I- Ralph Waldo Emerson sospetta che “un’unica persona abbia scritto tutti i libri che ci sono”, perché c’è “una tale uguaglianza e identità tra loro, sia di giudizio che dal punto di vista narrativo, che è lampante si tratti dell’opera di un solo gentleman, che tutto vede e che tutto sente”.
Borges amava citare questo passo degli Essays col quale sostanzialmente concordava: quella del Libro era infine la sola Metafisica che il grande argentino approvasse.
Non sono affatto sicuro, però, che dietro tutti i libri si avverta la stessa mano, la stessa mente schizoide e trasformista. Ci sono libri che si elidono a vicenda, che si azzuffano, si uccidono. Ci sono libri che hanno assassinato i loro autori, e autori che hanno bruciato, dissipato i loro libri.
Disraeli, diceva: “Quando voglio leggere un romanzo lo scrivo”. Sembra rispondergli Karl Kraus: “quando non si sa scrivere, un romanzo riesce più facile di un aforisma”.
Domandarono a Oscar Wilde, quali fossero i migliori dieci libri nella storia della Letteratura; replicò: “Tempo al tempo, ne ho scritti solo tre”.
Certi scrittori con le loro opere, in segreto o in pubblico, hanno aspirato a sopprimere la concorrenza, eredi autentici dei piromani delle biblioteche. Così i proclami di tutte le avanguardie incendiarie del Novecento, secolo confuso.
Dov’è quest’armonia o “unità centrale”, questo progetto “libresco” comune? Convince di più l’immagine di una primogenitura e di tante famiglie, tanti popoli diversi di libri. Preferisco una storia libresca patriarcale, ma storia, piuttosto che ipotizzare un’opera orizzontale, onnisciente, di un dio della scrittura. Meglio credere che i libri, in numero di due, siano usciti anch’essi con Noè dall’arca del diluvio, insieme agli animali, e abbiano cominciato, lentamente, a ripopolare il mondo.
L’Umanità, invece, dicono Borges e Mallarmé, tende a un Libro, un Libro solo. Ma, come accade per le lettere dell’alfabeto gettate a grappoli e a caso nella piazza, che aspirano a comporre l’Eneide, l’Umanità sta in qualche modo combattendo i suoi difetti e i suoi grovigli incomprensibili, affinché la si possa leggere, alla fine, come una sublime opera letteraria, nella sua interezza, grammaticale, ortografica e “poetica”.
Forse agli occhi di Chiunque sia il nostro “Editore”, siamo già quell’opera, ma egli adesso ci degna poco del suo sguardo, perché attende che ci liberiamo dei nostri intollerabili refusi. Dobbiamo imparare, uomini e donne, a correggere non i nostri peccati, o istinti, ma le nostre bozze. In questo senso possono persino aver ragione gli idealisti integrali come Borges e Mallarmé: L’Umanità, il Mondo, tendono a un Libro. Purché venga emendato da tutti i nostri strafalcioni.
II- I Libri sono il nostro perfetto compagno, nell’alcova.
In questa promiscuità Walter Benjamin ha riscontrato, stranamente, il segno di una certa, riprovevole, facilità di costumi: i libri, per il filosofo di Strada a senso unico, sono come le cocottes: prova ne sia che entrambi, Libri e prostitute, “si possono portare a letto”. Li prendiamo per mano, e li stringiamo, proprio come se fossero cocottes, quando più ci aggrada, pregustando un corpo a corpo silenzioso, con loro, che sia fonte di grandissimo piacere.
Tuttavia: è vero che cerchiamo, con i libri, il massimo dell’intimità, ma è quel tipo di intimità che concediamo solo a chi vogliamo poi accanto tutta la notte. Vogliamo che i libri dormano accanto a noi. Non sempre accade lo stesso, ai maschi, con le avventure passeggere, neanche dopo le più eccitanti.
Anche Alberto Savinio giudicava la lettura, “di tutte le operazioni, la più indelicata, la più indiscreta e in fondo la più illecita”. Per questo, sentenziava, il lettore non sopporta che altri legga assieme con lui nello stesso libro. Chi legge considera la lettura un’operazione intimamente “clandestina e, per leggere, si apparta come l’animale per morire”. Forse però questo pudore malinteso da Savinio non è quello del moribondo: è proprio, invece, dell’innamorato. Anche chi cade nei lacci dell’Amore ama appartarsi, ama fuggire. “In effetti penso che leggere un libro sia un’esperienza non inferiore al viaggiare o innamorarsi”, confessa Borges. Solo nell’esercizio dell’Amore, sperimentiamo emozioni simili a quelle che ci permette la lettura.
