Nel 1992 Vincenzo Mollica e io ci divertimmo, davvero molto, a realizzare uno “Speciale Tg1” (curato da Romano Tamberlich) dal titolo “Appunti a Fumetti”, nel quale un grande artista, Danijel Žeželj – all’epoca appena venticinquenne – ci aveva ritratto come “personaggi disegnati”, un po’ sonnambuli, un po’ rabdomanti e pellegrini, che andavano in cerca dello Spirito Vero dei Fumetti. In questo Speciale di 40 minuti comparivano interviste originali e inedite a: Woody Allen, Attilio Bertolucci, Ray Bradbury, Giorgio Strehler. Ma soprattutto, a fare da fil rouge a tutta la narrazione, era il dialogo di Mollica con il suo grande amico Federico Fellini. Ho chiesto a Vincenzo il permesso di riproporre questo suo incontro davvero splendido e rivelatore all’interno del sito-Zzywwurath, e lui, con il consueto affetto, con la consueta generosità, me l’ha accordato.
Vincenzo Mollica:
Il tuo incontro con Walt Disney: com’è stato?
Federico Fellini:
Ho conosciuto Disney moltissimi anni fa. Ci venne incontro all’ingresso del suo fantastico paese Disneyland dirigendo e guidando una banda di ottoni che forse in nostro onore suonava delle marcette di Nino Rota. Con lui scendemmo nel sommergibile del Capitano Nemo, salimmo in una astronave che si perse verso galassie sconosciute; poi, da perfetto padrone di casa, da grande uomo di spettacolo e da grandissimo attore, ci offrì da bere qualcosa in un saloon e insistette perché prendessimo due pistoloni dal calcio incrostato di madreperla e con le canne molto lunghe. “Non si sa mai”, disse. Infatti poco dopo con un calcio si spalancò quella porticina tipica dei saloon ed entrarono quattro banditi, e fu un inferno di spari, di botti…e Disney diceva a Giulietta di sparare; s’era sdraiato in terra facendosi scudo con un tavolino. Tutti intorno alla fine applaudirono, mentre questi quattro stuntman con capriole entusiasmanti giacquero stecchiti. Disney si alzò, baciò la mano a Giulietta, mi abbracciò e disse che aveva visto La strada più volte. Fece anche uno schizzettino, un disegnino di Giulietta Gelsomina, che sparì insieme ad altre cose in un furto che subimmo in una villetta di Fregene.
Poi continuando il giro in Disneyland, uno dei suoi collaboratori mi chiese se potevo prendere in considerazione l’idea di cambiare il finale de La strada, di renderlo meno drammatico. E perciò fui autorizzato a pensare che forse Disney lo riteneva un buon soggetto per un cartone animato. Ho visto Walt Disney solo quella volta lì.
Vincenzo Mollica:
E poi La strada in Italia [nel 1991] è diventato veramente un fumetto di Topolino, sceneggiato da Massimo Marconi e disegnato da Giorgio Cavazzano. Che impressione ti ha fatto?
Federico Fellini:
Un grande piacere. La strada sia a Giulietta che a me ha dato molte soddisfazioni, ma non avrei mai immaginato di avere una soddisfazione così totale; insomma: che i personaggi di Gelsomina, di Zampanò e il Matto, finissero ospiti nella gloriosa galleria degli immortali personaggi disneyani è qualcosa di più di un omaggio. Mi sembra che sia una cosa lusinghiera, prestigiosa quanto una laurea ad honorem. Voglio ringraziare gli amici della Walt Disney italiana e penso, per esempio, a un Topolino Mastroianni e a una Minnie Anita Ekberg in una Dolce Vita disneyana.
Vincenzo Mollica:
Quali sono stati gli eroi del fumetto che hai incontrato per la prima volta nella tua vita?
Federico Fellini:
Quelli del periodo glorioso degli Anni Trenta, cioè Happy Hooligan, che da noi si chiamava Fortunello, Jiggs e Maggie, cioè Arcibaldo e Petronilla, Felix the Cat, Bibì e Bibò… devo proprio dire che questi pupazzetti che arrivavano a noi attraverso il Corriere dei Piccoli erano i compagni più festosi, più fedeli e affidabili in quel periodo, che era diviso tra la scuola, l’opera Nazionale Balilla, le processioni, le marce: quell’atmosfera così tipica degli anni 30. E quindi quando papà il sabato arrivava con il Corriere dei Piccoli era veramente un momento di festa.
Vincenzo Mollica:
Tu hai anche detto che questi personaggi rappresentano la grande letteratura americana.
Federico Fellini:
Sì, sono stati questi i primi contatti con un paese straordinario, che si immaginava libero e felice, e allora, in quel periodo, era veramente il sogno, l’ideale; qualcosa poi che i film americani di quegli anni hanno confermato. Al di là della premilitare, della messa la domenica in chiesa, del ginnasio, di quel modo bizzarro, stravagante, impasticciato di apprendere qualcosa sulla vita, esisteva un paese che assomigliava di più alla nostra età, all’età dell’infanzia, della prima adolescenza; e questi personaggetti, il capitan Cocoricò, Mio Mao, ci parlavano proprio di questo straordinario paese, che era il paese della Fantasia, il paese dell’immaginazione sfrenata; quindi i fumetti sono tuttora un punto di riferimento verso un tipo di vita dove le cose si svolgono in maniera fantastica e fiabesca, ma forse molto più “reale” di qualunque altra visione.
