In un breve testo dal titolo inquieto di doppi e di specchi, “Egli”, Franz Kafka, profeta di se stesso, scrive che ai defunti è riservato un inatteso destino sulla Terra: quello di progredire. “Ci si evolve nella propria maniera soltanto dopo la morte, soltanto quando si è soli”. Grazie a questo “progresso”, il giudizio dei posteri su chi è morto è migliore di quello dei contemporanei su chi è vivente: solo i superstiti vedono chiaramente il valore dell’uomo che ci ha lasciato, perché “esser morti è per l’individuo come la sera del sabato per lo spazzacamino: lava dal corpo la fuliggine”.
Non so quanto questa illuminante parabola si attagli al destino di Borges. Immagino però che celebrarne la “grandezza” e la “memoria” (come da decenni sentiamo il dovere di fare) sia in qualche modo deviante e irriguardoso. La sua fievole voce ci ha lasciato, nel 1986, ripetendoci fino allo sfinimento la “disgrazia” di essere Borges, e il suo desiderio di scomparire del tutto. Borges ambiva ad essere “postumo” anche in vita.
In un celebre racconto, predisse che si sarebbe suicidato in un momento preciso: il 25 agosto 1983 (il giorno successivo al suo 84esimo compleanno). I suoi fans lo aspettarono al varco. Il termine passò, e non ci furono spari, né veleno, né gas, né finestre dischiuse sul vuoto. Borges riemerse da quella data con intatto e lieve sorriso.
“Perché non si è suicidato?”, ebbero la viltà di chiedergli. “Per codardia”, ebbe il coraggio di rispondere.
Ma Borges non era un vigliacco. Era un “postumo” allietato da fantasie di suicidio. Una volta – raccontò – un ladro lo aggredì in una strada buia urlando: “O la borsa o la vita”. Lo scrittore gli offrì immediatamente la vita, e il ladro “si spaventò così tanto che fuggì… Io volevo che mi uccidesse, ma lui non volle”.
No, se da suicida tentennò, nell’83, non fu per codardia. Piuttosto ritenne imbarazzante o inutile quel gesto. Probabilmente sospettava un fatto che avrebbe reso pazzo chiunque, ma non lui: che era già morto, o che “non esisteva”. Perché purtroppo non solo, come scrive Borges, ogni scrittore “finisce sempre con l’essere il proprio discepolo meno intelligente”. Rischia anche di essere il più banale dei propri personaggi.
Ci si dimentica, oggi, che è esistita persino una “questione borgesiana”, emula e parallela di quella “scespiriana”. Si giunse a sospettare che Borges, l’uomo Borges, fosse un’invenzione di Borges, il letterato Borges. Ipotesi “fantastica” che lui fece di tutto per alimentare.
In Cronachette, Leonardo Sciascia cita un articolo di “Le Monde” secondo il quale tre scrittori (tra cui il sublime Bioy Casares), amici tra loro, avrebbero creato l’inesistente Borges assumendo al loro servizio, per incarnarlo, un attore di nessuna fama, un certo Aquiles Rosendo Scatamacchia. Sarebbe, costui, l’eterno Borges di tante interviste: la maschera cieca, con i tratti che sembrano appena abbozzati e poi cancellati da una gomma, che ha inondato giornali e tv con sommessi oracoli, repertori di archetipi e stereotipi, timida voce di sentenzioso poeta e interminabili aneddoti infantili.
Il ricordo corre allora a Friedrich Hölderlin, che, divenuto pazzo negli ultimi anni della sua vita, adottò anch’egli uno pseudonimo italiano – da attore, da impresario, o da “carattere” di commedia dell’arte –: “Scardanelli”. Al riparo di quella maschera ossequiente, scrisse alcune splendide poesie. Scatamacchia, come Scardanelli, – uno sotto forma di scherzo , l’altro di maschera tragica – sembrano aprirci uno spiraglio nel dilemma dell’ Identità, un abisso che è il segno distintivo della nostra epoca, e di tutto l’Occidente, almeno dal primo Ottocento – sconvolto dall’avvento della borghesia industriale.
Il problema dell’Identità, della nostra come quella di ogni Soggetto, e dell’Essere di ogni cosa, è centrale nella storia del pensiero: e a questo tema Borges, come filosofo, ha dedicato pagine instancabili. E sempre ispirate alle medesime congetture: da Storia dell’Eternità, a Discussione, a Altre Inquisizioni, fino alle venerande lezioni di Belgrano, pubblicate sotto il titolo di Oral.
Il problema dell’identità è strettamente connesso a quello della decifrazione del Tempo, e come tale è il “problema capitale” della metafisica. Parafrasando Borges: se sapessimo chi siamo, sapremmo anche che cosa è il Tempo. Della stessa stoffa sua, siamo fatti i sogni e noi. Conviviamo con il mistero (o l’illusione) che l’identico possa conservarsi e permanere in ciò che è mutevole.
Se Borges si fosse limitato a questa considerazione, sarebbe rimasto inchiodato a una sorte di epigono, e avrebbe meritato il lustro di poche pagine d’Enciclopedia.
O appena una frase: “Insigne divulgatore di paradossi eleatici”.
Ma originale e sua fu l’intuizione che la letteratura, in questo campo cruciale della metafisica, aveva di fronte uno sterminato campo d’azione, e uno strumento potentissimo: il Fantastico. E tanto è sufficiente a riscattarlo dall’accusa d’essere cattivo filosofo.
Borges, reinventore del Fantastico, fu un grande filosofo in quanto eccelso letterato. Il suo “sistema”, che include la filosofia nella letteratura, è, dal punto di vista filosofico, uno dei più perfetti che il secolo appena trascorso ci abbia lasciato.
Egli ha infatti inaugurato una forma di pensiero in qualche modo inattaccabile, inoppugnabile: una filosofia alla quale neanche l’Autore presta Fede. Geniale. Neppure Nietzsche era giunto a tanto. Come liquidatore della metafisica occidentale, vicino a Borges, fa la figura del dilettante.
È vero che, al pari degli eresiarchi del suo racconto “Tlön, Uqbar, Orbis Tertius”, Borges giudicò la metafisica “un ramo della letteratura fantastica”. Ma non si limitò a questo: stabilì che ogni tentativo di spiegare uomo, coscienza, Dio, Storia e Natura, che ogni tentativo di costruire, legittimare, decifrare il mondo, è votato di necessità proprio a quell’ambito, al “Fantastico”. Al Fantastico come genere letterario. “La Psicoanalisi”, disse una volta Jorge Luis all’altro eresiarca di Tlön, il suo amico Adolfo Bioy Casares, è “il lato oscuro della fantascienza”.
Borges, fu già “postumo” mentre era in vita, perché, spietatamente, incluse se stesso in questo sistema: lo fece, credo, per un’insana passione per la simmetria e la perfezione. Non lo seguiamo, però, su questa strada.
In qualche modo le sue ossessive riflessioni sul Tempo l’hanno portato a un risultato speculare a quello che aborrì in Shih Huang Ti, il “Primo Imperatore” dei Cinesi ricordato in Altre Inquisizioni. Questi, che fu il Costruttore della Grande Muraglia, dispose che “venissero dati alle fiamme tutti i libri scritti prima di lui”, perché aveva uno scopo preciso: l’abolizione del Passato.
In modo sottile, Borges, mi sembra, fu tentato da un’altra perversione parallela. L’abolizione del Futuro. Del proprio, personale, come quello di tutti gli uomini.
La confutazione, e infine, l’annientamento dell’Avvenire con Borges avvengono, specularmente, riportando alla luce tutti i Libri del passato.
La citazione e la conservazione meticolosa della Tradizione Letteraria, dell’Erudizione, dei passi più segreti e dimenticati della mistica, la Cabbala, la metafisica, la prosa, la poesia, vanno letti in questa direzione.
Questo è anche il grande progetto sotteso al testo-chiave di Borges: “La Biblioteca di Babele”. È la Perla del Sistema. Si trova nel suo volume più ammirevole: Finzioni.
La Biblioteca di Babele, che va identificata con l’Universo, contiene tutti i Libri. Quelli scritti, quelli da scrivere. Perché le pagine dei suoi (solo in apparenza) “inesauribili” volumi, esauriscono la “combinatoria” di tutte le lettere dell’alfabeto. Registrano “tutto ciò ch’è dato esprimere, in tutte le lingue. Tutto: la storia minuziosa dell’avvenire, le autobiografie degli arcangeli… il commento veridico della tua morte, la traduzione di ogni libro … le interpolazioni di ogni libro in tutti i libri… Perché un libro esista basta che sia possibile”. La Biblioteca enumera tutte le possibilità di ogni lingua: e per ciò stesso, il passato, il presente, il futuro, tutti i “Metaversi”, tutti i destini.
