Casa “La Vita” si intitola un libro di racconti di Alberto Savinio.
L’avita Casa del Borghese è sempre stata luogo di confino, costrizione, perenne quarantena. Ciò nonostante: al bimbo prigioniero tra le mura, può pure sembrare un’Isola Felice.
“Allorché Giovanni chiedeva il permesso di uscire” – scrive in un brano scopertamente autobiografico Søren Kierkegaard – questo per lo più gli veniva rifiutato; e invece suo padre gli proponeva spesso, in cambio, di passeggiare su e giù per la stanza tenendolo per mano. […] Allora uscivano dal gran portone, si incamminavano verso un vicino castello di diporto, o fuori verso la spiaggia, oppure se ne andavano in giro per le strade, proprio come voleva Giovanni; ché il padre poteva tutto. Mentre passeggiavano così per la stanza, il padre raccontava tutto ciò che vedevano; salutavano i passanti: le carrozze li sfioravano coprendo col loro rumore la voce del padre e i frutti canditi della pasticceria erano più che mai allettanti…”.
Dove abbiamo già veduto quel tipo ammiccante di dolciumi? E, in generale, dove son finiti i giocattoli acquistati e i regali impacchettati, promessi da quelle strane “passeggiate”? Sbaglio, se dico: nelle tele di Alberto Savinio? Nessun altro, credo, come lui, ha saputo rappresentare il nesso di Casa Borghese e Mito – lo Spirito del Mito, il “Mitico”, come lo chiamerebbero, come lo indagherebbero, Walter Benjamin e Theodor W. Adorno.
Se rileggiamo l’arte di Alberto Savinio con quest’ottica, e con lo sguardo del piccolo Søren/Giovanni Climaco (senza la presunzione però, di spiegarla tutta, e di asservirla a un solo “modello filosofico”), se completiamo il giro della Casa con la guida paterna, protettiva, dei suoi Eroi e delle sue Divinità, vedremo quasi sempre comparire nei suoi quadri le “rovine” di questo mondo “mitico” e “borghese” insieme – un crogiuolo che trova dentro all’Intérieur il suo luogo naturale e deputato: l’unico osservatorio nel quale sia possibile fissarlo.
In Nuova Enciclopedia, Alberto Savinio ha immaginato che nel Teatro del Futuro, non saranno protagonisti gli uomini e le donne, ma gli Arrédi. Trionferà finalmente un “Teatro nel quale la poltrona rievocherà i suoi ricordi d’infanzia e ci rivelerà i rapporti tra mobili e uomini; un teatro nel quale lo specchio ci dirà cosa egli pensa di noi”. Sarà, secondo Savinio, l’unico Teatro “degno del nome che porta”. Su quel palcoscenico, suppellettili e mobilio vestiranno il ruolo che ebbero le Sirene nel viaggio di Odisseo: saranno loro ad incantarci narrandoci la nostra stessa storia, ch’essi conoscono meglio di ogni altro, e soprattutto meglio di noi stessi. Questa è l’essenza e la missione dell’Intérieur Borghese: un “quadro” esperito da Savinio in ogni variazione poetica possibile.
Non solo l’arredamento rappresenta l’anima e le aspirazioni d’un’intera classe, ma aderisce allo spirito di chi a quella appartiene, lo assorbe, lo fagocita, fino a diventar tutt’uno con l’anima dei singoli individui. Confessa Kafka: “Ogni uomo porta in se stesso una camera. È un fatto di cui il nostro stesso udito ci dà conferma. Quando si cammina in fretta e si tende l’orecchio, specie di notte, quando intorno a noi tutto è silenzio, si ode, a esempio, il tentennìo di uno specchio a muro non fissato bene”.
Poe (Filosofia dell’Arredamento), Maupassant (Qui sait?) e Al Capp (Fearless Fosdick: La poltrona assassina, condannata alla “sedia”) hanno fantasticato intorno ad intuizioni simili a quelle di Kafka e di Savinio.
