Di solito l’apprezzamento del marito aumenta, durante lo stato vedovile.
I- Aulo Gellio tramanda che Artemisia II miscelò con profumi le ossa e le ceneri del marito Mausolo, e dopo averle ulteriormente polverizzate, “le sciolse nell’acqua e le bevette”. Pare, che sorbì quella bibita in più giorni.
Ma fu davvero l’Amore, che ispirò il gesto della moglie affranta?
O piuttosto Artemisia – è lecito il sospetto – volle superare in ambizione e grandezza il marito, donandogli un più leggendario monumento funebre di quello che fu eretto per lui, e che col titolo di “Mausoleo” fu onorato come una delle sette meraviglie del mondo?
Potrebbe allora aver ragione Valerio Massimo, per il quale la donna “invero desiderò divenire essa stessa sepolcro vivo e spirante di Mausolo, secondo la testimonianza di quanti raccontano che ella bevve da una coppa, nella quale erano state sciolte le ossa del marito estinto”.
Oltretutto: se i resti mortali di Mausolo sono stati ingurgitati dalla moglie, la sua sontuosa sepoltura, cosa conteneva? Era dunque uno sproporzionato “cenotafio”?
II- Leggenda vuole, che Laodamia, moglie del primo dei Greci che ebbe l’onore di cadere a Troia, Protesilao, “continuò ad amarlo anche dopo la morte e dopo aver fatto plasmare un’immagine identica a Protesilao si univa a essa”. Così si legge in Apollodoro.
La moderna cronaca parigina, in modo non meno sconcertante, registra che la contessa d’Harcourt, inconsolabile per la perdita dell’adorato coniuge, commissionò a un artista un fantoccio in cera, a grandezza naturale, che ne riproducesse perfettamente le fattezze. Lo volle “vestito come quando era malato, in robe de chambre, seduto accanto al letto” dove era solito dormire. La stanza che accoglieva il succedaneo era la stessa che aveva visto l’agonia del marito morto, religiosamente conservata nello stato di allora. Non passava giorno che Madame Harcourt non s’introducesse nella camera per intrattenersi in lunghe conversazioni con il manichino, nell’amorosa illusione di parlare a un uomo vivo. Si accompagnava a “questa effigie muta, discorrendo della costanza del suo amore, e la vivacità del lutto suo”.
Così trascorsero gli anni. Tutta Parigi conosceva questa triste storia. Nel 1769, la contessa consacrò al marito un maestoso monumento funebre all’interno di Notre-Dame, nel quale si fece ritrarre dallo scultore Lemoyne – lei stessa, viva –, in disperato atteggiamento di dolore. Ignoro se anche il fantoccio sia finito dentro quel costosissimo mausoleo, ma certo la gran dama se ne liberò (se lo fece mai) con ripugnanza, con trepidazione.
Spontaneo, in noi cuori induriti, sorge un dubbio: perché, pur dovendo convivere così a lungo con l’immagine del defunto, la nobildonna non lo fece riprodurre in età più giovanile, o con degli abiti più ricchi e più gradevoli? Perché, immagino, l’Amore vuole continuità, e per questo, vive sempre nel Presente. Non si accontenta di ricordi o di promesse. [dalla Fantaenciclopedia]
[in copertina: El Pelele, di Francisco Goya]