I- Ci sono tragedie, scriveva Palazzeschi, alla fine delle quali non resta “in piedi che il boia”. E ce ne sono altre in cui a stento si salva il pubblico.
Eschilo, con le sue Eumenidi, spaventò talmente gli spettatori che le autorità dovettero correre ai ripari. Durante il primo allestimento della tragedia – si tramanda –, quando fece entrare in scena il coro delle Furie, orribilmente mascherate e agghindate, per il terrore “i bambini svennero, e le donne incinte, abortirono” per la stessa causa. Così afferma la “Vita di Eschilo” (Mediceus Codex, 9); e Apsine di Gadara aggiunge che quella rappresentazione costò al poeta l’accusa di empietà, per la quale sfiorò la condanna a morte.
Su Nerone e le sue fatali tragedie, leggiamo in Svetonio:
“Quando cantava non era permesso uscire dal teatro, nemmeno per necessità. E così, stando a quanto si dice, alcune donne partorirono durante lo spettacolo, e molti, stanchi di ascoltare e di applaudire, sapendo che le porte erano sbarrate, saltarono furtivamente oltre il muro o si fecero portar fuori fingendosi morti”.
II- Il grande attore tragico Polos, perso che ebbe l’unico amatissimo figlio, tornando a teatro per recitare la parte di Elettra nella tragedia omonima, “tolse le ceneri e l’urna dal sepolcro del figlio e, tenendole strette, come se fossero quelle di Oreste, riempì la scena non con una simulata imitazione, ma con dei veri lamenti, sgorganti dal cuore”. Lo racconta Aulo Gellio.
Non credo si tratti d’una premonizione del futuro “metodo Stanislavskij”, che prescrive all’attore una totale immedesimazione, e simbiosi, col suo personaggio. Al riparo dell’abito femminile, Polos poteva finalmente piangere quel ragazzo morto come avrebbe fatto, senza virile ritegno, una madre, più che un padre. E certo commosse il pubblico come mai nessuno prima di allora.
Emulo di Polos, ma ancor più tragico nel destino, fu il celebre attore inglese Palmer. Costui aveva da poco perduto la moglie adorata e il figliolo prediletto, quando – benché addolorato e inconsolabile – dové tornare a calcare le scene per recitare il ruolo dello “Straniero” in una pièce di Kotzebue (Menschenass und Reue). Ma, “la fisionomia e i sentimenti del suo personaggio influenzarono a tal punto la sua disposizione d’animo”, che, dovendo rispondere nel quarto atto alla domanda che era nel copione e che gli veniva posta da un altro attore: “Come stanno i tuoi figli?”, tentò un passo, rinculò, emise un sospiro convulso, e cadde all’indietro, stramazzando in modo assai realistico. Il pubblico, ignaro, applaudì, convinto che quel ruzzolone facesse parte della trama. Invece Palmer rese l’anima, malgrado l’avessero soccorso tempestivamente.
“Considerando il gran numero di dettagli e testimonianze”, – conclude commosso il suo racconto lo storico del Teatro Victor Fournel – “non è possibile dubitare di questo fatto veramente straordinario”.
Il grande attore inglese morì sul palcoscenico il 2 agosto 1798. Le sue ultime parole, mentre spirava, furono quelle d’una battuta del dramma che stava recitando. Disse: “C’è un altro e miglior Mondo”. La frase, che ricorre nel terzo atto, per volontà di colleghi e amici fu posta sulla sua lapide tombale.
II- “Gaubier de Banault, ambasciatore (francese) in Spagna, assisteva a una commedia nella quale si rappresentava la battaglia di Pavia. Vedendo un attore abbattere colui che interpretava il ruolo di Francesco I, e costringerlo a implorare grazia e pietà con i termini più umilianti, saltò sul palcoscenico, e passò quell’attore a fil di spada, trafiggendolo da parte a parte”.
Sotto il re Giovanni II, «la “Passione di Cristo” fu la prima rappresentazione teatrale che abbia mai avuto luogo tra gli Svedesi. L’attore che impersonava Longino, volendo simulare di immettere la sua lancia nel fianco del crocifisso, non si contentò di fingere, ma, trascinato dall’ardore della recitazione, affondò realmente il ferro della sua arma nel costato dello sventurato che era sulla croce. Costui crollò morto, giù, sul palcoscenico, e schiacciò col suo peso l’attrice che recitava il ruolo di Maria. Giovanni II, indignato per il duplice assassinio cui aveva assistito e per la brutalità di quel Longino, si slanciò su di lui, e gli tagliò la testa con un colpo secco di sciabola. Gli spettatori, che avevano apprezzato fino allora più Longino che non il resto della compagnia, si indignarono talmente della severità del re, che si gettarono su di lui e, senza neppure farlo uscire dal teatro, gli mozzarono la testa».
Parabola amara, come se il Tempo sulla Scena non passasse mai: il 21 aprile 2000, durante una Sacra Rappresentazione pasquale messa in scena alle porte di Roma, Renato di Paolo – ventitré anni, di Camerata Nuova –, un attore che interpretava la parte di Giuda, si è impiccato realmente per errore, e il pubblico ha scambiato le sue convulsioni per talento recitativo.
Cito i titoli del giornale La Stampa, di qualche giorno dopo: “Muore impiccato mentre interpreta Giuda. Il giovane è stato tradito da una corda troppo corta”.
“Orrore alla Via Crucis sui monti laziali. La disgrazia scoperta dopo dieci minuti”.
“La sua interpretazione – è costretto a ammettere il vicesindaco del paese – era molto realistica e tutti la guardavano con interesse”.
in copertina: illustrazione da “Le Petit Journal”]