Più di 30 anni fa ideai per il Grifo, la rivista di Letteratura Disegnata diretta da Vincenzo Mollica, una serie di “Interviste Impossibili” a personaggi-culto del mondo dei Fumetti. Erano incontri doppiamente immaginari: perché in essi riesumavo, come intervistatore, il signor Gog, il miliardario psicopatico inventato da uno dei miei autori di Fantastico preferiti: Giovanni Papini.
Molti numeri di quella rivista preziosa e innovativa risultano introvabili. Ho pensato dunque di riproporre sul sito zzywwurathiano quel che ho scritto allora, e ringrazio, per questa opportunità, Vincenzo Mollica e l’editore Mauro Paganelli.
Gotham City, 12 novembre
Bruce Wayne abita in un lussuoso maniero, giusto sopra una vasta e tenebrosa caverna, che al primo brivido sismico può farlo sprofondare. Per questo il comune l’ha sfrattato, ma il danaroso e potente Wayne non se ne dà per inteso. “Lei va lì a suo rischio e pericolo”, mi ha detto un poliziotto di pattuglia, indicandomi il cancello.
“Il signor Batman, per favore?” – ho chiesto al maggiordomo, che, sussiegoso, non ha battuto ciglio. Tutti a Gotham sanno che Bruce Wayne è Batman. Un compassionevole “accordo tra gentiluomini” stipulato con i fuorilegge impedisce che questa informazione venga utilizzata per vendette trasversali. Del resto, non si sa bene chi dovrebbero colpire.
“Il Batman non riceve prima di notte” – mi avvertì il maggiordomo. “Il signor Wayne invece è sveglio, ma ha un ospite: c’è mister Walker da lui…”.
“Gli dica che sono Gog, e che mi manda il Gentiluomo Malato”.
Il maggiordomo mi comminò un sorriso di disapprovazione. Ma trenta secondi dopo essere sparito nella hall, ritornò trafelato per farmi accomodare.
Entrai nella biblioteca del miliardario e fui accolto da un cordiale e silenzioso energumeno dalla mascella quadrata: Bruce Wayne, alias Batman, è esattamente come lo disegnano, forse appena un po’ più malinconico…
Un lupo, che non avevo visto, mi ringhiò all’altezza dei polpacci.
Di fronte a Wayne sedeva, addormentato, mister Walker. Era infagottato in un cappotto, inforcava spessi occhiali scuri. Un cappellaccio e una sciarpa calcati sul bavero lo rendevano irriconoscibile. Ronfava dignitosamente, ma in modo agitato.
“Shh…”, mi sussurrò il mio ospite, che era in borghese: “non svegliamolo”.
Mi fece sedere su una poltrona, che accostò alla sua.
Non mi parlò subito: per qualche interminabile secondo stette a fissare, beato, mister Walker. Poi confessò sottovoce:
“Mi crede se le dico che non so cosa vuol dire sognare? Non che non mi ricordi i sogni da sveglio… questo succede a tutti… è che io non ho mai sognato…”
“Signor Batman”, intervenni, “lei è il più temuto giustiziere della notte. Tutto ciò che le capita, succede dopo il tramonto. Di notte un segnale luminoso la richiama sul luogo di un delitto, e lei non si sottrae. Mi vuol dire che significa tutto questo, mi vuole spiegare il senso del suo formidabile travestimento? “
“Travestimento?” – si stupì lui – “siete ben sicuro di essere un amico del nostro Cavaliere Infermo? A voi dirò la verità… una volta un giornalista scrisse che mi ero ispirato, per il costume, a un pipistrello che era entrato all’improvviso nella mia stanza, proprio nell’istante in cui mi chiedevo in che modo avrei potuto terrorizzare i criminali. Non è andata così. Il pipistrello era già dentro la stanza… ero IO”.
“Non afferro”, commentai.
Bruce Wayne si alzò e mi venne ancora più vicino.
“Ci sono religioni che vedono nell’uomo un animale reincarnato. Altri, mistici o sciamani, professano che un totem, uno spirito animale, ci fa da guida nelle nostre azioni… ci sono racconti dell’orrore in cui è invece l’uomo a trasformarsi in belva, per qualche ragione superstiziosa o vergognosa. La verità è un’altra. La mia metamorfosi è avvenuta nel modo più laico e elementare. Niente effetti speciali, niente stregonerie. Alla base c’è un’esperienza tanto comune, che potrebbe capitare anche a voi. Consiste nello spingere l’INSONNIA alle sue estreme conseguenze”.
Wayne amorosamente rimboccò la sciarpa a mister Walker, poi si appoggiò al camino e proseguì, sempre a voce bassa.