La casa ingloba, stordisce e neutralizza qualsiasi anelito di fuga e trasgressione. Perché dentro questo mondo così irreggimentato, anche l’avventura, anche la fantasia, rimbalzano per ritornare, indietro e fatalmente, dentro le mura insuperabili della nostra abitazione. Ne fa le spese, persino, l’Epos. In un quadro di Alberto Savinio, la barca dei Feaci che riconduce Ulisse nella vagheggiata Isola di Itaca, si aréna nel salotto buono irrorando di spruzzi d’acqua il parquet tarlato, ma tirato a lucido: inondazione contenuta, che presto la servitù prosciugherà con i suoi stracci. È così, che senza traumi il Mito approda all’ultimo sviluppo del suo percorso decretato da millenni: all’Intérieur Borghese – là dove l’interno, sempre, coincide con l’esterno.
Ogni oggetto d’uso perde il senso d’uso, una volta trasposto nel salotto “buono”. Gli orologi antichi, appena usciti dalle loro campane di cristallo, boccheggiano, come pesci fuori d’acqua; il bel corredo di tessuti damascati giace in cassetti che non si apriranno più; le statuine del presepe “napoletano” e persino i giochi infantili di nonni e genitori finiscono serrati dentro le vetrine, sottratti alle fragili, incostanti, distratte dita dei bambini “veri”.
Sulle pareti delle case di Savinio s’apre quasi sempre una finestra: ma è anch’essa un’illusione, perché un Esterno, nell’Intérieur Borghese, (nella “Casa di Bambola”), è pura utopia. Gli adulti, seduti o in piedi dinanzi a quell’apertura, non stazionano lì come modelli per esporsi alla luce migliore, e favorire il lavoro del pittore: piuttosto placidamente stanno a guardia perché nessuno si sogni, neppure per un istante, di scavalcare il parapetto, e evadere. Il loro compito è assegnato dal Mito. La violazione, l’asservimento, e infine l’abolizione della Natura (una pratica che ha una storia di millenni ma che solo nel Mondo Borghese ha ottenuto il suo trionfo) sono il Segreto che, forse ignari, forse no, essi custodiscono, celandolo soprattutto alla comprensione dei bambini, complici “naturali” del Nemico. Concilianti, rasserenanti, i Guardiani garantiscono l’Ordine Codificato dal Destino. Ma essi stessi, proprio in quanto rappresentano il Mito, debbono sottostare a un contrappasso “mitico” che quasi sempre ne deforma i lineamenti, ne ipotrofizza il volto alle dimensioni di un foruncolo, oppure – ibridi da Chimera – li “imbestialisce” dal collo in su, restituendo il loro sembiante alla Natura, a quel regno animale che i borghesi, con boria inusitata, hanno contribuito a brutalizzare. Non è forse questo il senso riposto nell’affermazione di Savinio, che “proporzionare l’uomo alla natura immostruosisce l’uomo”?
Da loro, dai Guardiani, viene il pericolo per ogni “Infantità” che, prigioniera, sogna un Altrove: di qui la volontà di fuga, il salto, la sfida alla gravità, e infine il decollo a mezz’aria dei Giocattoli (tema ossessivo dell’arte di Savinio) verso una Terra Promessa, che ha spesso forma, contorni, e spiagge, d’Isola. Come in una lunga sequenza di illustrazioni da Fumetto, le sue tele del periodo dorato ci mostrano allora che anche la “Casa A Vita”, nonché i miti e le quarantene impostici dall’Intérieur Borghese, possiamo lasciarceli alle spalle. Perché compito del poeta – attesta lui, poeta –, è quello di indicare l’Uscita da ogni costrizione e ogni Labirinto. E Tanto può la Fantasia, quando, grazie all’Arte più grande, diventa: Fantasia Esatta.
[da un articolo di Adan Zzywwurath per il catalogo Electa della mostra: “Savinio. Incanto e Mito”, a cura di Ester Coen]