I- Il Disegno Originale o: Iddio Architetto
Il Dio della Bibbia non fu solo il grande Architetto dell’Universo: si impegnò anche nella costruzione di singole opere murarie.
Suo, interamente Suo, può essere considerato l’antico Tempio di Salomone a Gerusalemme.
Come dice Juana Inez de la Cruz, architetto del Santuario fu Dio, “che diede la disposizione e la traccia, ed il saggio Re fu soltanto il sorvegliante che la eseguì”. Nel Tempio – scrive la mistica spagnola – non c’ era base senza mistero, colonna senza simbolo, cornice senza allusione, architrave senza significato”.
Il Tempio era, per antonomasia, il Palazzo Perfetto.
Era la “Casa del Signore”.
Nell’investigare l’Architettura di Dio, più di tutti si distinse il gesuita Juan Bautista Villalpando, che tra il 1580 e il principio del Seicento dedicò tutto se stesso e il suo sapere alla puntigliosa ricostruzione del Tempio perduto di Salomone in Gerusalemme. I risultati che ottenne gli meritarono la lode di Herrera, l’architetto dell’Escuriale. Su chi dei due abbia influenzato l’altro, però, tra i critici regna l’indecisione.
Villalpando, asserisce Joseph Ryckwert, era certo che i suoi disegni “corrispondevano ai disegni originali, di ispirazione divina, del Tempio; era convinto che esistesse tutta una serie di tali disegni originali, tracciati dalla mano stessa di Dio (così come Egli aveva inciso le tavole della Legge), o perlomeno da una mano (quella di David?) guidata dalla diretta ispirazione divina, come infatti il primo libro delle Cronache sembra implicare”.
In uno dei progetti villalpandiani, vediamo iscriversi dentro le mura del Santuario un corpo d’uomo ignudo, che potrebbe chiamarsi l’Adamo Architettonico, ma che per il gesuita era, tout-court, Gesù Cristo; le proporzioni della pianta rispettavano infatti le perfette proporzioni anatomiche del Redentore.
D’altra parte, Gesù stesso si era paragonato, a detta dei Vangeli, a un Tempio; egli era “il Tempio dello Spirito Santo”.
Villalpando non fu uno stravagante, né un erudito isolato. Le sue idee furono discusse ancora, come attuali, fino alla metà del Settecento. John Wood the Elder, nel 1741, riprendendo i suoi argomenti, affermò che il segreto degli ordini delle colonne “era stato rivelato direttamente da Dio a Mosè”, e che – riassumo – la Scienza dell’Architettura nacque solo quando il Signore comandò al Legislatore degli Ebrei Profeta di costruire il Tabernacolo.
Questo prodigio architettonico, ampiamente descritto e misurato nelle Sacre Scritture, fu demolito due volte; dall’ultima catastrofe non si risollevò.
In certo senso, non sopravvisse neppure come maceria.
II- Prima devastazione
L’esercito caldeo – racconta l’anonimo autore dell’apocrifa Apocalisse Siriaca di Baruc – assedia Gerusalemme, ed è evidente che non c’è speranza di resistergli. Baruc prega allora l’Altissimo per ottenere la salvezza degli Ebrei. Dio stesso gli parla: “Tu vedrai – tuona – con i tuoi occhi che non gli avversari distruggeranno Sion né (essi) incendieranno Gerusalemme”.
Infatti il Santo – sia benedetto il Suo Nome – comanda ai propri Angeli più fidati di radere al suolo la Città Santa e di demolire le sue mura fino alle fondamenta, “perché gli avversari non si vantino e dicano: Noi abbiamo abbattuto il muro di Sion e abbiamo incendiato il luogo del Dio potente!”.
Sventrato il Tempio, gli Angeli aprono le porte e invitano i Caldei con voce suadente a invadere Gerusalemme. «“Entrate avversari, e venite, nemici! Se ne è andato infatti Colui che custodiva la casa”».
Cominciò così per gli Ebrei la “cattività babilonese”.
Il Dio d’Israele si mantiene quindi invitto distruggendo volontariamente la sua Città e il suo Popolo. Nessuno potrà dire d’averLo costretto alla resa. Egli ha donato la propria sconfitta come Sacrificio a se stesso, come apoteosi della propria Imbattibilità. Mai il nemico potrà vantarsi d’averlo battuto.
Mentre gli Angeli non nascondono un certo accanimento, una certa goduria nell’abbruciare le stesse ricchezze del Popolo di Dio e consegnarle incenerite agli idolatri.
