I- Talvolta non si ha neppure il tempo, né il modo, di “ringraziare” chi ci reca un grande beneficio, o ci salva da un mare di guai.
“Un signorotto romano, che aveva un bellissimo parco, dove custodiva un gran numero di cervi, aveva proibito ai suoi domestici di dar loro la caccia, e di ucciderli. Un servo, ebbe la sventura di contravvenire a quest’ordine. Mentre sparava a qualche altro tipo di selvaggina, mancò il colpo, e ammazzò per isbaglio un cervo che si era nascosto tra i cespugli della boscaglia. Questo povero ragazzo, appena appreso che il suo padrone era furioso per la collera, scappò a Genova, si imbarcò, ma sfortuna volle che cadesse presto nelle grinfie dei pirati algerini.
Passò un po’ di tempo, ma poi, venuto a sapere che il suo domestico era schiavo in Algeri, il nobile italiano corse a trovare il cardinale Janson, di passaggio in quei giorni a Roma, e lo implorò di scrivere subito al console francese perché ricomprasse quello sventurato, qualsiasi somma fosse costata il suo riscatto. Il cardinale, commosso da tanta generosità, non poté fare a meno di lodarlo, e istantaneamente informò della faccenda il console suo connazionale. Questi pagò il riscatto, prelevò lo schiavo, e l’inviò a Roma. Il nobilotto andò a ringraziare sua eminenza, rimborsò le spese del riscatto, e appena qualche giorno dopo fece assassinare il suo povero domestico: perché egli si era prodigato per riaverlo solo per vendicarsi della sua disubbidienza, benché fosse stata involontaria”.
Questo episodio, raccontato in Encyclopédiana [925, I] dimostra: che non c’è fondo né tetto per le Spese Giudiziarie, quando un Tribunale di Classe ha emanato la sua Sentenza.
II- Certe donazioni – la Storia insegna – si fanno pure per crudeltà: quindi è assai raro che ad esse, chi è omaggiato, risponda poi con sincera riconoscenza.
Nel tardo Cinquecento, i tribunali romani non osavano condannare a morte un ragazzino che si era macchiato d’un delitto, a causa della sua giovane età. Rinviarono la decisione al pontefice che a quei tempi sedeva sul trono di Pietro, il famigerato Sisto Quinto.
Il papa allora, racconta Warée, “escogitò un compromesso degno della sua severità”. Per togliere i magistrati dall’imbarazzo, ed estinguerne gli scrupoli, “disse che avrebbe regalato dieci anni dei suoi al criminale in questione”. Quel giovanetto divenne quindi “maggiorenne” per miracolo o (meglio detto) per Grazia ricevuta. “Corse voce che lo sfortunato giovanetto fosse coperto da un sudore di sangue, quando fu condotto al supplizio: fino a questo punto il macabro apparato messo in piedi per la sua tragica morte lo terrorizzava”.
III- Proibire i miracoli, si rivela complicato, e forse non si può, neppure nelle nazioni più cattoliche. I sovrani più avveduti cercano di solito, realisticamente, di impedirne l’usufrutto.
Narra Chamfort che a Breslavia, un devoto fu perquisito in chiesa, e gli trovarono indosso ex-voto d’oro ed altri oggetti preziosi rubati dall’altare. In Tribunale, si discolpò dicendo di averli avuti, in regalo, dalla Vergine. Non fu creduto e lo condannarono. Il re di Prussia, che doveva ratificare la sentenza, venne colto da uno scrupolo. Riunì un consiglio di teologi e chiese loro “se, a rigore, sia impossibile che la Vergine faccia piccoli doni a un devoto cattolico”. I teologi, sia pur perplessi, affermarono che in linea di principio era possibile. Il re graziò il condannato. Sulla sentenza, scrisse però di suo pugno: “proibisco, pena la vita”, a quest’uomo, “di accettare d’ora in avanti qualsiasi dono da parte della Vergine o dei santi”.
IV- Tiberio si era ritirato a Capri, non solo perché, da scontroso e violento qual era, amava la solitudine, ma perché l’isola dava ampie garanzie di sicurezza, e riteneva che i suoi possedimenti fossero protetti dagli scogli e irraggiungibili senza il suo permesso. Un pescatore però lo sorprese, inerpicandosi per una scarpata, e volle offrirgli una grossa triglia che aveva appena pescato. Irritato dall’intrusione e dal pericolo sofferto, Tiberio chiamò le guardie e fece percuotere quell’uomo, sulla faccia, con la sua stessa triglia. Al che il pescatore, credendo di essere spiritoso, disse che era felice di non avergli regalato anche l’enorme aragosta che aveva portato nel suo cesto. La battuta non fu gradita: fu schiaffeggiato con l’aragosta fino a che non lo lasciarono pressoché morto.
Questo, lo racconta Svetonio, nei Dodici Cesari.