Emil Ludwig (cito dal Diario di Bertolt Brecht), ha “fatto risalire la causa della prima guerra mondiale al bisogno di rivalsa del Kaiser Guglielmo, dovuto [al] suo braccio sinistro che era troppo corto“. Si potrebbe dire altrettanto della sua intelligenza, umanità, lungimiranza: troppo corte.
Gli storici professionisti e perfino i bambini in età scolare sanno però che questa immane tragedia fu provocata da un attentato, al quale, come all’epoca sembrò ovvio a tutti, l’impero austro-ungarico reagì scatenando un conflitto di portata planetaria.
Il 28 giugno del 1914 Gavrilo Princip, terrorista (o patriota, secondo ideologie divergenti) d’origine bosniaca, uccise a Sarajevo Francesco Ferdinando, erede al trono imperiale, e sua moglie Sofia. Furono sufficienti, per la strage, solo due colpi di pistola. Il primo proiettile raggiunse l’arciduca al collo e lacerò la sua giugulare. L’arciduchessa, colpita per seconda, al ventre, neanche si accorse di morire. Vide arrossarsi di sangue la gola e la bocca del marito e si preoccupò per lui. “Per amor di Dio, che cosa ti è successo?”, gridò. Ma subito si accasciò poggiando il viso sulle sue ginocchia. Francesco Ferdinando reagì esclamando: “Sofia, Sofia, non morire, rimani per i miei bambini”. Poi a chi lo soccorreva, e gli chiedeva se soffrisse molto, rispose: “No. Non è niente”. Ripeté la frase sei o sette volte, finché la voce si spense, perse conoscenza, cominciò a rantolare, e spirò.
L’attentatore aveva tenuto, in canna, un terzo colpo per sé, per uccidersi. La folla non glielo permise, lo agguantò, lo malmenò. La polizia lo sottrasse al linciaggio, ma aggiunse alle precedenti altre percosse.
Esattamente un mese dopo, il 28 luglio 1914, le Potenze che avevano dominato gli ultimi secoli della Storia Europea, e, di conseguenza, Mondiale, cominciarono a scambiarsi dichiarazioni di guerra. Fogli che presto si trasformarono in bollettini di mattanza.
Princip allora era ventenne. I suoi complici principali, che furono arrestati con lui, avevano dai 19 ai 17 anni. C’è da chiedersi come sia stato possibile a un gruppo di ragazzi “inesperti, esitanti”, entusiasti, ciarlieri, incapaci di sotterfugi, animati unicamente dal desiderio d’essere un giorno chiamati “Eroi”, mettere a segno un simile agguato dalle conseguenze epocali. Questi congiurati si battevano perché le nazioni dei Balcani confluissero in un solo Stato: la Serbia doveva fare da guida alla riunificazione, giocando il ruolo che aveva avuto il Piemonte nell’indipendenza italiana. “Piemonte” si chiamava la rivista che li ispirava. Ma erano talmente giovani che, secondo la legge austriaca, non poterono neppure essere condannati a morte, per ciò che avevano fatto o tentato di fare.
Certo avevano goduto di un inatteso, inesplicabile favore della sorte.
L’attentato che tolse la vita all’erede dell’imperatore d’Austria e a sua moglie, sembra frutto di circostanze pressoché irripetibili. La cosa più incredibile, è che lo stesso giorno, a Sarajevo, davvero pochi minuti prima, un altro attentatore e complice di Princip, Nedeljko Čabrinović, aveva scagliato una bomba contro l’automobile di Francesco Ferdinando, e l’ordigno – persa una scheggia che aveva graffiato il collo di Sofia – era rimbalzato sulla capote ripiegata, e era esploso cadendo sulla strada. Una macchina del corteo imperiale era stata danneggiata dallo scoppio, e un colonnello che faceva parte del seguito arciducale era rimasto ferito. Giunto in municipio l’arciduca accigliato aveva interrotto il discorso del sindaco (che nonostante gli eventi non era stato mutato di una virgola), rimbrottandolo: “Signor sindaco, vengo a visitare la città e sono ricevuto con le bombe. Ciò è oltraggioso”.
Poi tagliò corto: “Adesso continui pure».
Ce n’era a sufficienza per disertare i festeggiamenti e lasciare immediatamente la Bosnia. Invece la visita di Stato proseguì: fu deciso solo di cambiare il percorso del corteo, ma per farlo, l’autista imboccò la stessa strada prevista in precedenza, quella indicata da tutti i giornali, sul bordo della quale era in attesa Gavrilo Princip.
Quando ci si accorse dell’errore, l’auto dell’arciduca fece marcia indietro, ma sostò per un momento esattamente di fronte all’attentatore – di modo che, nonostante la calca che lo circondava, costui poté prendere con agio la mira. E Princip non era neppure un tiratore infallibile. Aveva imparato a sparare solo qualche giorno prima.
Come Čabrinović, Princip fu condannato a vent’anni di carcere. Dopo la sentenza, difese il suo gesto: “Non me ne pento perché sono convinto di aver eliminato un flagello e compiuto una buona azione”.
Quali furono i risultati di questa buona azione?
Nella prima guerra mondiale, innescata dall’attentato, e durata più di quattro anni, morirono almeno 9 milioni 722 mila soldati; i feriti, molti dei quali mutilati per il resto della vita, furono oltre 21 milioni – cifra che non tiene conto di quei combattenti che restarono traumatizzati per sempre dalle bombe, dai gas, dalla permanenza, come topi, nelle trincee.
Durante le manovre militari o per i bombardamenti tesi a fiaccare il morale delle popolazioni, persero la vita 950 000 civili inermi, donne, uomini, vecchi, bambini: ma a questo conteggio vanno aggiunte circa sei milioni di vittime che perirono per “effetti collaterali” – la fame, l’indigenza, la consunzione, la violenza generalizzata.
Su un solo fronte bellico, quello della Somme, morirono 146 000 soldati tra gli anglo-francesi e circa 164 000 tra le file tedesche. Ogni centimetro di terreno conquistato o conteso, costò alle forze alleate almeno un caduto.
Già al termine della prima giornata di battaglia, il 1° luglio 1916, i reparti britannici lamentarono una terribile disfatta, e l’offensiva si risolse in una vera e propria carneficina.
L’assalto alle linee nemiche, preparato con superficialità, doveva essere “a sorpresa” ma risultò invece largamente prevedibile.
Preceduti da un furibondo bombardamento, i soldati avanzarono baldanzosi verso la “terra di nessuno” che li divideva dalle trincee tedesche.
Ma nonostante l’impiego imponente dell’artiglieria, riferisce il polemologo Regan, ” il filo spinato che li attendeva era intatto. E nemmeno uno dei bunker nemici era stato colpito”. A peggiorare la situazione, tutto il terreno sul fronte dell’offensiva era stato trasformato dalle granate – molte delle quali inesplose – in uno spaventoso acquitrino pieno di fosse profonde.
I britannici non erano stati informati dell’esito infelice dei bombardamenti, e andarono all’attacco come se si trattasse di una passeggiata. Mentre i fantaccini procedevano nella “terra di nessuno” carichi di zaini che arrivavano a pesare 30 chili, “alcuni ufficiali li scortavano armati solo di bastone da passeggio o di ombrello; altri, come il capitano Wilfred Nevill dell’East Surrey Regiment, tiravano calci a un pallone in direzione delle linee tedesche che stavano caricando” .
I più intraprendenti furono fermati dal ferro spinato, gli altri fecero da sagome come in una esercitazione di tiro al bersaglio. I tedeschi, che si erano messi al riparo dalle bombe dentro solidi ricoveri sotterranei, riguadagnate le posizioni, li sterminarono con estrema facilità.
Il Feldmaresciallo Douglas Haig commentò così la strage del primo giorno: “La situazione generale era favorevole“.
La verità non poté essere nascosta: in poche ore i britannici “avevano perduto 57470 dei 120 mila uomini che avevano lasciato le trincee la mattina: 21 mila erano morti, quasi tutti, nella prima mezz’ora dell’attacco” .
Certo: non è giusto addebitare tutte queste vittime, tutte queste macerie, tutte queste follie a un’unica persona, di nome Gavrilo Princip.
Non c’è guerra che non sia stata scatenata per qualche forma di sesquipedale idiozia. Piace a tutti immaginare o esser sicuri che dietro certi conflitti ci siano precise esigenze di potere e calcoli minuti da parte di complottatori e cartelli finanziari: ma, anche le “ragioni economiche” sragionano, quando si dà fuoco a certe micce. Come sempre, regola che vale soprattutto per le imprese malvage, guadagna più chi specula sulle crisi mondiali e sulle “morti altrui”, che non chi le pianifica.
Gavrilo Princip morì in carcere di tubercolosi il 28 aprile 1918; non seppe nulla della pace, ma tutto o quasi della guerra, che terminò a novembre.
Mentre divampava quel terribile conflitto, l’assassino degli arciduchi sopravviveva dentro una piccola cella a Terezin, e forse, come l’angelo sterminatore, teneva il conteggio delle stragi che aveva provocato; si teneva aggiornato, tramite i quotidiani e le voci dei carcerieri, con le notizie dai fronti, che denunciavano lo sfacelo planetario.
Penso si rendesse conto che con due soli colpi di pistola stava dissolvendo quattro imperi secolari.
La cosa più fantastica in questa storia mi sembra, non tanto questo risultato, ma proprio l’ultimo angusto rifugio terrestre di Gavrilo.
So che c’è poco altro di Fantastico in questo articolo. Come in tutte le guerre: troppo “reali” per essere anche “vere”. Ma sento il dovere di scriverlo per non dimenticare che c’è un’altra guerra in corso, in questo momento. Sembra che non ci riguardi. Sembra che meritino la nostra attenzione solo gli “aiuti” che si danno o non si danno all’una o all’altra parte. Trova più spazio, sui giornali, la descrizione delle armi in dotazione agli schieramenti opposti, che non il computo delle vittime.
A proposito: quante sono? E non c’è nessuno che gridi: “Per amor di Dio, o dell’Umanità, che cosa ci è successo?”.