Per un Cristiano, coerente con l’insegnamento degli Apostoli, i veri Fantasmi siamo noi, i Vivi. Sentenzia san Paolo: “voi siete morti e la vostra vita è celata con Cristo in Dio”[Lettera ai Colossesi, 3, 3].
Perché, deambulando putrefatti per il mondo, non ce ne accorgiamo? Perché i nostri sensi sono inadeguati, al rovescio. “Ora vediamo le cose come in uno specchio, e per enigmi (Videmus nunc per speculum et in aenigmate)”: è terribile, e famosa, questa rivelazione dell’Apostolo [Corinti, 13, 12].
È tutto rovesciato.
Ma, se è sincero – e come dubitarne? – il detto di san Paolo, le conseguenze logiche di questo postulato possono essere davvero sconcertanti.
Lo nota Léon Bloy, nel suo Diario: “Vediamo tutte le cose al rovescio. Quando crediamo di dare, riceviamo, ecc. Allora (mi dice una cara anima angustiata) noi stiamo in cielo e Dio soffre sulla terra“.
L’anima angustiata sarebbe forse quella di Giovanna, che torna quattro anni dopo sullo stesso argomento: “Terrificante idea di Giovanna, a proposito del testo “per speculum”. I godimenti di questo mondo sarebbero i tormenti dell’Inferno, visti al rovescio, in uno specchio” [note del maggio 1904 e del maggio 1908].
A questa vertiginosa ipotesi Jorge Luis Borges ha dedicato un saggio in Altre Inquisizioni, e l’ha adeguatamente esteso in un racconto (come dubitarne?) pressoché perfetto: “I Teologi”, che si trova nella raccolta L’Aleph.
Per parte mia rilevo – da profano – che Bloy, o Giovanna, pur ondeggiando tra i sensi contrari dello stesso passo neotestamentario, qualcosa ci insegnano. Nell’idea di un “contrappasso” infernale (in Dante, per esempio) c’è già il concetto che quanto è stato goduto in terra divenga tormento nell’aldilà. Ma qui si rovescia la prospettiva della Teodicea Medievale: se godiamo di qualcosa, noi siamo già nell’inferno. Se patiamo, siamo già in paradiso. E tutto ciò avviene sulla terra e nel tempo della nostra vita. In questa ridda di paradossi (per la verità, assai consolanti), premio e castigo, nell’Aldilà, sembrano aboliti, o superflui. Noi siamo adesso (nunc) vivi e morti, anime in pena e beate al tempo stesso. Come pure misericordiosa e soave quest’altra conseguenza: che morendo non troveremo né Inferno né Paradiso, che abbiamo già sperimentato (sia pure a rovescio), ma solo la Verità. Cosa desiderare di più?
Un’estrema conseguenza del paolino Videmus nunc per speculum et in aenigmate potrebbe essere considerato il detto che Borges, nel volume di saggi già citato, attribuisce a un fantomatico messicano: “Dio esiste; siamo noi che non esistiamo“. Una sentenza, credo, che non sarebbe dispiaciuta a Léon Bloy. Forse noi siamo creature talmente “rovesciate” che: a) non ci accorgiamo che Dio esiste; b) non ci avvediamo che non siamo per niente a questo mondo.