«Fin da piccino non sono mai riuscito a dormire. Avevo tredici anni quando una notte i miei genitori, esasperati perché non prendevo sonno, mi accompagnarono in una passeggiata. Un rapinatore li uccise entrambi – mio padre, mia madre – sotto i miei occhi. Da allora l’insonnia divenne il mio inferno. Ciò che avevo veduto, mi teneva sveglio. Non mi inorridiva tanto che un “uomo malvagio” avesse sterminato la mia famiglia, quanto che avesse lasciato in vita me per ricordare quel fatto. C’è un’età in cui ci si ribella ai genitori. Io, verso i 17 mi ribellai al loro assassinio. Con uno sforzo sovrumano, lo cancellai dalla mia memoria.
Per contrappeso, scelsi un’altra ossessione notturna, lo studio. Mi gettai nella chimica, nelle scienze applicate, nella matematica. Non c’è migliore compagnia, per un insonne, che la matematica. Ma è come una febbre, perniciosa. Purtroppo, una notte elaborai una teoria: scoprii che c’erano numeri buoni e numeri cattivi. Non mi riferisco alla nota pratica superstiziosa. C’erano numeri che nella serie di tutti gli altri e nei rapporti con gli altri numeri si comportavano con particolare “malvagità”. Certi algoritmi poi, erano addirittura “criminali”…
Questa idea divenne ben presto insostenibile… stracciai tutto.
Praticai una via diversa, per guadagnarmi un po’ di sonno. Avevo 20 anni, ero giovane e vigoroso. Passai interminabili giornate in palestra ad allenare, ma soprattutto a sfibrare, il mio corpo. Divenni forte, possente, atletico. La sera cadevo sul letto con infinita stanchezza, ma appena toccavo le coperte e serravo le palpebre… era inutile: ancora lui, l’Inferno dell’Insonnia, come un neon buio ma acceso, conficcato nella mia mente… feci uso di droghe e di sonniferi, senza alcun sollievo. Così mi trascinai fino al 1939.
Quell’anno mi convinsi che il mio errore era stato resistere all’Insonnia… dovevo assecondarla, invece, abbandonarmi al suo potere… E allora accadde l’irreparabile.
Ve lo racconto perché tutti possono capire, perché tutti sanno, anche se nessuno con la mia stessa intensità, cosa vuol dire stare a letto, al buio, nella vana speranza di dormire… l’avrete sperimentato anche voi: l’assenza di rumori, nella notte, è il rumore più assordante.
Le orecchie si aguzzano, si allungano a captare il più piccolo brusio, il tonfo più attutito… per una intera, interminabile notte, restate sveglio, cieco e famelico di sonno – ad ascoltare solo il tamburo del cuore che martella i vostri timpani… sentite il sangue che vi pulsa e ingrossa le vene della testa, esattamente come se foste appeso capovolto…
Ma avete mai vissuto, come me, in quello stato di ossessione e di pericolo, oltre quell’incerta soglia dell’Insonnia, per cui tutti i vostri sensi sono potenziati fino alla tortura? Per cui non solo “sentiamo” il suono dei nostri orecchi, ma “gustiamo” il sapore della nostra lingua, annusiamo l’odore del nostro naso, e persino, ci sembra di “vedere” i nostri occhi?… Credetemi: così al buio si mandano urla che nessuno, neanche noi!, può udire… urla che somigliano a ultrasuoni…
E tutto questo è andato avanti, tutte le notti, per sei mesi… finché una notte, un pipistrello entra davvero… un pipistrello femmina che cerca le vostre labbra, per suggellarle con un BACIO…
Ecco, signor Gog, come ci si tramuta in animali. Nel mio caso, trent’anni di insonnia hanno provocato una metamorfosi compiuta: io sono diventato un PIPISTRELLO. Non nel corpo, nell’Anima.
Il resto è routine. Rassegnato alla mia nuova condizione, ho cercato un’attività notturna che mi tenesse occupato, mascherando il mio segreto. Ho indossato, con riluttanza, il ruolo di “Giustiziere”.
Tutto quello che avevo imparato, e la mia forza atletica, li ho messi al servizio della polizia. Non so, se non fossi stato un miliardario, se avrei scelto questa parte della barricata.
Il costume l’ho scelto per una sorta di coscienziosa superstizione. Non posso dire a tutti chi sono, ma non posso nemmeno rinnegarlo…»
In quel momento, mister Walker si svegliò. Sbadigliando, prese congedo. Mentre mi stringeva la mano, riconobbi il simbolo del teschio sul suo anello. Bruce Wayne lo abbracciò pieno di riconoscenza e accompagnò lui e il lupo alla porta.
Quando ritornò, mi disse:
“Sì, era Phantom, l’Uomo Mascherato. Ogni giorno chiedo ai miei amici e ai miei colleghi se hanno voglia di schiacciare un pisolino qui da me. Niente mi ristora di più, e mi commuove, che la vista di un essere che dorme, o che sogna, addirittura…
Un tempo l’invidia per i dormienti non mi faceva chiudere occhio. Adesso mi appago solo assistendo a questo grande e insondabile mistero: il SONNO… “
Era tempo di salutare, e mi congedai…
“Andate già via?”, protestò quasi indispettito il Batman. “Non sentite neanche un po’ di sonnolenza?”.
[da il Grifo, anno secondo, numero 16]