I- Credo che I tre Porcellini sia in assoluto la Silly Symphony più conosciuta e amata dal pubblico, seguita a notevole distanza, in questa graduatoria, dal Brutto Anatroccolo e da Skeleton Dance.
Il corto, diretto da Burt Gillett, vinse giustamente l’Oscar nel 1934: ma la sua importanza non può essere ristretta al successo, straordinario, che riscosse in tutto il mondo.
Nel giudizio dei Geni dell’Animazione, Three Little Pigs fa parte della Storia. Come ha specificato Chuck Jones, Disney ha inaugurato con i porcelli un nuovo modo di dar vita ai personaggi dei cartoni: i tre, Fifer, Fiddler e Practical, non erano più caricature “comiche” stereotipate, non più “maschere” immediatamente riconoscibili, perché rimandavano a modelli triti: ma caratteri veri, ognuno dotato di differente personalità. L’innovazione era dovuta a fattori tanto artistici, quanto tecnico-produttivi: i fratellini erano in tutto simili nell’aspetto, ma Disney aveva affidato la cura e la creazione delle loro posture e movimenti a tre animatori diversi, quasi fossero marionettisti, ponendoli al servizio della stessa storia e soprattutto aggiogandoli al ritmo delle stesse note musicali.
Il Cartone si emancipava così dalla frusta pantomima. Il “realismo” degli interpreti, e la conseguente “nitidezza” della favola, perciò, stupiscono ancora oggi gli spettatori.
Ma per quelli che alla sua uscita affollavano le sale, e tornavano a vederla anche cinque o sei volte nella stessa settimana, la fiaba aveva un significato ulteriore, politico e “civile”, che al pubblico di oggi può totalmente sfuggire. Mariuccia Ciotta, nel suo ineludibile Walt Disney: Prima stella a sinistra, lo spiega in modo definitivo. I Tre Porcellini ha fatto, dice Ciotta, da “apripista”. Quel che Mickey Mouse incarnava dal 1928, lo spirito e i valori d’una America instancabile, giovane, coraggiosa, e irriverente con le classi dominanti, viene riproposto dalla Silly Symphony del 1933 nel modo più consono ai dettami e agli slogan del New Deal rooseveltiano.
Invito dunque tutti a rivedere il corto (ne circolano copie in DVD, in blu-ray e su Youtube), per il quale suggerisco questa chiave di lettura: i due porcellini buontemponi, superficiali e goderecci che suonano flauto (Fifer) e violino (Fiddler) rappresentano l’euforia che aveva contagiato gli americani prima del ‘29. Hanno costruito sul niente, pensando di vivere in un eterno bengodi. Le loro case sono di paglia e legnetti. Il vento può spazzarle via, come successe effettivamente durante la crisi, quando gli agricoltori improvvisamente impoveriti abbandonarono i campi e la terra incolta, devastata dai tornados e dal clima secco, perse la sua fertilità. Il terzo porcellino (Practical Pig, il pianista) rappresenta invece i valori del New Deal: ci si rimbocca le maniche e si fonda la ricostruzione su basi solide e concrete: come saranno le grandi opere pubbliche varate dal governo. La casa di mattoni resiste all’assalto del Lupo cattivo, il quale simboleggia apertamente l’avidità e la rapacità dell’egoismo capitalistico che ha condotto la nazione sull’orlo del baratro con la prospettiva falsa di facili guadagni.
Letto così, il celebre refrain dei Tre Porcellini: “Chi ha paura del lupo cattivo? Noi no no no” (cantato all’unisono dai tre, dopo aver sconfitto Zeke, il Lupo) è uno “Yes, we can” con 70 anni di anticipo. Ciotta lo chiama: la colonna sonora del New Deal: un grido di ottimismo, coraggio, solidarietà che poteva essere solo disegnato, quando l’America non era ancora riuscita a scrollarsi di dosso la polvere della depressione e della miseria.
