Gli Atti degli Apostoli (13, 37) affermano che, terminata la Passione con la morte, la salma di Gesù restò incontaminata, imputrefatta e imperturbabile nella tomba.
La teologia cattolica, partendo da questo postulato, argomenta che la Persona divina di Cristo “è rimasta unita alla sua anima e al suo corpo separati tra loro dalla morte”.
Per quanto possa apparire astrusa, questa teoria è essenziale per accedere al mistero della Resurrezione: il cui punto di partenza è che il corpo morto di Gesù è veramente il Corpo di un Morto, anche se Dio. La Persona divina permane nel Cadavere, ed è lei che mantiene e garantisce l’Integrità e l’Identità personale del Redentore, disarticolata dall’esperienza della Morte.
Anima di Gesù, Spoglie Mortali, e questo Terzo Elemento, la “Persona sua Divina”, sembrano così costituire una “triade” non meno misteriosa della Trinità.
C’è da chiedersi se non sia proprio in questo modo, cioè: “triplicandolo”, che i Padri della Chiesa abbiano tentato di salvare Gesù dalla condanna che dilania qualsiasi Semidio della Mitologia, mortale e immortale insieme. Con le loro contraddizioni irrisolte – malinconici, a volte piagnucolosi –, i “figli degli Dèi”, una volta defunti, vanno incontro, infatti, a un “duplice” destino.
Omero rappresentò Eracle dopo la morte, in triste e lacerata figura: metà nell’Olimpo, metà nell’Ade. Lassù, felice; nell’Erebo, al contrario, pallida larva vagabonda, inutilmente armata d’arco e frecce. La primitiva e poco smaliziata teologia pagana si contentava di affermare che quello olimpio era il vero Eracle, e l’altro solo la sua parvenza, un simulacro:
“Ed Eracle il possente vidi quando passarono; / la sua immagine anzi: perché lui tra gli dèi immortali / siede lieto al banchetto, / ed Ebe dalle belle caviglie gli sta accanto” (Odissea, XI, 601).
Chiunque nell’Ade potrebbe affrontare da pari a pari questo ex imbattibile forzuto per insultarlo, beffarlo, trattarlo da femminuccia, persino batterlo di santa ragione: mentre lui, ignaro e invulnerabile, si gode i suoi piaceri elisi. Eppure come triste sarebbe Eracle, se qualcuno l’avvertisse che la sua Immagine non è con lui! Se gli dicessero: laggiù sei oggetto di scherno e di pietà!
Ma non è ammissibile che un Uomo, che è anche Dio, non sia ricongiunto con la propria Immagine.
Si può supporre allora il motivo pel quale i fondatori della Chiesa abbiano escogitato per Gesù ben altro destino: per salvarlo dalla tristezza “mitica” che devasta qualsiasi semidio nell’Oltretomba.
Ercole è “bino”: la sua “divinità” ha abbandonato, come orfana, l’ombra mortale dell’Eroe nell’Ade. Cristo invece è “trino” – e questa triplicità sancisce e garantisce il suo reale Trionfo sulla Morte.
Così, mentre corpo materiale e Persona Divina di Gesù restano per tre giorni nella Tomba, salvaguardando la sua Immagine o simulacro (il cadavere) dalla corruzione, intanto, l’Anima e l’ubiqua Persona Divina del Cristo discendono agli Inferi.
II- Gesù infatti, è proprio morto, e come morto, appunto, conosce il destino di tutti i trapassati: l’oltretomba. Scivola nello Sheol, nel Pozzo di cui parlano i Salmi.
Paolo, l’Apostolo che non ebbe modo di frequentarlo – se non in visione –, non ha dubbi che Gesù abbia dimorato nel soggiorno dei defunti (Ebrei, 13, 20). Ci fu allora chi con inaudita coerenza sostenne che “nei tre giorni della sepoltura di Gesù Cristo, la sua anima discese agli inferi e lì fu tormentata insieme a quella dei dannati “. Tale fu il credo della setta degli Infernali, prosperata nel XVI secolo.