Gibbon, rileggendo le carte della Storia, sostiene: “Il Tempio di Gerusalemme venne distrutto il 10 agosto del 70 dagli stessi Ebrei, più che dai Romani”.
Forse questo sfacelo, avvenuto in epoca romana, fu una replica della prima demolizione? Infatti nella “Voce degli Angeli” di cui parla Baruch, qualcuno potrebbe riconoscere l’azione d’un gruppo di traditori, o delatori, costituitosi tra gli stessi Ebrei assediati per salvare l’onorabilità del loro Dio.
III- Lo Smacco dell’Apostata
L’importanza e l’urgenza, di ricostruire in tutto o in parte l’edificio a cui il Signore aveva posto mano direttamente, fu avvertita, in ambito cristiano, soprattutto dopo il Medioevo.
Prima, la prospettiva inorridiva i devoti.
Quando l’imperatore Giuliano – che approvava la legiferazione di Mosè, ma che veniva disprezzato dai seguaci di Gesù in quanto “Apostata” –, ebbe in animo di ricostruire il Tempio di Gerusalemme, subito gli Apologeti cristiani interpretarono le sue mire come oltraggiose e blasfeme.
Essi accusarono il sovrano romano di attendere al restauro non per ristabilire “l’antica gloria” del Santuario, ma al solo scopo di confutare la Scrittura, e “far mentire le Profezie”.
Che avevano escluso questa evenienza, in quanto sgradita all’Altissimo. Ne avrebbe sofferto persino la credibilità del Cristo, inteso come Messia.
In ogni caso, né agli architetti di Giuliano, né al suo fidato inviato Alipio, fu consentito neppure d’avviare la ricostruzione del Tempio.
Pare che un terremoto, o un turbine, accompagnati da un’eruzione enigmatica di fuoco, abbiano distrutto le nuove fondamenta appena gettate. Episodio riferito sia dagli apologeti cristiani che da storici pagani imparziali, come Ammiano Marcellino, il quale scrive: “Mentre Alipio, assistito dal governatore della provincia, promuoveva con vigore e diligenza l’esecuzione dell’opera, dei terribili globi di fuoco, erompendo presso le fondamenta con frequenti e ripetuti assalti, resero quel luogo di quando in quando inaccessibile agli operai, ustionandoli e bruciandoli, e continuando il vittorioso elemento in tal modo quasi fosse ostinatamente deciso a tenerli lontano, l’impresa fu abbandonata”.
IV- Nocività
Un’altra caratteristica del Tempio: la misteriosa mortalità dei suoi frequentatori abituali.
Secondo una leggenda particolarmente apprezzata dagli storiografi frammassoni, l’architetto che costruì e abbellì il Sacrario ai tempi di Salomone, il fenicio Hiram-Abif – soprannominato anche “il Figlio della Vedova” –, fu massacrato dentro il cantiere, a martellate, da tre turbolenti operai. Salvo poi a resuscitare in circostanze decisamente enigmatiche.
Il “Sanctum Sanctorum” del Tempio, ospitava un tempo l’Arca lignea, foderata di lamine d’oro, che custodiva le Tavole di Mosè con tutto l’acconcime del Tabernacolo e i suoi tesori (il vaso con la manna, la verga secca ma fiorita del sacerdote Aaron, il manoscritto della Legge); ma quando il babilonese Nabucodonosor prese Gerusalemme, l’Arca scomparve, probabilmente nascosta dal profeta Geremia per sottrarla alla furia dei Caldei. Né tornò nel Santuario allorché Ciro permise agli Ebrei, finita la cattività, di ricostruire il Tempio: in suo luogo, dicono alcune fonti, era visibile solo la pietra su cui poggiava originariamente: una punta di roccia che sporgeva per tre dita, detta “Pietra Fondamentale”.
“Una volta” – racconta un Midrash – “un sacerdote che stava lavorando nel Santuario si accorse che una pietra del pavimento era differente da tutte le altre, andò a chiamare i compagni, ma quasi non fece in tempo e morì. Per questo fatto dedussero che certamente l’Arca si trovava nascosta in quel luogo”.
Questo perfetto esempio di Logica Altra, grazie alla quale Iddio marca un luogo con la Morte come fosse un memorandum, e non avesse altri mezzi per evidenziarlo all’attenzione degli Esseri Umani, si completa degnamente col resto del racconto: pare che, in segno di rispetto, gli Ebrei, ormai convinti del ritrovamento, non abbiano mai sollevato quella pietra.
[in copertina: Edward Burne-Jones: Re Salomone e il suo Tempio (vetrata)]