Tra gli “Amori Folli”, quelli per le Statue hanno sempre avuto un ruolo privilegiato nella Storia. I miti più antichi raccontano che Pygmalione, scultore, trasse dal marmo l’effigie d’una Ninfa priva di indumenti, e poi se ne innamorò, al punto ch’essa prese vita sotto i suoi occhi. Naturalmente Pygmalione è il vero simbolo dell’innamorato-narciso: il quale sempre si crea, per se stesso, la donna “ideale” – in quanto inesistente. Difficile non è farla rivivere, dopo aver trasformato quest’ideale in statua, né farla scendere poi, miracolo d’Amore, dal piedistallo; difficile, per il narcisista, è convivere con lei, senza farla ritornare – per noia o ghiribizzo – il bel marmo che era.
Al di là della leggenda, l’artista che scolpisce tutto, d’una Dea, tranne i veli, s’assume una gravissima responsabilità. Più grande e precisa è la sua arte, e più la espone alle pulsioni irragionevoli degli appassionati, e in ultima istanza, pure a qualche crimine contro la decenza.
Varrone narra (e lo riporta Plinio), che un giovane cavaliere romano, di nome Junius Pisciculus, si infiammò d’amore per la scultura ignuda di una Musa, una “Tespiade”. La statua proveniva dal saccheggio di Corinto, ed era stato il distruttore di quella prosperosa e colta città, Mummius, a donarla, insieme a molte altre, al Tempio della Fortuna in Roma. Alchida di Rodi, da parte sua, impazzì perché invaghitosi della statua levigata di un Cupido che si trovava in Pario, colonia del Propontide, e come dice Giovambattista Adriani in una sua Lettera a Messer Giorgio Vasari, “dello amore vi lasciò il segnale”.
Prassitele scolpì un’immagine di Venere che pose in un Tempio di Cnido. Racconta Valerio Massimo, che la statua “era così bella, che non riuscì a proteggersi dall’assalto di un libidinoso maniaco sessuale”.
Secondo le Curiosités des Beaux Arts, la statua della Giustizia, all’interno della Basilica di San Pietro in Roma, fu ingiuriata da una simile aggressione. Un esaltato Spagnolo pare avesse, di fronte a tutti i devoti, sparso il suo seme sulle rotondità della prosperosa Allegoria. Se ne può immaginare lo scandalo. Da allora la Giustizia tentatrice fu “rivestita dal Bernini di una tunica di bronzo, dipinta col colore del marmo, per evitare un secondo attentato”.
Il più famoso racconto della Letteratura Fantastica sul connubio d’un uomo normale con una Statua, è di sicuro La Venere d’Ille. Ma prima di giungere alla prosa di Prosper Mérimée, la storia era già ben conosciuta e data per vera. Michelet, ne La Strega, parla della tradizione medioevale secondo cui Venere altro non era che un Diavolo: “la sua statua riceve un anello, un giovane imprudente glielo mette al dito. Lei lo serra, lo tiene come fidanzata, e, la notte, gli viene nel letto a reclamarne i diritti”.
Questi simulacri di dee ritratte nude, hanno suscitato nel tempo sentimenti più controllati, differenti dalla satiriasi. Apprendiamo da Filostrato che un giovane chiese in moglie proprio la già citata Statua della Venere di Cnido, opera di Prassitele: “Un tale era convinto di amare la statua di Afrodite nuda, che si trova a Cnido; e faceva offerte e altre ne prometteva per poterla sposare”: a tal punto credeva “nell’esistenza degli Dei da essersi innamorato di una di loro”, e ad Apollonio, che gliene chiedeva ragione, “prese a parlare delle nozze che intendeva celebrare”. Allora il celebre sapiente lo distolse, dimostrandogli che “esseri simili amano i loro simili”, e che non c’erano speranze, ma sicurezza di follia, per lui che amava una dea – e per giunta, in effige.
Ad Atene – narra Eliano –, un altro giovane, di nobili natali, “si innamorò perdutamente di una statua della Buona Sorte che era situata vicino al Pritaneo: la abbracciava e la baciava, finché – uscito di senno e sovreccitato dalla passione – si presentò davanti al Consiglio e disse in tono implorante di essere disposto a comprare la statua per una somma enorme. Non fu però esaudito: allora cinse la statua con una quantità di bende, la incoronò, celebrò un sacrificio in suo onore, la rivestì di ornamenti preziosi e infine – tra mille gemiti – si uccise”.
C’è un dettaglio, che giudico “fantastico”, ma che può sfuggire leggendo questo bellissimo racconto, tanto si rimane incantati dalla sua prosa. Gli è che la Statua, oggetto d’ “amor fou”, sia proprio quella della “Buona Sorte”. Che fortuna ha arriso al ragazzo innamorato? In che modo “Buona Sorte” ha ripagato il sentimento che aveva suscitato, e persino quello struggente “sacrificio” del finale? Il greco, nobilmente, non mette in dubbio la fidatezza degli dei: e Fortuna rimane Fortuna, anche contro l’evidenza.
Oppure il racconto insegnava questo, all’antico: che la fortuna in amore è diversa da ogni altra, e ancora più incomprensibile, più enigmatica. Forse quel giovane – nell’Aldilà –, invece che della Statua, dovette contentarsi della Dea in persona.
[dalla Fantaenciclopedia, voce: “Amore”]
[in copertina: Danaide, di Auguste Rodin]