I- Se avessimo la ventura di appurare, con assoluta certezza, che l’Aldilà esiste e ci aspetta, terremmo forse questa notizia nascosta, come il più personale dei segreti? E chi altri può essere più sicuro che dopo la Morte c’è sopravvivenza, se non il Morto stesso? L’Anima Immortale del defunto, se messa in condizione, è tenuta “moralmente” a battere un colpo, almeno nella ristretta cerchia degli amici, dei congiunti; quantomeno, presso i più dubbiosi.

Spesso, il desiderio di informare chi ci ama su quanto ci attende nell’Oltretomba, non è affatto estemporaneo, ma corrisponde a una promessa solenne scambiata in vita. La formula la si può riassumere così: “Quello di noi che morrà per primo verrà a trovare ed avvisare l’altro”. Attesta lo storico Le Goff: “il patto tra due vivi, che si impegnano a che il primo che muore torni a raccontare la sua esperienza al sopravvissuto”, divenne usanza molto popolare nel medioevo, non solo tra i monaci.
Lo dimostra il Decameron di Giovanni Boccaccio (Novella decima, giornata VII) là dove si narra di Tingoccio e Meuccio di Tura, due amiconi, i quali “insieme si promisero, che qual prima di lor morisse, a colui, che vivo fosse rimaso, (se potesse) ritornerebbe, et direbbegli novelle di quello, che egli desiderava, et questo fermarono con giuramento”. Il morto mantiene il giuramento, e quando appare è prodigo di rivelazioni, in un clima da commedia, e non da horror.

È la costanza di questi contratti tra mortali che stupisce; quasi fossero da considerare una prova suprema d’amicizia, l’ordalia della fedeltà amicale: “Non mi tener celato alcun Segreto!”. Amici, amiche, gruppi di loro, si scambiano confidenze, o dubbi, o terrori, sulla Morte. Quanto più è profondo il loro sodalizio, tanto più parrà loro naturale al termine della conversazione di promettersi un incontro ultraterreno, un cenno di sopravvivenza da un Mondo all’Altro.
Nella schiera dei “Messaggeri” che tornano dalla Tomba per testimoniare l’immortalità dell’Anima compare anche l’umanista italiano Marsilio Ficino (1433-1499). Secondo lo storico della Chiesa Cesare Baronio, Ficino concordò con il suo giovane scolaro Michele Mercati che, appena fosse deceduto, gli sarebbe riapparso come Spirito. Cosa che puntualmente avvenne.

Il grande filosofo neoplatonico s’era impegnato a ritornare per informare il suo allievo sul destino dei Morti, e se corrisponda a verità quanto si dice delle cose ultraterrene.
“O Michæl, o Michæl”, gridò il Fantasma al poveretto che dormiva, “vera, vera sunt illa”! L’apparizione fu laconica e repentina; presto svanì.
Pare che Ficino visitò Mercati sotto forma d’Ombra biancovestita, e che montasse un’ombra di cavallo del medesimo colore. Particolare non trascurabile, questa cavalcatura: perché dimostra la gran fretta con cui il defunto era uscito da dov’era, oppure la gran fretta che aveva di tornarci.
II- Il poeta italiano Pierpaolo Pasolini, coscienza critica della sua generazione, nel suo Decameron, film del 1971, traspose sullo schermo la novella di “Meuccio” del Boccaccio. Intrigato dalla promessa ultraterrena su cui ruota, anche lui, benché marxista, siglò sul set con l’attore e suo pupillo Ninetto Davoli un impegno simile: “Chi di noi muore per primo deve tornare a trovare l’altro”.
Quando Pasolini fu ucciso, a Ostia, nel 1975, nel modo più brutale e misterioso, toccò proprio a Davoli riconoscere, all’obitorio, il corpo straziato dell’amico. Leggo in un libro di Piero Poggio (Parliamo con l’aldilà. Ritrovarsi nella luce) che, da allora, Ninetto ne avverte la “presenza”, anche se non s’è mai tramutata in un segno tangibile di “riapparizione”. L’impegno sarebbe stato, insomma, e in qualche modo, rispettato.

Secondo Alexandre Brière de Boismont – grande studioso, ottocentesco, delle Allucinazioni –, questo tipo di “appuntamenti” tra Morti e Vivi, baciati dal successo, denuncia nel superstite tutti i sintomi di una “sincope” favorita dal grato “ricordo di un amico”.
[in copertina: Il Doge Alvise Mocenigo presentato al Redentore, di Jacopo Tintoretto (particolare)]