Tuttavia, secondo la maggioranza degli esegeti cristiani, altre furono le sue occupazioni. Come dice con metafora splendida Onorio di Atun il Solitario, Gesù “morse l’Inferno e poi mandò in Paradiso gli affrancati”.
Il Concilio di Toledo, che si tenne nel 625, stabilì che il Cristo disceso negli Inferi liberò i Giusti che l’avevano preceduto (così i vescovi rilessero anche Matteo, 27, 52-53). Se questa impresa durò tre giorni, dal venerdì della morte, fino alla Resurrezione, fa piacere dedurne che i Benemeriti dell’antichità fossero così numerosi da impegnarlo per tutto questo tempo. Tra essi c’erano il reietto Adamo, l’innocente Abele e, si spera, i bimbi vittime dell’obbrobriosa Strage degli Innocenti, soppressi da Erode solo perché potevano essere Lui, il Messia.
C’è pure da considerare il caso, che tutto questo tempo, impiegato dal Cristo per visitare i Morti dell’Inferno, dipenda invece dal loro numero spropositato, sesquipedale. Quanti erano i Morti da passare in rassegna? Non si è lontani dalla verità se si risponde: tutti. Tutti quelli che avevano vissuto sulla terra fino allora. Il Paradiso è stato vuoto per millenni. L’Inferno pieno come un uovo. Prima dell’avvento di Cristo, sostiene Gregorio Magno, era normale che ogni uomo andasse all’inferno [Moralia in Job, XII, 13].
L’ “Inferno liberato”, è l’Epica di Gesù: è l’atto più soprannaturale e rivoluzionario compiuto dal Redentore. Furono i Morti ad adorarlo per primi, come un Dio Vivente, ma anche come uno di loro.
Gesù, calando nelle bolge durante la sua morte corporale, redense l’Inferno, riuscendo così a cambiare il passato. La liberazione dei Giusti che languivano nell’Averno o nello Sheòl, oppure impigrivano nell’abbraccio di Abramo, è – ancor più che la Resurrezione personale di Gesù –, il gesto supremo e costitutivo della nuova religione cristiana. L’autentica Novità, impensabile fino allora dagli antichi. Ciò che solo un “Dio Morto” poteva fare.
III- Afferma l’ultima versione novecentesca del Catechismo della Chiesa Cattolica (§ 1067), che Gesù “morendo ha distrutto la nostra morte e risorgendo ci ha ridonato la vita”.
Il Messia dei Cristiani è stato chiamato dai Padri della Chiesa la “Primizia” dei Morti. In un certo senso, Gesù ha inventato la Morte. È stato il primo Morto vero. Prima c’era la Morte, ma non c’era la ragione della Morte.
Si moriva come le bestie – un po’ da cani, quando andava bene, ma per lo più, da insetti. Miliardi di uomini erano deceduti avanti Cristo, e la maggioranza tra loro aveva sperimentato in extremis sofferenze e torture molto più atroci delle sue. Questa mattanza universale era indubbiamente priva di senso, e tutto l’armamentario scintillante dell’Aldilà, messo in piedi dai giorni della Creazione, (se esisteva davvero) si stava arrugginendo –, quando: Gesù scese tra i Morti come morto tra i Morti, a spiegar loro non perché fossero morti, ma: che erano ancora Vivi.
Secondo i cristiani, la ragione della Morte è la Vita. Non quella passata, ma la Futura.
Saggiamente ci ammonisce Paolo Apostolo (1Cor 15, 14): “Se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione e vana anche la vostra fede”. Se Cristo non è risorto, tutta la sua confessione religiosa è falsa. E lo stesso può dirsi, ed è stato detto, se Cristo non fosse morto. In un certo senso, un cristiano coerente è spinto a credere: che la Morte fu creata da Dio, perché Cristo suo figlio venisse ucciso.
Per una mente spirituale, ugualmente religiosa, ma in modo libero e laico, la vera Tragedia dell’Umanità si è ugualmente consumata sulla Croce, ma in senso inverso: nel momento in cui Gesù, pur potendo, non ha chiamato gli Angeli a salvarlo. In quel momento fu stabilito per sempre che la nostra Vita migliore sarebbe trascorsa nell’Aldilà.
[in copertina: Pietà, di Carlo Crivelli]