Ci sono molti modi di perdere la memoria. Di solito, in specie quando questa amnesia é associata alla senilità, l’oblio coincide con l’intorpidimento e la perdita del “sé”, della propria identità. Anche gli altri, quelli che hanno fatto parte fino al giorno prima della nostra storia – figli, mogli, mariti, amici, amanti –, cominciano a svanire, e la loro pretesa di “esistere” fa spesso sorridere il malato, che li guarda come fossero bambini, e come fossero bambini acconsente alle loro domande, spesso urlate: “Ti ricordi?“. “Io sono, tu sei, egli é”: il primo verbo che abbiamo imparato a coniugare, non ha più senso, per chi ha perduto la memoria.
Di un morbo simile credo fosse ammalata la mamma di Luis Buñuel, che approdò alla fine a un’amnesia totale, “quella che può cancellare una vita intera“, come scrisse il figlio. Buñuel sostiene: “senza memoria la vita non è vita”. Non ne sarei sicuro: ma rispetto il dolore con cui accompagnava questa sua certezza. Pensava che prima di morire avrebbe, come la madre, provato su se stesso gli effetti devastanti di questa forma di demenza.
La frase di Buñuel si trova, come esergo, al principio di uno dei più bei capitoli de L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello, scritto dal neuropsicologo Oliver Sacks: “Il marinaio perduto”. É la storia di uno dei mille modi con cui un essere umano può perdere la memoria. E di come questa menomazione può persino renderlo felice.
Sacks conosce questo marinaio nel 1975. Lo chiama Jimmie G, camuffando il suo vero nome. É internato nella sua casa di cura come “incapace, demente, confuso”. Jimmie, all’apparenza, é prestante, gioviale, un bell’uomo brizzolato di quarantanove anni. Ragiona con logica, si sente “forte come un toro”, non manifesta disturbi preoccupanti.
Ha solo un difetto: é convinto di avere diciannove anni, che la guerra sia finita da poco, e che sia stato appena congedato dalla Marina degli Stati Uniti.
Per lui, gli ultimi trent’anni non sono mai passati.
Nel suo caso, quasi non si può parlare di “perdita di memoria”. Tutta la sua vita precedente, dall’infanzia al servizio militare, fino ai diciannove anni, é vivida nei suoi ricordi e nella sua immaginazione. Però, è come se non avesse la “memoria del Futuro”. Quel che gli è successo dopo, l’ha dimenticato, e, visto che per lui non è mai successo, è solo una delle tante forme nelle quali potrebbe presentarsi il suo avvenire.
In questo, Jimmie non è poi tanto diverso da noi tutti, che scorrazziamo fuori della sua casa di cura. Sia noi, sia questo paziente del dottor Sacks, siamo convinti che il Futuro non sia mai trascorso, e che, perciò, non ci sia nulla che possiamo ricordare.
Oliver Sacks, che lo “diagnosticò” da par suo, dopo averlo analizzato diede questa spiegazione del comportamento del marinaio: era un alcoolizzato, che aveva aggrappato la sua identità al periodo più intenso, reale e significativo della sua vita: la seconda guerra mondiale. Da altre indagini venne fuori che Jimmie non aveva passato gli ultimi trent’anni in una torre d’avorio, oppure in un’urna di cristallo, come equipaggio di un vascello in miniatura: fino al 1970, fino al primo ricovero in un manicomio pidocchioso, aveva avuto un’esistenza come tutti gli altri. Dalla marina, si era congedato nel 1965. Poi, aveva condotto una vita terribilmente squallida, indegna di memoria, ma riscattata da una ingenosa invenzione finale: invece di uccidersi, aveva scelto di salire sulla macchina del tempo.
Qual era stato l’espediente che aveva concesso a Jimmie di sopravvivere? Tornare al 1945. Ma: come resistere alle prepotenze del calendario, al tedioso scorrere del Tempo, alle pressioni dei medici curanti, all’insorgere involontario di vecchi ricordi fastidiosi? Jimmie, in questo, fu geniale: il suo metodo si basava sull’esclusione sistematica del Presente. Non ricordava mai nulla del presente. Non lo fissava da nessuna parte nella mente, neanche nell’angolo più oscuro e meno frequentato del suo inconscio. Neppure l’ipnosi fu in grado di far riemergere uno straccio di ricordo, dei suoi, del periodo 1945-1970: e all’ipnotista, si sa, nessun isterico resiste. Mentre gli psichiatri gli facevano domande sul suo passato più recente, rivolgendogliele sia da sveglio, sia sotto farmaci, sia sotto ipnosi, Jimmie riusciva immediatamente a dimenticarle. Partiva la frase di chi lo interrogava, e lui non aveva alcun ricordo di come era cominciata.
