I- Perché un nuovo Messia, un figlio di Dio oppure l’Uomo più importante di tutta la Creazione, debbono essere per forza fondatori di nuove religioni? Dobbiamo valutare certe esperienze teologiche profonde, certe teofanie, sulla base del loro successo di pubblico e sul numero dei proseliti che hanno fatto?
Si dà il caso invece che tra le “emanazioni di Dio” ci siano anche uomini e donne comuni, borghesi che magari hanno passato una vita oscura tra cliniche psichiatriche e manicomi. Come Daniel Paul Schreber, conosciuto dai suoi posteri come “il Presidente Schreber”.
Il “Presidente” era paranoico, secondo l’accezione clinica corrente. Elias Canetti studiò il suo caso in Massa e Potere, perché, sostenne, “la paranoia è, nel significato letterale della parola, una malattia di potere“. Non è indotta dal Potere. Non ne è una degenerazione, ma l’essenza.
Di Schreber parlò anche e soprattutto Freud dal punto di vista “clinico”, ma – caso strano per un terapeuta del suo valore e con i suoi scrupoli – senza conoscerlo e diagnosticarlo direttamente.
Il Presidente era a detta dei testimoni amabile, mai violento, lucido, giudizioso come si addice a un magistrato e ad un politico, dotato di bonomia e assolutamente in grado di vivere in società. Ci furono persino sentenze di Tribunale che lo restituirono alla libertà.
A quanto sembra, Schreber era della stessa pasta di Swedenborg: entrambi erano mistici paranoici e schizofrenici. Swedenborg non ebbe però bisogno d’essere internato – perché godé di attento séguito tra i contemporanei; o perché i manicomi, alla sua epoca, erano una novità.
Purtroppo, invece, Schreber stesso distrusse la propria credibilità: non solo finendo ripetutamente in casa di cura, ma scrivendo e pubblicando senza soverchie censure e reticenze –contro il parere del mondo intero – le proprie astruse Memorie di un malato di nervi (nel 1903). Di conseguenza, mentre il suo contributo alla psichiatria è innegabile, nessuno ha mai preso sul serio le sue rivelazioni in campo religioso, che erano notevoli.
Il sistema fideistico schreberiano era ricchissimo e, a suo modo, coerente.
Andando – se si può – con ordine, il Presidente “credeva di essere investito dalla missione di redimere il mondo e di restituirlo alla perduta beatitudine, ciò che, però, avrebbe potuto fare solo se, prima, da uomo si fosse trasformato in donna“. Naturalmente è su quest’ultima metamorfosi che Freud, infaticabile segugio annusatore delle questioni di Sesso, concentra la sua indagine.
Era Dio che voleva trasformarlo in femmina e “sedurlo”, per farne la “fattrice” della futura Umanità. Muta carne. Egli sentì persino in sé il brivido di quell’embrione divino, come fosse stato fecondato a sua insaputa, dopo un abuso misterioso ma ampiamente preannunciato.
Schreber sostenne poi d’aver provato nel proprio corpo qualcosa “di simile alla concezione di Gesù Cristo in una vergine immacolata”. Eppure, non figliò.
Il Presidente reputava che la sua “femminilizzazione” fosse indispensabile, per Dio: perché da lui sarebbe scaturita una “nuova razza umana”.
Una missione così superlativa, avrebbe potuto esaltarlo e renderlo un Profeta arrogante, una Prima Donna del Creato, ma non fu così. Il malato, specifica Sigmund Freud, non fece mai “alcun tentativo per convincere la gente a riconoscere la sua missione di Redentore”.
Il Segreto fu però quasi obbligato: perché mentre scriveva le Memorie, Schreber si rese conto che Dio, ingannandolo, alle sue spalle si prodigava come complice, o istigatore, di un complotto micidiale contro di lui, teso ad “assassinare” la sua anima.
Non interessa qui, che Schreber prima o dopo abbia scoperto che Iddio non era altri che il suo psichiatra curante, il dottor Flechsig di Lipsia, e che abbia paventato (o desiderato?) che il medico abusasse sessualmente di lui.
È la “Paranoia come Sistema”, come Chiave Universale di lettura di tutto l’Esistente, che si rivela nelle sue Memorie. Una volta identificato nelle sue linee essenziali, come struttura logica profonda, il Sistema può essere poi rintracciato in insospettabili, ma consimili cosmologie, in determinate e ordinate costruzioni teologiche, e persino nelle filosofie di celebri pensatori.
II- L’Essere Supremo, in Schreber, è un Dio senza corpo: è “formato di soli nervi”, nervi infiniti, eterni, che possono anche essere chiamati “raggi”. “Terminata l’opera della creazione, Dio si ritrasse a un’immensa distanza, e, in linea generale, affidò il mondo alle sue proprie leggi, limitando la Sua attività ad attrarre verso di Sé le anime dei defunti.
Ma allora, se è così lontano, se non ha mai avuto un corpo vivo addosso: come può giudicare gli uomini? Come può assolverli o condannarli?
Il Dio del Presidente, “abituato ad essere in comunicazione soltanto con i morti, non comprende i vivi“. “Dio non sa nulla dei viventi, né deve sapere nulla; Egli, in armonia con l’Ordine delle Cose, doveva essere in comunicazione esclusivamente con i cadaveri […] o tutt’al più, con le persone addormentate, cioè tramite i sogni”. Ne consegue che Dio è (“Incredibile scriptu!”, esclama lo stesso Schreber) un inguaribile, limitatissimo incapace mentecatto.
