I- Il brigante scozzese MacDonald (secondo il racconto che ne fece Walter Scott, nella sua Storia di Scozia) depredò una povera vedova che, incollerita, gli giurò che sarebbe andata a piedi fino a Edimburgo, per denunciarlo al Re. Allora il malfattore le fece “ferrare” i piedi come fosse un cavallo, adducendo a motivo che il viaggio era molto lungo.
Da parte sua, Italo Calvino ricorda che “Chauffeurs”, si chiamarono, prima degli autisti moderni, “i briganti che assaltavano le case di campagna e bruciavano i piedi delle vittime per obbligarle a rivelare dove avevano nascosto i soldi”. Ebbero il loro momento di maggior fortuna tra Sette e Ottocento.
L’imprescindibile Tommaso Garzoni, ne L’Hospidale de’ pazzi incurabili (1586) immortalò un certo “Toniolo da Marostica, il quale entrato in fantasia d’essere diventato un taccone da scarpa, caminò fino a Vicenza con le natiche per terra, et con le mani a’ i piedi, dubitando che qualche ciavattino per strada non gli appuntasse i calcagni, o le suole per disgrazia”.
II- In auge in Occidente c’erano supplizi nei quali si faceva ampio ricorso a unghie, denti, lingua o chele delle bestie, per terrorizzare e martirizzare un imputato, e indurlo a confessare anche crimini mai commessi.
Per Ippolito Marsili, trattatista del XV secolo, un’infallibile tortura consisteva nel legare la vittima, appenderla, e bagnarle i piedi nudi con la salamoia. A quel punto si introducevano una o più capre, che cominciavano a leccare le sue estremità. Marsili assicura che questa crudeltà procura “un tormento indescrivibile”.
Basso, vescovo di Nicea, accusato di essere cristiano dai Romani, fu ucciso in questo modo: fabbricarono per lui due chiodi spessi e lunghi quanto la sua altezza, gliene infilarono uno per piede e battendo con i martelli li fecero uscire entrambi dalla testa. Lo afferma Gilio da Fabriano, ne Le Persecutioni della Chiesa.
III- Le leggi di certi popoli lontani da noi nel tempo o nello spazio prevedono successioni forzate o colpi di stato incruenti, a cui i monarchi s’assoggettano nonostante debbano essere uccisi.
Racconta Frazer: se “il peso del governo lo ha affaticato”, la condanna per il re di Oyo giunge dal passato. L’aristocrazia locale applica per lui una sorta di “verdetto podologico“. Quando gli nasce un figlio, gli Yoruba «fanno un modello del piede destro del bimbo e lo conservano nella casa dei più vecchi (agboni). Se il re manca d’osservare i costumi del paese, un messaggero, senza proferir parola, gli mostra il piede del figlio. Il re sa che cosa questo significa. Prende il veleno e “va a dormire”».
IV- Di Rabbi Tarphon, campione quasi insuperato dell’amor filiale, si narrano molti aneddoti. Questi li desumo da Il Talmud, di Cohen:
“Ogni qualvolta sua madre voleva salire nel letto, egli si chinava ed essa montava su di lui; e discendeva dal letto nella stessa maniera”. Una volta, “sua madre uscì a passeggiare nel cortile della casa un giorno di Shabbath, e le si sfilò una scarpa”. Di sabato, a un Ebreo è vietato, tra altri trentanove capitoli di proibizioni, di “portare un oggetto da un dominio ad un altro” (Shabbath, VII, 2). Rabbi Tarphon risolse la questione umiliandosi fino al midollo: “egli mise le sue mani sotto le piante [dei piedi] di lei, che su di esse camminò finché non ebbe raggiunto il letto”.
[in copertina: La disperazione dell’artista di fronte alla grandezza delle rovine antiche, di Johann Heinrich Füssli]