Jimmie rende macroscopica un’esperienza che tutti conosciamo, e che proviamo continuamente. I ricordi più lontani nel tempo, sono quelli che dominiamo meglio; quelli più recenti, tendiamo a scordarli. Dal nostro passato più remoto spesso riaffiorano, nitidi, anche gli eventi più insignificanti; che so: il taglio di una buccia d’arancio, per esempio, sotto una pergola, in un’estate della nostra infanzia. Ma guai a chiederci cosa abbiamo mangiato solo tre giorni fa. Jimmie rese questa comune limitazione della nostra mente un punto di forza, un discrimine, una leva archimedica che gli consentiva il salto, il passaggio, in un’Altra Dimensione: quella dell’Eterna Giovinezza.
Ammiro sconfinatamente il professor Oliver Sacks. Per gli orizzonti di indagine che ha aperto non solo in campo clinico, e per aver esteso oltre le colonne d’Ercole del sapere specialistico la nostra conoscenza della mente e dell’animo umano. Soprattutto, però, in quanto cultore del “genere” riconosco in lui un meraviglioso Esploratore del Fantastico. Il Fantastico inteso come indole e come facoltà che alloggia in tutti noi, e che viene alla luce nei modi più impensati quando “affrontiamo” la Realtà. E noi “viviamo” e pensiamo in questo alone, persino trasformando la nostra stessa fisiologia. Leggere gli studi di Sacks ci permette di capire fino a che punto l’essere umano sia imbevuto di Fantastico e immerso, talvolta totalmente, in quello che nel nostro sito abbiamo chiamato il “Fantastico Quotidiano”. Per questo lo troverete citato spesso nei nostri articoli.
Però purtroppo, quando Sacks comincia a “curare” Jimmie G, si comporta in un modo difficilmente perdonabile. Per scuoterlo, gli fa una cosa orribile. Non so quanto attinente al giuramento di Ippocrate.
Cosa fa Oliver? Mette Jimmy di fronte a uno specchio. Una pratica che il generale Gordon usava, tra i sudanesi condannati a morte, come una forma di tortura. Gli chiede: hai l’aspetto di un ragazzo di diciannove anni? Jimmie ha un tracollo. Non si rende conto di cosa gli sia successo nel frattempo. Grazie al cielo, continua a ragionare. Grazie al cielo, non strangola il dottore.
Nessuno rimprovera un uomo in coma da dieci anni se, quando si risveglia, non ha ricordi del tempo passato nel letto d’ospedale. Bisogna avere avuto tubi in gola, sonde nelle vene e nello stomaco, ossigeno sparato nelle nari, per garantirsi un po’ di rispetto, un po’ di pietà? In questo caso (ma, garantisco per lui, l’ha fatto raramente) Sacks si è comportato in modo “mitico”. Ha assunto il ruolo del Mito contro il Fantastico: che è quello di ridurlo alla Ragione, per disinnescarlo. Sul suo specchio di Perseo, ha brandito, senza avvedersene, una fulminante testa di Gorgona. È come se avesse tirato giù dal solaio il Ritratto di Dorian Gray, per far morire d’infarto il suo modello, e proprietario.
La “malattia” di Jimmie presto ebbe il sopravvento e presto, per fortuna, lui scordò anche la scena dello specchio. Restò convinto che non aveva ancora compiuto vent’anni. E visse dove voleva e dove aveva trovato la sua ragione d’essere: nel Passato. Il suo rifiuto della Realtà (cioè: del Presente) era talmente rigoroso, che non riusciva a identificare o a fissare nella mente i volti degli altri pazienti, dei conoscenti, del personale della clinica, insomma: di nessuno,. Alcuni medici giunsero a chiedersi – il cielo li perdoni – se il marinaio avesse un’anima, o no. Alla fine, conclusero che non era possibile curarlo.
II fatto é che Jimmie suscita, più che la nostra pena, la nostra invidia. Perciò, scombussola. È un nostro simile che ha raggiunto la felicità viaggiando su una “Macchina del Tempo”. Se è morto, come credo, in quella casa di cura, è morto giovane. È morto nel 1945, alla fine del secondo conflitto bellico mondiale. Eroe, però d’un’altra guerra, una guerra oscura: l’eterna lotta dell’Uomo contro la Medicina, che lo vuole “curare” ad ogni costo.