I- Nel sud d’Italia i Santi non possono riposare né su allori né su aureole, e di continuo vengono messi in discussione dai devoti: un santo, soprattutto se defunto, deve fare il suo dovere: accogliere le suppliche, intervenire coi miracoli, sedare i tumulti, estinguere i morbi con le apparizioni, addolcire col reliquario la natura, debellare coi residui organici topi e cavallette, sbaragliare pirati e truppe nemiche assatanate di bottino – e tutto ciò coi busti, i ritratti, le Macchine, le statue a figura intera portate in processione.
Altrimenti il santo può essere degradato dal popolo indispettito, oppure deposto per incapacità, come in un putsch, come in un ammutinamento, da un altro santo pari grado apparso miracolosamente a risolvere le crisi.
In Sicilia, c’è più d’un episodio a confermarlo.
Riporta Sciascia, annotando testi del Pitrè: plebe e maggiorenti spazientiti, quando le pestilenze o altre calamità non vengono scongiurate, premono sui Santi e, “come in un caleidoscopio”, ne ottengono l’avvicendamento. Neppure l’antica protettrice di Palermo, santa Cristina, resisté all’urto, e venne soppiantata da santa Rosalia, l’unica che – apparendo in sogno a un’inferma, e dando disposizioni per il ritrovamento della propria salma – fu in grado di debellare una terribile epidemia che funestava la città.
Nel 1556, la lava dell’Etna, il Mongibello, «minaccia l’abitato di Linguaglossa. La tragedia incombe, è prossima, è momento di fughe, di saccheggi, di disperazione. Una vecchia storpia, constatato che a nulla valgono le sue e le preghiere dei villani al Santo patrono della comunità, si trascina in chiesa e implora la salvezza da un altro Santo, il defunto Egidio abate. E sant’Egidio le appare dicendo: “Alzati, getta via le grucce; eccoti il mio bastone, che andrai a piantare davanti alla lava che avanza […]; d’oggi in avanti io assumo la protezione di questo paese”».
La vecchia esegue l’ordine del nuovo Patrono, la lava si arresta, il paese è indenne. E tale pare sia rimasto, a detta del Pitrè, almeno per tre secoli e mezzo – e forse, aggiungo, fino ai nostri giorni, nonostante la continua minaccia esercitata dalla prossimità del vulcano.
II- Anche certi cristiani del Nuovo Mondo, “gli Indiani Chamulas, che vivono in Messico, nello stato del Chiapas, puniscono i Santi che non hanno risposto alle loro Preghiere. Ricoprono le statue con un sacco e le sbattono al muro“.
Si bastonavano i Santi – o i Santini – anche per colpa d’Amori non corrisposti.
Due stregonesse sottoposte a processo a Piacenza, Claudia Colla – innamorata del duca di Parma – e sua madre Elena, confessarono, che “con mazze, onde si battono le tenebre nella settimana santa, picchiavano immagini sante finché piangessero, per far ritornare il Duca”.
III- I Santi venivano ritenuti responsabili dei disastri naturali: non tanto per averli causati direttamente, quanto per non averli evitati nonostante le preghiere dei fedeli.
A Palermo, mentre imperversava la siccità (lo riferisce Frazer), «scaricarono san Giuseppe in un giardino perché vedesse da sé lo stato delle cose, e giurarono di lasciarlo lì al sole finché non venisse la pioggia. Altri santi furono voltati con la faccia contro il muro come dei bambini cattivi. Altri, spogliati dei loro bei paramenti, furono esiliati lontano dalle loro parrocchie, minacciati, e immersi negli abbeveratoi dei cavalli […]. A Licata, il santo patrono sant’Angelo si trovò anche peggio, perché fu lasciato assolutamente senza vestiti, ingiuriato, messo in catene e lo si minacciò d’affogarlo o d’impiccarlo. “O la pioggia o la corda!”, gridava il popolo irato».
IV- Allo stesso modo, le precipitazioni piovose – troppe o troppo poche – inguaiavano anche gli Dèi dei Cinesi. In effetti, tra i Santi e i capricciosi Déi dei politeisti talvolta la differenza appare minima.
“I Cinesi”, ci avverte ancora Frazer, “quando manca la pioggia, fabbricano un gran dragone di carta o di legno per rappresentare il dio della pioggia e lo portano in processione; ma se ciò non basta a causar la pioggia il finto dragone vien maledetto e fatto a pezzi. Altre volte minacciano e battono il dio, se non vuole dare la pioggia; talvolta lo espellono pubblicamente dall’ordine delle divinità, mentre, se viene l’invocata pioggia, il dio viene promosso a un ordine superiore, con un decreto imperiale”.
“Nell’aprile del 1888 i mandarini di Canton pregarono il dio Lung-wong d’arrestare l’incessante rovescio della pioggia, e quando esso si mostrò sordo alle loro preghiere lo misero in gattabuia per cinque giorni. Si ottenne cosí l’effetto piú salutare; la pioggia cessó e il dio fu rimesso in libertá. Alcuni anni prima, in tempo di siccitá, la stessa divinitá era stata incatenata ed esposta per vari giorni al sole, nel cortile del suo stesso tempio perché potesse sentire a sue spese come era urgente il bisogno di pioggia”.
Facilmente, in Cina, si trascinavano gli Dèi davanti ai giudici, per rispondere dei loro misfatti.
Un cinese di Nanchino aveva un’unica figlia, che cadde gravemente ammalata. Il padre affettuoso ogni giorno si recava al Tempio per sacrificare e per pregare l’Idolo di un Dio, che gli facesse la grazia di guarirla. I sacerdoti lo spingevano a fare offerte sempre più munifiche, e gli garantirono che quel miracolo sarebbe avvenuto. Abbellito l’Idolo, arricchito il santuario, foraggiati i monaci, tutto risultò inutile, perché la figlia del cinese morì. Allora, secondo Encyclopédiana, “il padre, costernato, intentò un processo contro l’Idolo. L’affare fu dibattuto di fronte a parecchi Tribunali; alla fine, dopo un numero considerevole di discussioni, il padre ottenne un verdetto favorevole, e l’Idolo fu bandito in perpetuo dal Regno, in quanto inutile, e impotente. Il suo Tempio fu demolito, e ai bonzi fu comminata una punizione severa”.
“Nell’aprile del 1888”, racconta Frazer, “i mandarini di Canton pregarono il dio Lung-wong d’arrestare l’incessante rovescio della pioggia, e quando esso si mostrò sordo alle loro preghiere lo misero in gattabuia per cinque giorni. Si ottenne così l’effetto più salutare; la pioggia cessò e il dio fu rimesso in libertà. Alcuni anni prima, in tempo di siccità, la stessa divinità era stata incatenata ed esposta per vari giorni al sole, nel cortile del suo stesso tempio perché potesse sentire a sue spese come era urgente il bisogno di pioggia”.
Bisogna notare che queste pratiche di ritorsione hanno avuto, anche tra i pagani romani, i più illustri ascendenti: Hume, e Gibbon, ricordano, che “il prudente Augusto, dopo che la sua flotta ebbe fatto due volte naufragio, escluse Nettuno dagli onori delle pubbliche feste”.