Ho incontrato Guido Martina, il “Professor Martina”, nel 1984, quando ero impegnato in un’inchiesta giornalistica per il cinquantenario di Donald Duck. All’epoca, dei disegnatori e degli sceneggiatori italiani di Topolino, i “Disney italiani”, si sapeva nulla o quasi. I fumetti, sul giornalino, non erano firmati e tutti noi, bambini o adulti, eravamo indotti a credere che fossero di provenienza americana. Certo, il “marchio” di Martina, tipicamente nostrano e italico, traspariva in molte di queste storie anonime, in modo evidente: ma si poteva anche pensare che dipendesse dall’adattamento. Invece no. Le storie, soprattutto le famose “parodie”, erano interamente frutto della sua fantasia. Guido Martina ha scritto, per il solo Topolino, più di 500 soggetti e sceneggiature, dal 1948 al giorno in cui ci ha lasciato, il 6 maggio 1991.
L’ho intervistato (parola orribile) a casa sua, a Roma, nella zona della Farnesina. Mi aveva introdotto presso il “Professore” il genio assoluto dei Disney italiani, Romano Scarpa, chiedendogli, come favore, di incontrarmi. Fu una giusta precauzione: da quel che ne capii, Martina, che era stato giornalista, non si fidava molto dei giornalisti. Faceva bene, anche nel caso mio. Del nostro colloquio, durato alcune ore, riuscii a pubblicare sul manifesto appena poche righe. Dal mio punto di vista, era già un successo aver ottenuto due pagine intere sul quotidiano parlando di Disney e Paperino: normalmente li si riteneva entrambi spie della CIA.
Comunque ricordo vagamente che mi scusai con Martina. Adesso però vorrei – anche se con colpevole ritardo – risarcirlo in toto pubblicando integralmente tutto quello che mi disse. Cominciando dalla nostra intervista, qui di seguito. Nella seconda puntata, darò spazio finalmente alla sua autobiografia, di cui parlammo a lungo. Lo scoop, esilarante, su Shirley Temple, si potrà leggerlo lì.
[[Da: il manifesto del 5 dicembre 1984: “Io sono nomato Pippo e son poeta. Parla Guido Martina inventore dei classici dall’Inferno di Topolino a Cime Paperinose”, e dai miei appunti personali:]]
L’inferno di Topolino, Paperino di Tarascona, Paperino conte di Montecristo, Paperino e i tre moschettieri, Paperino don Chisciotte, Paperodissea, Paperin Meschino, ecc.: da decenni le migliori parodie dei Classici-Disney portano la firma di Guido Martina, torinese, classe 1906. Martina ha scritto oltre 300 storie con Paperino e Topolino, ha creato innumerevoli intrecci comici, avventurosi, fiabeschi e polizieschi, anche resuscitando vecchi personaggi di Floyd Gottfredson degli anni d’oro, come Orango e Macchia Nera. Ma soprattutto il suo nome è legato a questa invenzione di successo: le parodie. L’ultima che ha prodotto è un Cime Tempestose ancora inedito. Martina è stato professore di italiano, giornalista e uomo di cinema (ha diretto film di fiction e documentari soprattutto in Francia)
AZ: Come è iniziato il suo lavoro a Topolino?
MARTINA: Ero già alla Mondadori prima della guerra come redattore capo della rivista Le Grandi Firme, una testata prestigiosa diretta da Cesare Zavattini sulla quale scriveva Pitigrilli. È in quest’epoca che ho conosciuto Mario Gentilini che poi doveva diventare direttore di Topolino. Gentilini passava la biacca sulle tavole dei fumetti per cancellare il retino e faceva allora altri lavori di disegno. Dopo la guerra in un periodo per me di povertà assoluta, mi feci coraggio e mi ripresentai da lui. Mi riassunse immediatamente.