III- In una lettera a Francesco Vettori (10 dicembre 1513), Niccolò Machiavelli ha scritto parole celebri e partecipi sul rapporto che lega gli esseri pensanti ai Libri: “Venuta la sera, mi ritorno in casa ed entro nel mio scrittoio; e in su l’uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e curiali; e rivestito condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui uomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum è mio e che io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro e domandargli della ragione delle loro azioni; e quelli per loro umanità mi rispondono; e non sento per quattro ore di tempo alcuna noia; sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte; tutto mi trasferisco in loro”.
Anche Julio Cortàzar ha espresso la stessa tesi: che la Lettura provochi una “sospensione” del Tempo. È un’esperienza che facciamo tutti: inabissandoci in un Libro rapinoso, il Tempo viene abolito, e, quando ci “risvegliamo” sulla pagina, le ore trascorse ci sembrano un’invenzione, un trucco dell’orologio. Se ne potrebbe arguire che, se per alcuni momenti, accettiamo l’idea che il tempo sia scomparso, un “Tempo”, che non riesce ad esistere sempre, potrebbe anche non esistere per nulla. Il Tempo è talmente onnivoro che deve essere per definizione onnipresente. Ma un’obbiezione, distruttiva, è in agguato: non il Tempo, ma noi, non c’eravamo in quel momento – mentre leggevamo avidamente il nostro Libro. Come nel sonno, come nella morte. Nessuno, morendo, confuta il Tempo. Confuta solo se stesso.
IV- “Tutto ciò che ambisce a durare nel tempo, deve diventare Libro”. Davvero memorabile, questa massima di Alberto Savinio.
“Libro”, e direi: Racconto.
È forse questa la ricetta dell’immortalità? Presumibilmente, anche gli uomini e le donne che vogliono durare, e vivere al di là del tempo loro concesso, non cercano un’eternità qualsiasi, ma un’eternità da “libro”. È difficile immaginare un immortale che non sia, non voglia essere, anche un “testimone”: cioè infine, un “uomo-libro”, un resoconto vivente del suo Tempo, un tempo senza fine.
Accetteremmo l’eternità se questa comportasse la perdita della memoria e la possibilità di registrarla, scriverne, o essere trascritta? In che differirebbe allora questa condizione tanto ambita da quella del reincarnato, colma d’istupidito oblio e penuria d’esperienza?
Gli Eterni aspirano istintivamente alla consultazione, debbono andare in giro con la loro rilegatura in bella mostra; altrimenti, che senso avrebbe la loro fatica di sopravvivere? Un’eterna vecchiaia da Sibilla del Satyricon, questa non va augurata a nessuno, certo, ma neanche una giovinezza eterna, e maledetta, che si ritragga dall’altrui incontro, dall’altrui lettura.
V- Nel suo “buen retiro”, la torre di Juan Abad, il poeta Francisco de Quevedo dedicò ai suoi libri preferiti, i classici, versi come questi:
“…Vivo en conversacion con los defuntos,
I escucho con mis ojos a los muertos…”
“… vivo in conversazione coi defunti,
e vo ascoltando coi miei occhi i morti…”
In effetti, la Lettura mette in misteriosa connessione l’occhio e l’orecchio. Grazie ai libri, noi vediamo parlare i grandi spiriti. La loro voce annerisce le pagine candide del libro.
Nel gioco delle somiglianze, non deve però sfuggirci neppure quella dello Specchio al Libro. Gutenberg, prima di inventare la Stampa a caratteri mobili, produceva specchi e aveva insegnato ai propri soci un nuovo metodo per fabbricarli. E, un tempo, era costume inserire uno specchio, nella rilegatura dei libri di preghiere.
Nel Libro, è la nostra Mente, che si specchia.
Noi, forse, ci affacciamo sulle pagine d’un Libro per sognare chi siamo, esattamente come se guardassimo dentro uno specchio magico – uno specchio che ci rimanda, di riflesso, di noi un’immagine migliore, meno narcisa e solitaria.
Il lavoro del Libro su di noi è pari, in certo senso, a quello di Iddio secondo il vescovo Berkeley: mentre leggiamo, in solitudine, il testo scritto ci osserva, e ci salva dall’annullamento.
[in copertina: illustrazione da Paul Lacroix, Contes du bibliophile Jacob à ses petits-enfants… (Chromolithographie d’après Emile Wattier)]