I- Insegnano i Rabbini, nella loro insuperabile saggezza: “un sol uomo vale quanto tutta la creazione”.
Sentenzia – di conseguenza – il quarto capitolo del Sanhedrin, che, “per la Giustizia di Dio, colui che uccide un solo uomo, distrugge il mondo”.
Almeno una volta, questa asserzione – sentimentale e poetica, più che statistica –, non fu lontana ad avverarsi. Caino ci andò vicino.
Dal punto di vista numerico, in effetti, in tutta la storia del mondo non ci fu mai assassino più efferato di Caino. Distrusse un quarto dell’Umanità a lui contemporanea, e sicuramente un terzo, se non addirittura la metà, dell’Umanità futura. Noi, certamente, non discendiamo da Abele, che secondo i rabbini morì vergine.
Tuttavia, l’intera progenie dell’innocente figlio di Adamo ed Eva era pronta a nascere e a moltiplicarsi, e quel delitto sconvolse i disegni segreti del Destino.
Infatti in Genesi (4, 10) Iddio si rivolge a Caino, inquisendolo, in questo modo: “La voce dei sangui di tuo fratello [Abele] che gridano a me…”. In ogni altra lingua, questo strano plurale verrebbe considerato un refuso. Ma non esistono refusi nella Legge degli Ebrei. Di conseguenza, secondo i Detti di Rabbini, il passo biblico “insegna che il sangue dei suoi figli, quello dei suoi nipoti e dei suoi discendenti, fino al termine di tutte le generazioni che sarebbero dovute uscire da lui, tutti insieme si levarono e gridarono davanti al Santo – sia benedetto”.
Certo, stupisce, che su quattro abitanti della terra, i soli esseri umani in tutto l’Universo, una, Eva, fosse ladra e spergiura, un altro ancora, Adamo, fosse un ingrato e uno spergiuro (e insieme abbiano dilapidato per questo il Genere Umano), un terzo, