Alla fine degli anni ‘90, a Rai International, ideai una serata dedicata a Primo Carnera, che fu magistralmente condotta da Vincenzo Mollica e da Renzo Arbore, allora Direttore Artistico della struttura.
Per la serata, avevo chiesto a Raffaello Siniscalco, che all’epoca era nostro corrispondente negli Stati Uniti, di contattare due grandi personaggi i cui ricordi “carneriani” mi stavano particolarmente a cuore: Leslie Fiedler (1917-2003), maestro della critica letteraria (autore di “Love and Death in the American Novel”) meraviglioso saggista, e Ray Harryhausen, (29 giugno 1920 – 7 maggio 2013), geniale creatore di mostri cinematografici e “mitologici” animati in “passo uno”.
In occasione dell’anniversario della scomparsa del “Gigante di Sequals”, ho pensato di offrire ai lettori del sito queste due interviste, mai trasmesse in territorio nazionale. Quella a Harryhausen è totalmente inedita: purtroppo fui costretto a “sfilarla” dalla serata, per ragioni di tempo.
Ray Harryhausen:
«Ho conosciuto Primo Carnera parecchi anni fa, devo andare indietro fino al 1947, penso, o ’48. L’ho incontrato sul set [di Mighty Joe Young – in Italia: Il Re dell’Africa]. Era un uomo enorme. Io mi sentivo come un nanetto accanto a lui:
ricordo che quando mi salutava dandomi la mano, la sua era così grossa che la mia mano si perdeva nella sua. Era molto cordiale e sono veramente felice di averlo conosciuto.
Willis O’Brien e Merian Cooper naturalmente lo vollero a tutti i costi nel film, perché a quel tempo era la personificazione del lottatore, di uno degli uomini più forti del mondo.
Così lo mettemmo all’altro capo della fune in quella particolare sequenza del film Mighty Joe Young.
Organizzammo una specie di combattimento, ricordo, per questa scena. Lui è l’ultimo superstite della cordata che ha sfidato in una prova di forza Joe Young, ed è finito in acqua. A quel punto il Gorilla lo solleva: si vede Primo Carnera con una corda intorno alla vita entrare e uscire dall’acqua, e la mano del gorilla che lo tira su e giù. Funzionava molto bene. Il Gorilla poi lo issa su una piattaforma e cominciano a boxare. Primo dà un pugno al Gorilla e il Gorilla lo colpisce sotto il mento.
Ricordo che Willis O’Brien voleva che Primo cadesse a terra quando il Gorilla lo colpiva, ma lui disse: “Io non mi farò mettere al tappeto da nessun gorilla!”. Insomma rifiutò di cadere a terra. Così rivedemmo un po’ la sceneggiatura e la scena funzionò benissimo lo stesso.
Credo che Carnera si sia divertito a recitare quel ruolo, perché era spassoso. Non era certo una cosa seria, soprattutto nella sequenza in cui veniva tirato dentro e fuori dall’acqua: sì, sembrava veramente che si divertisse».
«Non credo che Carnera sia mai stato davvero popolare come divo del cinema; gli americani lo ricordano piuttosto come uno dei principali protagonisti in campo sportivo. Non solo per le sue dimensioni, ma perché vinse numerosissimi incontri di boxe e poi fu sconfitto».
Leslie Fiedler:
«Io veramente di Carnera ho soltanto un ricordo, un ricordo che mi ha perseguitato per lungo tempo perché è uno di quelli malinconici. L’unica volta che ho visto Carnera è stato verso la fine della sua carriera, quando ha smesso di praticare la boxe e si è dedicato agli incontri di wrestling. Lui entrava in un ring con altri tre o quattro lottatori che al suo confronto sembravano dei nani, e che provavano a metterlo al tappeto. Gli spettatori tifavano in massa contro Carnera e applaudivano esultanti quando quei lillipuziani riuscivano ad abbattere il gigante.
In quell’occasione mi accompagnava uno dei miei figli più piccoli che era un fanatico di boxe, sebbene avesse solo cinque o sei anni. Fu l’ultimo a smettere di urlare insieme alla folla mentre il gigante cadeva davanti ai pigmei.
Dopo l’incontro Carnera venne scortato lungo il corridoio fuori dall’arena e noi lo vedemmo uscire dalla porta: incespicava, malconcio, pieno di ematomi, triste e ubriaco al limite del credibile. Mio figlio cominciò a piangere; io non volevo fargli vedere anche le mie lacrime ma dentro di me stavo piangendo anch’io. Ecco questo è il mio triste ricordo di Carnera. Ho ripensato a lui dopo, mentre stavo scrivendo un libro sui “Freaks”, cioè le persone dall’aspetto “anormale”.
Carnera, a dispetto della sua stazza gigantesca, alla fine della carriera era diventato fisicamente debole. Non so allora cosa pensai, ma sicuramente rappresentava la sconfitta di un sogno, un sogno bellissimo che si era trasformato in un brutto incubo».