Qui aleggia il nucleo originario di pensiero che ha portato al Credo degli Gnostici, per i quali, a creare il Mondo, è stato il più inetto degli Arconti.
Non è il caso di sottolineare tutti i risvolti teologici di questa impostazione; ma, credo, ne comprendiamo l’importanza, soprattutto per un cristiano disilluso, come Schreber.
Quindi Dio si è accanito sul Presidente perché, incapace com’era di giudicarlo rettamente, l’ha considerato un “idiota”. Questo accanimento , questa “perfidia” rifulgevano, per esempio –dice Schreber –, quando andava, di corsa, in bagno per “c…”: Dio, con un “miracolo” faceva in modo che lo trovasse perennemente occupato, perché qualcun altro era entrato un attimo prima nella toilette. “È un fenomeno che ho osservato per anni e in occasioni talmente innumerevoli, migliaia e migliaia, e con tale regolarità che posso escludere qualsiasi possibilità di attribuirlo al caso”. Schreber però è furbo, è un combattente: “di solito, siccome trovo il gabinetto quasi sempre occupato, mi servo di un secchio a questo scopo”.
Stabilito un tale quadro di avvenimenti, è ovvio che tutto l’universo ruoti intorno a Schreber. È anche possibile che questo universo non esista più: sia un’illusione di Dio per confonderlo e traviarlo.
A un certo punto della sua vicenda (quando è convinto siano già passati duecentododici anni dal giorno del suo internamento), egli piomba nella certezza di essere “l’unico uomo rimasto al mondo”. La terra è perita in una grande catastrofe.
Ci informa un clinico esperto, William Mayer-Gross, che ha studiato a lungo fenomeni come questi: “Per annunciare a uno schizofrenico l’Apocalisse, basta un nonnulla, che egli graverà d’ogni significato: entra in un caffè e vede tre tavoli bianchi, per lui sono segno del finimondo”. Tutto è Segno, o Segnale – del peggio – per un paranoico, che è sempre sul chi vive.
E infatti: dai “vestiboli del Cielo”, arrivano giù, in forma di uccelli parlanti, resti di “anime caricate di tossine cadaveriche e mandate a lui” apposta per insultarlo. Gli si presentano anche uomini che egli sospetta siano stati “improvvisati sul momento” e “per miracolo”, creati solo per infastidirlo. È una fantasia – o una certezza – che accomuna Schreber ad altri intellettuali, mai sospettati di pazzia. Kafka per esempio, descrisse uno di questi “bozzetti d’uomini” in un abbozzo di racconto nel suo Diario. Nei sogni, creature di tal fatta, magari appena schizzate o a brandelli, ci appaiono e ci punzecchiano di continuo.
È il momento più buio della sua persecuzione. Sembra imminente l’attacco finale. Tutto intorno a lui è falso. “Di tanto in tanto”, si lamenta, “gli veniva messo in mano un giornale con la notizia della propria morte“.
Il prezzo di questa battaglia finale è, evidentemente, la follia di Schreber.
Ha perso? Ha vinto? Freud non lo sa. Il padre della psicoanalisi, scrivendo di lui nel 1911, ignora addirittura se sia ancora vivo, ma osa credere che “si sia liberato del sistema delirante da lui descritto”: segno che le sue condizioni non erano poi così disperate.
Freud ritiene infatti che il suo delirio – come quello di tutti i paranoici – non vada interpretato tragicamente, ma piuttosto come “uno sforzo verso la guarigione, un processo di ricostruzione“. Esattamente come si figurava la propria vicenda esistenziale Schreber: in palio c’era la Salvezza.
Se il paranoico non fosse così concentrato su se stesso, avrebbe molte cose da dire all’Umanità. Forse i grandi Eroi della Storia (gli “Eroi” alla Carlyle), sono tutti paranoici, non individuali, ma “sociali”, cioè, “paranoici di massa”.
Il libro Memorie di un malato di nervi, scritto dal Presidente Schreber nel 1903 e pubblicato a spese dell’autore, “fu comprato in blocco dai suoi parenti, ritirato dal commercio e distrutto, cosicché – ne rimasero pochi esemplari”.
Schreber vi aveva scritto, come abbiamo visto: che stava per essere trasformato in donna; e che, non appena il suo medico curante, che altri non era che Dio, l’avesse violentato, avrebbe dato vita a un nuovo genere umano. Credo che i parenti, sequestrando lui e il libro, insieme alla difesa del buon nome di famiglia, volessero prevenire anche l’ira e le querele di quel medico.
Walter Benjamin, che collezionava testi di “Malati di mente”, riuscì a impossessarsi d’una delle poche copie reperibili sul mercato. Lettore smaliziato, ma entusiasta, il filosofo ammirava le Memorie, e le giudicava un “documento grandioso”. Certo, lo sono.
Gran merito di Schreber, anche se non originale, è averci chiarito cosa voglia dire, per un uomo sensibile e dotato di giustizia, vivere in un universo dominato da un totale fraintendimento dell’Essenza Umana, da una infrangibile incomunicabilità e last but not least, da un Dio inebetito da limiti, voglie impotenti, ambasce.
Ebbe, il Presidente, l’intelligenza della sua condizione: gli mancò, purtroppo, la Fantasia. Ossia: il punto di vista “Fantastico” dal quale poteva riconsiderare le proprie idee e i propri accadimenti per riuscire, quanto meno, a arginarli, se non a superarli. E questa deficienza si rivela, ancora una volta, la malattia mortale dei teologi. Nonché, degli psicoanalisti.
[in copertina: La tentazione di sant’Antonio, di Joos van Craesbeeck (particolare)]