II- Molto si è detto, anche astiosamente, anche fuori di ogni verità, sul rapporto tra Walt Disney e i fascismi.
Le Fake News in questo campo imperversano ancora. Walt era figlio di un vecchio socialista, e era un sincero democratico, che parteggiava per il popolo. Neanche si può dire che lui abbia aderito agli ideali di Roosevelt: perché erano già i suoi.
In modo del tutto conseguente, schierò le sue creature disegnate contro il nazismo, e questo ben prima dell’entrata in guerra degli Stati Uniti: basti ricordare il cartone The Thrifty Pig (“Il porcello parsimonioso”), prodotto in appoggio allo sforzo bellico canadese, e realizzato tra il marzo e il novembre 1941. Il Lupo qui indossa una fascia con la svastica e ha le stesse intenzioni predatorie del führer.
Non ci sono prove che Walt abbia appoggiato i dittatori fascisti. È sicuramente vero, al contrario, che questi ultimi adoravano Mickey Mouse e Biancaneve. Certo non perché si riconoscevano “politicamente” in ciò che questi cartoni rappresentavano. Ma per il divertimento, la novità, la perfezione scenica, che essi esibivano. Talmente moderni erano le immagini e il ritmo di quei cartoni, ai quali non si poteva certo negare il titolo di “arte”, che i leader dei fascismi ne restavano abbagliati – esattamente come tutti gli altri spettatori, quelli le cui coscienze tenevano imbrigliate.
III- Recentemente ho rivisto (già lo conoscevo) il documentario televisivo che rimonta i materiali girati nell’immediato dopoguerra da un ufficiale italo-americano, il magistrato Michael Musmanno (probabilmente, in origine, “Musumano”), che intervistò tantissimi testimoni “oculari” delle ultime ore di Hitler nel bunker di Berlino. L’inchiesta – che aveva lo scopo finale di provare se il führer fosse morto davvero o no, e eventualmente “come” – era impostata in modo rigoroso; neppure mancavano gli scoop: il film che il magistrato voleva trarne, però, non fu mai completato, perché né i produttori cinematografici, né quelli televisivi, vollero mai acquistare il materiale, dopo averlo visionato. Fu, insomma, boicottato da Hollywood e dalle maggiori catene di emittenti, per un motivo semplice: i nemici non erano più i tedeschi, ma si trovavano ora oltre la cortina di ferro, o in casa, impegnati in “attività antiamericane”.
Vedo, ascolto, la segretaria di Hitler, che ha raccolto le ultime volontà del dittatore, e che racconta che il führer pianificava di togliersi la vita in questo modo: prendere un veleno e, contemporaneamente, spararsi in bocca. Una prodezza che ricorda certi cartoni animati di Tex Avery. Un’altra inquadratura mostra il testamento di Hitler; si vede bene la firma in calce: il nome “Adolf” è un 4 accidentato con la gamba lunga; il trattino sulla effe sembra portare due baffetti, identici ai suoi.
Ma la parte più sorprendente del documentario, ancora una volta, è (almeno per me), l’intervista al maggiordomo del dittatore, Arthur Kannenberg, che dai primi anni del dopoguerra già lavora come receptionist e chef alla mensa degli ufficiali americani di stanza vicino a Norimberga. Kannenberg, simpatico ex-ristoratore promosso da Hitler a suo factotum, si mostra ancora gioviale e, almeno sembra, in pace con la propria coscienza. Non ha problemi a parlare del passato. Musmanno gli chiede quali fossero i suoi compiti, quando era impiegato presso Hitler.
“Ero il suo maggiordomo (Hausintendant) e cuoco personale. Mi occupavo anche del suo intrattenimento”, risponde. E poi precisa: “il führer amava divertirsi, quando invitava qualcuno alle sue feste. Si cantava, si ballava”. Nel Diario di lavoro di Bertolt Brecht è incollata una lunga sequenza fotografica nella quale si vede Adolf che si scatena nelle danze, durante uno di quegli “intrattenimenti”: ha l’agilità di un manichino.
A questo punto Musmanno, dimenticando d’essere un magistrato militare, rivolge al suo interlocutore corpulento la domanda che ogni giornalista degno di questo nome avrebbe fatta: “Qual era la sua canzone preferita?”
“Ah”, replica Kannenberg: «lo troverà strano, molto strano, ma la sua canzone preferita era americana: “Who’s afraid of the big Bad Wolf?”»
La canzone preferita di Hitler, in assoluto, era: “Chi ha paura del Lupo Cattivo?”. Il ritornello del cartone animato, la Silly Symphony di Walt Disney, I Tre Porcellini.
Nessuno dubita, che Hitler, cantandola, imitasse Zeke, il Lupo Cattivo (Ezechiele, nella traduzione italiana), mostrando gli artigli e gli occhi iniettati di sangue e camminando con passo felpato.
E non c’è dubbio che, anche secondo Disney, Hitler si sarebbe identificato col Lupo feroce e sanguinario, subdolo e intrigante, che siglava patti con altre potenze e nazioni confinanti per poi stracciarli. Cos’altro erano le case dei Porcelli, se non altrettanti territori da invadere, per le sue mire espansioniste?
E così vengono mostrati e denunciati, come appetiti da Lupo, gli ideali nazisti in The Thrifty Pig, il cartone antifascista dello Studio Disney, che ebbe la sua “premiere” il 19 novembre 1941. [Sarà poi Tex Avery, in Blitz Wolf (1942), un cartone di propaganda che esce da una costola dei Tre Porcellini, a disegnare sulle labbra del Lupo un paio di inequivocabili baffetti].
Adesso però non mi è chiaro, e più che uno storico (che non sono) dovrei essere psicologo per cercare di rispondere a questa domanda: ma davvero Hitler amava quella canzone, “Who’s afraid of the big Bad Wolf?”, perché si identificava col “grosso lupo cattivo?”
Non era più probabile che – come proprio il motivetto sta a significare – si sentisse più affine ai piccoli porcelli? Che volesse dimostrare che aveva esorcizzato e battuto i suoi nemici più pericolosi? Questo immenso paranoico non vedeva dappertutto complotti di plutocrati e di potenti “giudei”?
Non aveva forse equivocato il senso di quella parte del cartone (versione originale del ’33, poi emendata) nella quale il Lupo, travestito da venditore ambulante, bussava alla porta di casa Practical, cercando di farsi aprire per vendergli qualcosa, con forte accento yiddish?
Negli Stadi tedeschi, a partire dal 1932, per introdurre i comizi del futuro führer, centinaia di migliaia di proseliti affascinati da Hitler ripetevano a memoria gli slogan propinati a tutto volume da giganteschi altoparlanti.
Una voce stentorea, potente e immateriale, sollecitava il pubblico:
“Chi è responsabile della nostra miseria?”
E lo stadio rispondeva ululando:
“Il sistema!”.
“E chi c’è dietro il sistema?”
“Gli ebrei!”, rispondevano in coro centomila fanatici.
Infine la voce imbeccava la folla, gridando: “Germania!…”.
E tutti in piedi, delirando, ribattevano: “…Risvegliati!”.
Solo allora appariva, ieratico, magnetico, sul palco, Adolf Hitler.
Il führer andò al potere, prestando giuramento come Cancelliere, il 30 gennaio del 1933. The Three Little Pigs uscì quell’anno stesso. Forse Hitler, così amante dell’esoterismo, vedeva in questa coincidenza una misteriosa configurazione di destini. Contrariamente a Practical Pig, però, e alle promesse del New Deal, per farla uscire dalla crisi costruì la sua Germania sui carri armati e sui cannoni, non sui mattoni. Amava Disney, ma non ne apprese mai la lezione.