Al “Duello Giudiziario” – il combattimento che sostituisce i Tribunali per stabilire chi ha torto o ragione in una disputa – si arrivò per gradi. Prima che la Giustizia si trasformasse in una giostra, vigeva, ma con gli stessi presupposti, un altro tipo di Ordalia.
Secondo l’autorevole parere di Gibbon, leggibile nella sua Storia della Decadenza e Caduta dell’Impero Romano, i Franchi ricorsero al “Giudizio di Dio” per migliorare la propria legislazione, troppo permissiva verso gli accusati. Le prove “del fuoco e dell’acqua” giunsero in tempo, prima che la Giustizia si avvitasse intorno al pernicioso principio che, per essere dichiarati innocenti di qualsiasi delitto, bastava avere e convocare in tribunale una quantità sufficiente di testimoni “a favore”.
Il numero legale di questi ultimi veniva diminuito o aumentato secondo la gravità delle accuse.
“Per assolvere un incendiario, o un assassino si richiedevano settantadue persone; e quando era sospetta la castità d’una regina di Francia, trecento valorosi nobili giuravano senza esitare che il principino era stato realmente generato dal suo defunto marito”.

Con quale criterio si stabilissero queste cifre, e non altre; che tipo di “ocularità” denunciassero i testimoni – specialmente nell’ultimo citato caso: è ciò che precisamente si ignora. Comunque, scrive Gibbon, la confusione, l’arbitrio, l’impunità, divennero intollerabili. “Il peccato, o lo scandalo, di manifesti e frequenti spergiuri, indussero i magistrati ad allontanare tali pericolose tentazioni e a supplire ai difetti della testimonianza umana con le famose prove del fuoco e dell’acqua”.
Codesti “Giudizi di Dio” erano semplici ed efficaci. L’Uomo del Medioevo riteneva, non senza logica, che Dio, una volta evocato, avrebbe impedito qualsiasi ingiustizia sulla terra, e non avrebbe mai permesso a chi era nel giusto di soccombere. Di conseguenza, “pretendeva che il fuoco non bruciasse l’innocente e che il puro elemento dell’acqua non permettesse al colpevole di scendere nel suo seno”; cioè: gettato in acqua, il Giusto affogava, l’Iniquo, galleggiava.
Ancora più spesso, come obolo dell’Ordalia, si poneva tra le mani dell’accusato e dell’accusatore, un ferro, o una palla, infocati. La vittoria arrideva a quello, tra i due, che aveva riportato meno ustioni – meglio se nessuna.
Un Miracolo era la miglior prova processuale, infinitamente più certa di qualsiasi testimonio oculare, più sicura di evidenze, tracce o indizi reali, insomma in luogo di tutto quanto di concreto può essere esibito o verbalizzato nelle aule di un Tribunale.

In questa roulette celeste, il calcolo delle probabilità assegnava i rischi minori al colpevole, che aveva comunque una chance per farla franca (da qui, dai costumi dei Franchi, dovrebbe immagino derivare l’origine di questo modo di dire).
Al contrario, orribile era la condizione dell’innocente ingiustamente accusato, che doveva dimostrarsi immacolato sfidando le leggi della natura e del buonsenso.
In certi casi, però – avverte il monumentale Gibbon –, in dispregio dell’esperienza comune i miracoli avvenivano davvero e “i turbolenti barbari, che avrebbero sdegnato la sentenza del magistrato, si sottomettevano umilmente al giudizio di Dio”. Naturalmente, c’erano solo due modi per superare l’ordalia: o con la corruzione e la frode diretta, o ingannando la credulità del popolino, come fa il prestidigitatore nei baracconi delle fiere.
Imperversavano ugualmente spergiuri, lestofanti e concussori; perciò anche acqua e fuoco fecero presto il loro tempo.
Si ragionò, che nel corpo a corpo, c’erano meno margini di inganno. Cosicché i processi e le ordalie si trasformarono tout-court in combattimenti.

Finalmente l’evoluzione della Legge abolì qualsiasi cavillo, imponendo un rude, maschio e sportivo “Duello Giudiziario”. Accusato contro Accusatore si affrontavano in campo aperto e il guerriero più esperto o l’assassino professionista, benché colpevoli, venivano sfrontatamente assolti dal verdetto dell’arena, prevalendo su innocenti dilettanti della spada e della lancia. Chi uccideva, faceva e otteneva Giustizia.
Questo Diritto sanguinario, variante della “Legge del più Forte” ben conosciuta dagli oppressi di ogni latitudine, fu introdotto originariamente nella Gallia dai Burgundi. Ma ben presto la pratica del Duello Giudiziario si diffuse in tutto l’Occidente, dalla Sicilia al Baltico.
Ancora nella Gerusalemme liberata da Goffredo di Buglione, la Suprema Corte incoraggiava i duelli, più che i processi, dando ai primi, agli occhi della Giustizia, lo stesso valore dei secondi.
Se c’era un torto da vendicare, un delitto da perseguire, o un danno da risarcire, era possibile, e sicuramente più onorevole, presentarsi ai giudici e chiedere il permesso legale d’uccidere l’accusato, in un regolare combattimento. I duelli stabilivano in modo incontrovertibile da che parte pendesse il diritto, la Fede e la ragione; ma se un innocente, debole di costituzione, soccombeva sotto i colpi d’un energumeno, insieme alla vita perdeva l’onore suo e i beni e i redditi della famiglia.

Con sportività, talvolta si parigliavano gli handicap. Quando i torti, o i reati, li aveva subiti qualcuno che non era in grado di combattere, come ad esempio la vedova d’un assassinato, poteva presentarsi al suo posto, come duellante, un campione di rinomata fama guerriera.
Nelle cause civili, altrettanto mortali e mortifere di quelle penali, l’accusatore esibiva dei testimoni: era però un diritto dell’accusato dichiararli mendaci e spergiuri e, eventualmente, sfidare a duello anche questi. Particolarmente fatali, al limite della strage, risultavano i ricorsi e i nuovi Appelli: “se un litigante, dopo aver perduto la causa, osava impugnare la sentenza, o mettere in dubbio la veracità della corte”, gli era lecito farlo, “ma alla dura quanto pericolosa condizione di battersi nello stesso giorno con tutti i membri del tribunale, anche quelli che erano stati assenti dal giudizio, bastando che fosse vinto da uno solo per soggiacere alla morte e all’infamia”.

Al nemico vinto non si concedeva l’Onore delle Armi: al massimo l’Onoranza Funebre – ma solo come emblema del trionfo.
In un duello giudiziario, fatto a cavallo, lancia e spada a Aix la Chapelle ai tempi di Luigi il Buono, e che vide come antagonisti Sunilon e il Conte di Barcellona, ”i combattenti” – si dice nella Continuazione delle Ore solitarie, curata da Pasquale Stanislao Mancini – “eransi fatti seguire da uomini che portavano una bara, perché il vincitore saziasse lo sguardo nello spettacolo del convoglio funebre della sua vittima […]. Muratori asserisce, che questa gotica cerimonia di far portar la bara sul terreno del duello sussisteva tuttavia in qualche contrada d’Alemagna a’ tempi suoi”.
Contro questa sorta di “Darwinismo Teologico”, lottarono inutilmente, per secoli, i santi, i papi, i sinodi. E dopo centinaia di anni non poteva dirsi ancora estinto. Esso rimase il marchio inconfondibile dell’intero Medioevo.
