V- Sheik al-Mansur, adottato il nome aggiuntivo di “Ushurma”, fondò nel Caucaso una religione altrettanto effimera, quanto il suo regno. Quando fu giunto all’apice del successo militare, impose al suo popolo una tavola di ventiquattro comandamenti, il primo dei quali decretava: “Non c’è che un unico Dio, da adorare in spirito e verità, ogni culto esteriore lo offende”. E recitava, il quinto: “è un crimine vergognoso pregare e ringraziare l’Onnipotente”.
Tra le altre prescrizioni del profeta, risaltano: l’indulgenza verso il furto, ma solo se perpetrato “per necessità”; la libertà d’incesto e la licenza sessuale, concessa a tutte le donne, ma non a quelle maritate – le quali, come adultere, meritavano la lapidazione. Mansur sancì poi la liceità del suicidio: ma condannò l’ozio, il tradimento, l’avarizia e la vigliaccheria con più rigore che l’omicidio, per il quale non stabilì pene precise. I suoi soldati, decine di migliaia, giurarono di rispettare queste nuove leggi profetiche, a costo della vita.
Giunse presto in Europa la notizia che il misterioso Sceicco intendeva riformare il Corano, imporre un Dio che unificasse le Religioni ebree, cristiane e musulmane, e che bollava il Papa e il Gran Muftī col titolo infame di “impostori”. Incuriosirono, affascinarono, queste novità, la stampa, gli intellettuali, i “deisti” e i rivoluzionari d’Occidente, come il comunista Filippo Buonarroti, che poi ordirà la “Congiura degli Eguali”.
Due giorni dopo aver diffuso i suoi comandamenti, Mansur decise di ispezionare le truppe. Mentre attraversava l’accampamento notò due turchi che pregavano Allah all’antica maniera. Scese da cavallo, li rimproverò, li abbracciò con trasporto “e a uno sparò, uccidendolo, l’altro lo pugnalò a morte con il suo spadino ricurvo”.
Di fronte a tanta spietatezza, e alla reazione di fanatico consenso che riscosse tra i soldati, stupisce che il Profeta fosse uno straniero in quei luoghi e, per di più, un monaco, un cattolico italiano. Però: era davvero il domenicano Boetti a comportarsi così? La Relazione che abbiamo citato finora non ha dubbi in proposito: è lui. Ma il testo si interrompe con la data: “ottobre 1786”. Il peggio deve ancora avvenire.
VI- Ci furono profeti, grandi profeti a giudicare dall’ascendente che ebbero sui popoli, che non seppero predire il proprio destino, e andarono incontro alle catastrofi più rovinose. Oppure: se lo conoscevano, vollero ugualmente percorrerlo fino in fondo, nascondendolo ai seguaci. Mi pare questo il caso di al-Mansur.
Quando l’impero russo rinforzò la presenza delle sue armate a difesa della “linea Caucasica”, il sistema di bastioni ideato per proteggere le sue frontiere dalle invasioni ottomane, il profeta si sentì sfidato apertamente.
A questo punto, (lo rimarca l’arabista Jevolella, nel bel libro I Sogni della Storia) cominciò la sua parabola discendente. Inebriato dai trionfi militari e dalle sue “visioni”, lo Sceicco sbagliò due mosse. Assediò senza fortuna, inutilmente, una fortezza russa, dalla quale dovette poi ritirarsi con perdite gravi. Ma la perdita peggiore fu quella della fama che gli aveva dato il nome di Mansur, il Vittorioso: l’imbattibilità. Alle prime avvisaglie dei rovesci, perse l’appoggio dei feudatari del Caucaso, mai alleati fedeli, ma corsari interessati solo alla rapina, che durante una battaglia cruciale, lo tradirono abbracciando la causa di Caterina Seconda.
L’esercito di Boetti fu decimato. Per ripicca, il Profeta passò dalla parte degli ottomani.
Si batté con audacia e coraggio leonino nella guerra russo-turca. I nemici lo catturarono il 22 giugno del 1791, mentre difendeva strenuamente la fortezza di Anapa. L’imperatrice Caterina gli salvò la vita ma lo condannò all’ergastolo. Fu rinchiuso sul Mar Bianco, nel monastero di Solovetsk. La sua detenzione, che doveva essere “perpetua”, durò appena tre anni. Giovanni Battista Boetti, domenicano, Profeta, il “Mansur” dei Ceceni morì, sembra, di morte naturale. Ma anche in questo caso, come in tutta la sua biografia, ogni dubbio é lecito.
VII- La slavista Serena Vitale, nel suo saggio-romanzo L’imbroglio del turbante ha affrontato la storia del profeta come fosse una sciarada. Secondo lei, ci furono molti, diversi, Mansur (e tra loro un altro italiano) che fecero proseliti, e guerreggiarono, verso la fine del secolo decimottavo, in un ristretto comparto geografico: il Caucaso. Forse, addirittura 5 o 6 . Uno solo di questi era davvero Boetti: ma non fu lui lo Sceicco Ushurma, il vincitore di Pieri.
