Non giudico la correttezza storica di Oppenheimer, il film di Christopher Nolan che nel marzo 2024 ha vinto sette Oscar. La sceneggiatura, scritta dallo stesso regista, permette al film di scivolar via senza noia (o quasi) nonostante una durata di tre ore. Ma forse è proprio questo il problema. Per la prima volta Nolan realizza un film che sembra la fotocopia del copione. Anche le rare invenzioni presenti, come l’amplesso “nature” tra Oppenheimer e la sua amante comunista durante l’interrogatorio a cui il Fisico viene sottoposto, sembrano uscite da una matrice letteraria, non visiva. Interstellar, Inception, Tenet, turbavano lo spettatore perché viaggiavano su dimensioni temporali sussultorie, mai così regolari. L’andirivieni tra tribunali e biografia spicciola del creatore della Bomba Atomica è un “domino” sicuramente ben costruito, ma il processo giudiziario di maggior rilievo (quello – in uno splendido, inedito e vivissimo bianco e nero –, a uno straordinario Downey Jr) è del tutto insignificante per lo sviluppo della storia, visto che il colpo di scena finale non riguarda tanto Oppenheimer quanto la sete di potere e la ripicca un po’ infantile d’un personaggio decisamente marginale.
La scelta di non mostrare lo sgancio della Bomba su Hiroshima o quella su Nagasaki è certo coerente con la scelta di non mostrare nemmeno un colpo di fucile o un morto della seconda guerra mondiale, il conflitto sul quale il team del Progetto Manhattan appose la definitiva pietra tombale. Ma è eticamente discutibile, oltre che lusinghiera per la rimozione generale della catastrofe scatenata. Esattamente come allo stesso modo è discutibile, dal punto di vista etico, la suspence indotta dalla sequenza del collaudo del primo ordigno, il Trinity, che costringe lo spettatore a parteggiare per l’esito “tecnicamente” e “professionalmente” felice d’un progetto costato due miliardi di dollari. Si fa dunque il tifo per il “successo” dell’Atomica, a prescindere da quelli su cui verrà scagliata e a prescindere, anche, dalla sua utilità, nel momento in cui era evidente, per tutti, che la corsa all’Arma Totale era ormai persa, per i nazisti. Oltre tutto, non si fa cenno nel film alle conseguenze mortali seguite a quel Test nel deserto di Los Alamos, che ha avvelenato l’intero continente nordamericano. Sembra poi, che il rimorso per gli orrori compiuti violentando e distruggendo la Natura, oltre che carbonizzando e irradiando milioni di uomini e di donne, appartenga alle sole elucubrazioni mentali di Oppenheimer. Un personaggio che il film ci descrive come accentratore e al tempo stesso cinico, fragile e oscillante, fino alla delazione degli amici. Quasi il mondo esterno non esistesse più, e la Bomba fosse diventata una sua vicenda privata.
Se questi sono i prodotti migliori sull’argomento “Atomica” con i quali ci dobbiamo confrontare (e Oppenheimer lo è, perché il film è spettacolarmente ineccepibile), allora si dovrà rivalutare, persino dal punto di vista della “denuncia” e dell’impegno antinucleare, la Terza Stagione di Twin Peaks, dovuta al genio assoluto di David Lynch. Un autore col quale Nolan, a livello di invenzioni visionarie, sembrava finora quasi in grado di competere.
Vale la pena di ricordare infatti che i Dèmoni pervertiti dagli alieni di Twin Peaks, i brutalizzatori piovuti dallo Spazio, – e in ultima istanza quindi gli assassini di Laura Palmer – sono scaturiti dagli esperimenti nel deserto di Los Alamos, sacro ai Nativi Americani. Quei Test nucleari sono all’origine del Male.
E noto anche, per inciso, che Lynch (nato nel 1946), nel mettere a fuoco situazioni e personaggi dell’epilogo sembra essersi inconsciamente ispirato ai film “atomici” che devono averlo più colpito da bambino e da adolescente.
Faccio l’esempio di Atomicofollia (in originale: The Atomic Kid), del 1954, scritto da Blake Edwards e interpretato da Mickey Rooney e da un grande Robert Strauss, del quale viene citata quasi integralmente una sequenza: lo svuotamento delle slot machines al passaggio del protagonista “radioattivo”.
Ma aggiungo anche altri due film: il primo Godzilla giapponese (Gojira, del 1954, diretto da Ishirō Honda), un mostro diventato gigantesco e devastante a causa degli esperimenti nucleari,
e il capolavoro di Jack Arnold tratto da un romanzo del grandissimo Richard Matheson: Radiazioni BX: distruzione uomo (The Incredible Shrinking Man), nel quale il personaggio principale, dopo essere stato investito da una pioggia radioattiva dovuta a qualche test, perde “Dieci millimetri al giorno” di statura, fino a scomparire nel Sub-Universo.
Non è angoscioso per noi contemporanei della guerra russo-ucraina – in procinto di degenerare in modo “atomico” da un momento all’altro –, che questi film degli anni ’50 abbiano più da dire sui “Test Nucleari” che non l’attualissimo Oppenheimer?
[i trailer sono ricavati da YouTube a cura, nell’ordine, di: UNIVERSAL PICTURES INTERNATIONAL ITALY (Oppenheimer); Cliff Held (The Atomic Kid); GODZILLA OFFICIAL-TOHO; VIDEODETECTIVE (The Incredible Shrinking Man)]