Il 29 giugno è il “giorno fatale” di Primo Carnera. È il giorno in cui a New York, nel 1933, batté per KO alla sesta ripresa il detentore Jack Sharkey, e si aggiudicò così – primo e unico pugile italiano nella storia – il titolo di campione del mondo dei Pesi Massimi. Ma il 29 giugno è anche il giorno in cui morì, esattamente 34 anni dopo, nella sua casa di Sequals, dove era nato il 25 ottobre 1906.
Primo Carnera, detto il “Gigante Buono”, o la “Montagna che cammina lentamente”, era un ciclopico friulano alto 2 metri e 5, pesante 120 chili, che ha lasciato un segno indelebile nelle fantasie di un’intera epoca: non solo nello sport, ma nel costume, nel cinema, nei fumetti e persino nel vocabolario. Una leggenda cominciata negli Stati Uniti al tempo del proibizionismo: 23 vittorie in altrettanti incontri – quasi tutti per KO alla prima ripresa –, in un solo anno, il 1929; proseguita e poi esaltata in Italia durante il regime fascista.
Per decenni, neppure l’ambiguità di certi suoi successi “troppo facili”, probabilmente artefatti per combine mafiose a sua insaputa, riuscì a scalfire la sua fama d’eroe indomabile e vittorioso.
Sulla sommità del duomo di Milano, accanto agli anacoreti di marmo, tra guglie e garguglie, un piccolo gruppo statuario consumato dallo smog e dalle intemperie ricorda il trionfo di Carnera al Madison Square Garden nel 1933.
È un’investitura “gotica”: più che un cavalierato dell’epoca di Artù, quasi una santificazione.
In Italia circolano, negli anni in cui Carnera è all’apice della gloria, cartoline con la sagoma nera del suo profilo, inconfondibile per via del naso frantumato dalla boxe. Basta fissarle a lungo e poi spostare lo sguardo su una parete bianca, per vedervi comparire miracolosamente la sua candida immagine, avvolta dai bagliori. Un “effetto speciale” autarchico che la Montagna che Cammina compartisce solo con la Madonna, altro soggetto tipico delle stesse cartoline.
Solo elencando gli avversari (veri o presunti) con i quali ha incrociato i guantoni, la spada, i pugni nudi o i bicipiti, riusciamo a comprendere la dimensione mitologica che questo “Italiano Impossibile” ha raggiunto.
Un primo breve elenco, certo non esauriente:
Charlot (Charlie Chaplin):
Totò:
in Totò nella fossa dei leoni conosciuto anche come Due cuori tra le belve (1943)
Casanova:
in un film comico del 1952: Casanova’s Big Night, in cui il grande seduttore italiano era interpretato – o meglio, mistificato –, da Bob Hope. Primo doveva difendere, spada sguainata, l’onore di una nobildonna caduta nelle spire dell’avventuriero veneziano.
Max Baer:
l’attore-pugile americano di origini ebraiche che gli tolse la corona di campione mondiale nel 1934, ma che poi restò sempre suo amico.
Qui vediamo i due nelle locandine del film che interpretarono nel 1933, accanto a Mirna Loy: The Prizefighter and the Lady (che arrivò in Italia come L’idolo delle donne, titolo non ispirato a Carnera ma al protagonista Baer, il quale dirà poi di aver capito i suoi punti deboli proprio incrociando con lui i guantoni, per finta, in questo polpettone pre-Rocky)
Dopo aver affrontato La Figlia del Corsaro Verde (un falso-Salgari del 1940) e Il Principe Valiant (un cappa e spada del 1954), finalmente Carnera può sfidare
Ercole:
Ercole e la Regina di Lidia (1959), è il suo ultimo film. Ricopre il ruolo di Anteo figlio della Madre Terra e viene sconfitto da Steve Reeves dopo un’improbabile lotta al termine della quale il Re dei Culturisti, celebre per la fragilità dei suoi muscoli, lo solleva sopra la sua testa (scena che ha previsto l’impiego di chissà quali trucchi o argani).
King Kong:
in Mighty Joe Young del 1949, o Il Re dell’Africa (un “King Kong” appena più ridotto, animato dallo stesso creatore di quello gigantesco: Willis O’Brien), dove, come “Uomo più forte del mondo” è il degno antagonista del Gorilla, e gli piazza sul mento un paio dei suoi celebri “uppercut”.
Nelle scene più ravvicinate, Carnera fu sostituito addirittura da un pupazzetto, mosso con sapienza, grazie al procedimento a “passo uno” o “scatto singolo”, dall’assistente di O’Brien, il formidabile Ray Harryhausen.
Topolino:
nel 1931, con il nome appena camuffato di “Creamo Catnera” – un enorme gatto nero che in Italia verrà chiamato “Spaccafuoco” – Carnera, sanguinario, sbruffone, crapulone, come non fu mai nella vita, affrontò sul ring Mickey Mouse. Naturalmente, Topolino lo sconfisse. Ma affinché la sua fama di invincibile boxeur non fosse intaccata, Floyd Gottfredson, che aveva disegnato e scritto quella storia, decise che a farlo perdere non fossero i deboli colpi dell’avversario, ma una astuta carognata. Un nemico di Catnera gli afferrò la coda attraverso un buco del ring, e gli impedì di rialzarsi, mentre veniva “contato”.
Naturalmente, appena uscito dalle strisce americane, Carnera ebbe fortuna nei fumetti italici. Prima, sotto mentite spoglie, si ispirò a lui Dick Fulmine, adamantino eroe fascista (i disegnatori gli fecero una plastica – dopo il 25 luglio – per togliergli la mascella volitiva del regime).
Poi con il suo nome e cognome, nel dopoguerra – in albi molto simili a quelli di Tex Willer.
In conclusione: c’è stato un solo uomo “in carne e ossa” che possa dire di aver combattuto non solo con i giganti del suo tempo, ma addirittura con tutti gli eroi di ogni epoca, compresi quelli di cartapesta, di cartone, e di celluloide. Uscendo vittorioso, ma per lo più sconfitto, dallo scontro con le “icone culturali” dei secoli passati.
Quest’essere “mitologico” si chiamava Primo Carnera.
Altezza 2 e 05, peso 120 chili, scarpe tra il 50 e il 52.
Era stato scartato, in quanto “non idoneo”, alla visita di leva.
Anche per questo, l’abbiamo eletto al rango di “Italiano Impossibile”.
Ha uno dei primi posti, nel Catalogo.