Questo, in Borges, sembra programmatico. Supponiamo d’imbatterci in un fatto “X” che è per tutti incomprensibile. C’è, perché deve esserci, in qualche Libro – non a Babele, ma qui da noi, nelle nostre “reti” – la citazione, “Y”, che lo spiega. Se non c’è, la si inventa. Non per questo sarà meno “vera”: tutto ciò che il linguaggio elabora (o tollera), esiste, e non è meno legittimo della pretesa verità. Un tale sistema, ha spiegato Italo Calvino (come Sciascia, inevitabile lettore di Borges) è la forma definitiva di ogni possibile “rivincita dell’ordine mentale sul caos del mondo”. Grazie alla Letteratura, tutto si spiega.
Non è insensato credere che “tutto tenda a un Libro” – è atroce, credo, ipotizzare che questo Libro sia già stato scritto. Il futuro è già lì da qualche parte, in uno scaffale fuligginoso della Biblioteca. Ogni pensatore, ogni scrittore, mira ad apparire in quel Libro come citazione, come sunto, come Bignami di se stesso. Il destino e la vita di ogni uomo – si pensi all’Ugolino di Dante, così a fondo penetrato da Borges – aspirano, al massimo, al tributo di una trentina di mirabili terzine. Questo, è terribile.
Non è esagerato supporre che Borges intuì e articolò in questo modo il suo sistema perché il mondo non gli sopravvivesse, neppure come illusione, né, tanto meno, come Utopia. Non voleva Posteri. Per questo fu volontariamente “classico”, per questo fu “postumo” in vita, per questo ambì una totale consunzione, un’integrale “mortalità”: sapeva che il mondo non gli sarebbe sopravvissuto. Il mancato Suicidio del 25 agosto 1983, e la Sostituzione con Aquiles Scatamacchia, vanno pure letti in questa ottica: il desiderio di confutare il Mondo, scomparendo.
Se ha senso la critica: in ciò fu poco “fantastico”, perché, del Fantastico, esaltò una sola parte – il “paradossale”. Gli siamo grati egualmente, però, perché senza di lui non sapremmo neanche con che bussola orientarci, in quel territorio sterminato che il Fantastico, per l’appunto e per definizione, è.
Anche e soprattutto grazie a lui.
“Il futuro è vento, nebbia, è la pula del grano”: ha scritto Hegel. Filosofo credo detestato da Borges, ma con il quale lo scrittore argentino condivide più di un punto di vista, e – se si può dir così – più di un destino. Dire: “Il mondo, disgraziatamente, è reale; io, disgraziatamente, sono Borges”, sembra pericolosamente simile all’hegeliano “tutto ciò che è reale è razionale, e tutto ciò che è razionale è reale”. Secondo Bloch, dalla prima frase deriva tutta la destra hegeliana; dalla seconda, tutto Marx.
Anche al Fantastico fondato da Borges è toccata, in qualche modo, la stessa sorte: chi più l’apprezza, tanto più deve tradirlo.
Purtroppo, quando si escogitano sistemi troppo perfetti, si è indotti fatalmente a proclamare chiusa l’esperienza del Mondo. Sciascia cita invece con ammirazione l’esempio degli indiani Navajos, che volontariamente lasciavano “un punto imperfetto” mentre tessevano stoffe e tappeti, affinché l’anima del tessitore “non vi restasse imprigionata”.
Il Futuro, nel nostro caso, dovrebbe fare le veci dell’anima: noi dovremmo poter giudicare ogni pensiero, e ogni letteratura, secondo quanto o quanto poco di “Futuro” (di “Nuovo”, di “Diverso”) è rimasto impigliato nelle loro reti: tese e tessute, magari, per tutt’altro. Altrimenti non c’è “altrimenti” – il mondo sarà sempre quello che Borges ha devotamente detestato.
Chiediamo allora a Borges, contro Borges, di salvarci dal retaggio mitico dei paradossi, cui tanto ha sacrificato in vita. Chiediamo al “morto” Borges – come direbbe Kafka – di evolversi, di progredire. Di indicarci gli strumenti non per incatenare, ma per sciogliere i circoli viziosi del pensiero. Di darci, anche grazie a illuminazioni che solo il Fantastico può offrire, il senso dei quasi infiniti futuri che ci attendono, mai trascritti negli insonni volumi delle sue Biblioteche.
Letta con questa lente deformante, e ripulita dalla “fuliggine” delle sentenze e delle citazioni inani, la ricchezza della sua Letteratura non ci deluderà.
PROSEGUE IL 24 AGOSTO CON UN’INTERVISTA DI ZZYWWURATH A JORGE LUIS BORGES, DEL 1984]
[in copertina: Il Terapista di René Magritte]