Cominciai a lavorare a Topolino quando la rivista veniva ancora pubblicata nel vecchio grande formato. Traducevo le tavole giornaliere di Mickey Mouse e le strips con il Paperino di Al Taliaferro. Era un lavoro pieno di difficoltà, perché allora le strisce erano ricolme di riferimenti americani e di slang che nessuno in Italia avrebbe capito: parole come supermarket, hamburger, hot dog, eccetera… fu con questo tipo di lavoro che imparai a costruire una sceneggiatura. Io scrivevo nuove didascalie inventando nuovi termini e collegando tra loro le strisce e le tavole che in America apparivano a puntate, ma che Mondadori pubblicava tutte insieme.
AZ: Sono suoi molti nomi italiani dei personaggi della banda Disney?
MARTINA: Oh sì! per esempio Archimede Pitagorico, che in inglese era Gyro lo svitato, o la Banda Bassotti, i Beagle Boys, cioè i “Segugi” – un nome che non mi stava affatto bene: era troppo facile chiamare dei briganti “cani-poliziotto”! Allora mi ispirai a un mio collega che rassomigliava a un bassotto e aveva un cognome di questo tipo, Bassotto o Bassetto, non ricordo bene… anche “Gancio”, il corvo amico di Topolino, è un nome mio: Gancio il Dritto, perché gancio è il contrario di dritto… e anche Rockerduck è mio…
AZ: qual è stata la prima sceneggiatura che ha scritto per Topolino?
MARTINA: L’Inferno di Topolino. La sceneggiatura che fu illustrata da Angelo Bioletto venne pubblicata in un fascicolo del 1949. Anche Topolino e il cobra bianco che compare nel primo numero di Topolino, nel nuovo formato, era una storia mia. L’Inferno di Topolino fu mandato a Walt Disney che non solo l’approvò: mi volle nel suo staff. In America, davano ai collaboratori degli Studi Disney le mie sceneggiature, perché imparassero i segreti del mestiere… Fino agli anni ‘50, ho continuato a scrivere su soggetti americani ed ero obbligato a trasformarli in sceneggiature. Peccato perché così mi pagavano molto meno che per le mie storie originali…
AZ: L’Inferno fu il capostipite delle grandi parodie, una invenzione tutta italiana che ha dato una svolta ai personaggi Disney. Dopo Dante, lei ha parodiato, sempre con Paperino, praticamente tutti i classici della Letteratura: I tre moschettieri, Il Barone di Münchhausen, La Gerusalemme Liberata (diventato: “Paperopoli Liberata”), Il conte di Montecristo, Tartarino, Saturnino Farandola, impossibile citarli tutti… Come è nata l’idea delle parodie?
MARTINA: L’idea l’ha suggerita Gentilini. Puntava molto sulle parodie e ha avuto ragione, perché hanno riscosso subito successo. Anche Paperinik, in parte, mi è stato suggerito da Gentilini. Paperinik è l’altra faccia di Paperino: astuto, svelto e coraggioso: ma la sua identità deve restare segreta e Paperino non vuole rivelarla. Anzi, accetta persino che zio e nipotini lo paragonino a Paperinik per criticarlo ancora più ferocemente…
AZ: Tra il Paperino di Barks e quello di Taliaferro, spesso c’è un abisso. Il primo, pur essendo sfaccendato e sfortunato, è simpatico, trasparente e avventuroso, il secondo, che lo precede, iracondo, vendicativo e ottuso: fondamentalmente è antipatico. Ne l’Inferno di Topolino lei l’ha proprio rappresentato così con queste due anime unite in una stessa fiamma, come un moderno Ulisse schizofrenico. Quale Paperino preferisce? Qual è il suo Paperino ideale?
