla fine, di una nuova Babele: la Babele delle infinite Lingue che dovevano essere di tutti, ma che nessuno ha mai parlato seriamente.