Vincenzo Mollica:
Ma qual è il personaggio che in assoluto hai amato di più?
Federico Fellini:
Tra Braccio di Ferro, Arcibaldo, e Fortunello, sono proprio indeciso. Adesso mi sembra che, sì, forse sia Braccio di Ferro. Il personaggio di Segar, l’inventore di Popeye, e questi altri sono veramente forse i più grandi e mi sembra che siano non soltanto delle straordinarie invenzioni grafiche, ma anche, sul piano narrativo, sul piano del documento di una certa società americana, siano molto più attendibili e affidabili di tanta altra letteratura.
Vincenzo Mollica:
Secondo te, perché la cultura ha snobbato il fumetto per tanti anni?
Federico Fellini:
In generale, perché siamo ancora forse prigionieri di una certa obbligatoria “pensosità”: siamo dei retori, e pensiamo che tutto quello che è semplice, immediato, quello che mette di buonumore e che comunica ilarità debba essere guardato con sospetto.
Però sta andando avanti da parecchi anni una rivalutazione, merito di tanti intellettuali come Oreste Del Buono, Carlo Della Corte e Vincenzo Mollica… Mi sembra che ci sia una riscoperta più divertita e più autentica dei valori straordinari di questa Arte popolare che è il fumetto.
Vincenzo Mollica:
Si favoleggia che tu, nel tuo passato, hai sceneggiato anche Flash Gordon!
Federico Fellini:
Ma, sai… certe volte racconto delle cose, magari inventandole, e poi alla fine finisco per crederci.
Io ho passato un periodo da Nerbini, al tempo dell’Avventuroso. Il fascismo aveva di colpo interrotto l’importazione di queste tavole americane, e L’Avventuroso viveva, mi pare, su Flash Gordon, e su Phantom – l’Uomo Mascherato. Allora un bravissimo disegnatore, che si chiamava Giove Toppi, fu incaricato da Nerbini di continuare certe storie. Io ero arrivato a Firenze appena da un paio di mesi, e vivevo in questa affascinante stanzona piena di ricordi africani: c’erano scudi, fotografie di bellissime nere… Sì, io l’ho aiutato, così, a inventare quale poteva essere il possibile proseguimento di questi racconti, cercando di dedurlo dalle puntate precedenti.
Giove Toppi dalla mattina alla sera disegnava tenendo un passero, un passerino, dentro il palmo della mano, perché diceva che se lo lasciava piangeva disperato. In effetti appena lo metteva giù questo uccellino pigolava disperatamente, lui doveva riprenderlo e continuava a disegnare Rebo e Flash Gordon…
Vincenzo Mollica:
I Fumetti hanno influenzato il tuo cinema?
Federico Fellini:
Non solo hanno influenzato il mio cinema, ma credo che abbiano influenzato il Cinema in generale.
C’è stata una strettissima forma di simbiosi tra il primo cinema – i primi Chaplin, Buster Keaton, Max Linder – e i fumetti che la domenica riempivano venti pagine dei quotidiani americani. La macchina fissa, il piano cosiddetto americano che taglia i personaggi alla caviglia, quella linearità di paesaggi, quella pulizia e quel senso anche caricaturale che viene un po’ dai personaggi del circo equestre. Infatti i personaggetti di questi straordinari disegnatori, tipo Segar, Opper o McManus, sono proprio dei clown, dei simpaticissimi pagliacci.
Sì, andando avanti con i film ho cercato coscientemente, consapevolmente, di avvicinarmi sempre di più a quel tipo di immagine. Amarcord, per esempio, non può che essere un omaggio a quello stile, a quel tipo di figuratività, a quel modo di inquadrare i personaggi e i paesaggi. Andando avanti ho mosso sempre di meno la macchina; raramente nei miei film vedi dei carrelli, delle sventagliate di panoramica, soltanto le leggerissime sommate zoomate di avvicinamento, ma tengo quasi a mantenere l’inquadratura fissa, come era quella del Cinema ai suoi albori, e come era la scansione, la sequenza dei fumetti, del racconto a fumetti.
Vincenzo Mollica:
Secondo te ci sarà sempre questa possibilità di intreccio tra Cinema e Fumetto nel futuro? Ci saranno continui scambi tra queste due Arti?
Federico Fellini:
Ma: a me pare che siano proprio complementari. Io sono convinto che il Cinema nasce dal Fumetto. Insomma lo Storyboard che fanno soprattutto adesso, è praticamente già il film e anticipa quello che sarà, fotogramma per fotogramma. Quindi è proprio insita in sé questa simbiosi tra la sequenza cadenzata in quadretti e quella invece filmata cinematograficamente. Sono la stessa cosa.