MARTINA: Ma, non so, io preferivo il Paperino di Taliaferro. Era più comico, funzionava di più, lo si poteva inserire in molte più situazioni… Il Paperino ideale è il mio, cioè quello che ho limato io… Certe volte, negli Stati Uniti, ce lo fanno vedere in frac e in tuba, carico di soldi. Non è quello Paperino. Io l’ho sempre fatto povero, sempre pieno di debiti e sfortunato. Ma siccome ai lettori questo spiaceva, e una bambina una volta ha telefonato a Gentilini piangendo, allora abbiamo creato Paperinik…
AZ: Una delle sue sceneggiature che preferisco è Topolino e il doppio segreto di Macchia Nera, disegnato da Romano Scarpa, ai suoi esordi. Certe sue storie degli anni ’50 avevano uno spessore mitico, come le fiabe più potenti, ed erano in grado di modellare, credo, l’inconscio dei ragazzi. Per esempio, nel Doppio segreto, Macchia Nera ipnotizza Topolino e lo costringe a rubare, mentire e addirittura a ammazzare Basettoni. Resta impressa per sempre nella mente la scena nella quale Topolino colpisce Basettoni con un coltellaccio urlando: “Muori, malnato, muori! muori!”. C’era poi Pippo che affogava nello specchio, oltre all’invisibilità orrorifica del bandito… nel Kid Pampeador (parodia gaucha del Cid Campeador), si vede finalmente il padre di Paperino: è un’oca con la faccia simile a Paperone (il disegno è di Luciano Bottaro). Bene: lei fa tagliare il collo a quest’oca e si vede la testa che schizza via dalla vignetta.
Non c’è una bella dose di sadismo nelle sue storie?
MARTINA: Beh, un po’ di sadismo c’è, lo ammetto. Ma è nell’indole dei personaggi: Paperone sevizia Paperino. A me piacciono soprattutto le storie in cui Paperino, alla fine, per risarcimento di qualche danno, condanna Paperino a un lavoro che dura magari migliaia di anni. Ho fatto molte storie in cui Paperino ripaga lo zio in giornate lavorative…
AZ: Lei usa e domina varie sfumature di umorismo. Le piacciono molto ad esempio i giochi di parole. Ricordo la sua Paperiade, il cui intreccio si basa tutto sull’ambiguità insita nella parola “Dama”, che può essere tanto una Milady (nel caso: Paperina), quanto il gioco che si fa sulla scacchiera. Qual è il tipo di umorismo che preferisce?
MARTINA: A me piace l’umorismo al cento per cento. Detesto l’Umor Nero.
AZ: E per gli intrecci polizieschi e di avventura, a chi si ispira?
MARTINA: Per Topolino detective, forse a Van Dine. Per il resto, al cinema americano. Sono sempre andato al cinema e ho sempre guardato, molto, la televisione. Sono stato tra i primi sei o sette in Italia a possedere un apparecchio TV.
AZ: A parte i “versi”: gli Uak, i Berebek o Baraback e tutto il frasario onomatopeico delle busse e degli inseguimenti, nelle sue storie anni ‘50 ricorrono vocaboli italiani molto eleganti e ricercati, aggettivi come, per esempio, “malnato”, che lei ha sempre amato molto: tutte parole che hanno trasformato il linguaggio dei ragazzi, più ancora che la televisione. Mi può dire qualcosa sulla lingua dei paperi, sulla quale in molti abbiamo imparato l’italiano?
MARTINA: Se è per questo, oltre a Uak e Baraback ho inventato anche Zut!… Il mio Paperone parla una lingua antiquata, e dice per esempio a Paperino: “perché povero tu sei…”. Ma ho sempre cercato di aggiornare il linguaggio dei personaggi Disney. Per anni mi sono seduto in un bar vicino a casa mia qui a Roma, e ho ascoltato i discorsi dei giovani, selezionando le parole che avrei potuto utilizzare, come “imbranato”, e modificando quelle irripetibili. Ho sempre esercitato un autocontrollo sul linguaggio, ma non mi sono mai dovuto censurare: sia nelle parole che nelle situazioni, io rispetto molto i ragazzi. Anche se capisco che loro ne sanno più di me in fatto di sesso… a Ostia ho sentito una ragazzina di cinque o sei anni che urlava a un bambino questo epiteto: “finocchio!”
[SEGUE: “L’ AUTOBIOGRAFIA DI GUIDO MARTINA”]