Tuttavia: perché non congetturare che nello stesso lasso di tempo e nella stessa area operarono invece cinque o sei diversi Boetti?
Un uomo a cui, per sua stessa ammissione, aveva dato di volta il cervello, può ben assumere sei diverse identità.
Di quattro dei suoi “mascheramenti”, la Relazione ci aveva già restituito il nome: Giovanni Battista, frate, piemontese; Paffliss medico di Costantinopoli; Abdalla, che dopo un viaggio di migliaia di chilometri si prosternò davanti al papa, e gli parlò banalmente, come un uomo comune. Ci fu poi un Boetti mercante d’armi, e poi naturalmente un sosia di al-Mansur, in una delle sue numerose declinazioni. Ne manca uno: la Relazione si arresta prima della catastrofe, ma forse semina qualche indizio, fa in modo che lo riconosciamo. C’è, ci può essere, un Boetti – suggerisco –, che è “sopravvissuto” al crollo rovinoso dello Sceicco, in quanto era già “scomparso”. Letteralmente, letterariamente.
Di norma ritengo che non sia corretto spiegare un mistero adducendo un altro mistero, e cercare di illuminarlo con quello: moltiplicare i misteri finisce per gettare una luce oscura e opaca persino su quello che già sappiamo con certezza. Però dev’esser consentito a chi esercita – come metodo di conoscenza – Fantasia e Immaginazione, formulare un’ipotesi di lavoro, non una soluzione, e indicare un percorso che forse può aiutare a sciogliere l’enigma.
Quindi aggiungo questa mia congettura personale alle tante: che Boetti fu effettivamente presente in tutte le imprese di Sheik Mansur Ushurma; ma non fu lui, il liberatore e profeta dei ceceni.
Nella Relazione si racconta (e non sembra un fatto degno di rilievo: dunque, perché?) che dopo misteriosi colloqui con gli emissari di Costantinopoli il profeta cominciò a scrivere direttamente le proprie corrispondenze “per non far conoscere i suoi affari a nessuno”. Prima, per questo tipo di incombenze, si serviva d’un Segretario greco, che una volta distolto dai suoi compiti, riuscì a fuggire portando via con sé una bellissima schiava e uno scrigno ricolmo di preziosi. Quando raggiunse Costantinopoli, dentro la cassetta trafugata fu rinvenuto “il Diario del profeta scritto di propria mano dal giorno della nascita fino ad oggi, e tramite esso siamo informati di tutte le sue avventure”.
Non è più facile ipotizzare che il Diario non sia stato affatto sottratto, ma sia sempre stato in possesso del segretario, perché era il suo, scritto di suo pugno? Un documento veritiero nella prima parte, quando parla della giovinezza di Boetti, delle sue amare vicissitudini di monaco, e delle sue peripezie in Oriente; ma poi menzognero nell’attribuire al frate monferrino le valorose imprese di al-Mansur.
Dunque ipotizzo: Boetti è stato Segretario e consigliere del vero Imam, profeta e sobillatore del Caucaso (all’epoca della sollevazione, poco più di un ragazzo). Non un greco, informazione messa lì per depistare, ma un italiano che fingeva d’esserlo. Poi, nel turbine degli avvenimenti, appena col suo machiavellico intuito comprese che lo sceicco stava perdendo le sue alleanze e quindi ogni possibilità di vittoria, lo abbandonò. Era troppo furbo per morire per una causa persa.
Non si deve dimenticare che il Diario è l’unica prova “storica” che al-Mansur e Boetti sono la stessa persona. Che questo documento non sia mai stato ritrovato, lascia persino supporre che non sia mai esistito veramente.
Centrale per la ricostruzione “pilotata” degli eventi, è la Relazione: guarda caso, redatta anch’essa a Costantinopoli, luogo dove aveva trovato rifugio il Segretario, forse godendo, in quanto “spia”, della protezione della Sublime Porta.
Ricco, o remunerato, e nascosto, sotto false generalità, in qualche harem o monastero in terra turca, mi piace immaginare Giovanni Battista che scrive in un improbabile francese – proprio per non farsi riconoscere –, oppure detta o ispira il contenuto della Relazione, e poi lo invia lui stesso per denaro al re di Sardegna, Vittorio Amedeo III: rinnovando un gioco delle parti nel quale gli Italiani (anche quelli “Impossibili”) sono sempre stati maestri: quello di servire contemporaneamente due padroni…
Boetti desiderava soprattutto comporre il proprio panegirico, nel modo più anonimo possibile. Perché? Per superbia e puro spirito di rivalsa sui nemici. Che non erano turchi, né russi, né caucasici, ma italiani, e su tutti: i papalini. Gli stessi che l’avevano umiliato, dovevano sapere fino a che punto si era spinto, che razza di “superuomo” fosse diventato: al-Mansur, il “Vittorioso”, il profeta che “alla testa di ottantamila uomini, conquistò l’Armenia e la Georgia, il Kurdistan e la Circassia, e vi regnò per anni, qual sovrano assoluto”.
[FINE.
LA PRIMA PARTE DELL’ARTICOLO È STATA PUBBLICATA IL 2 GIUGNO]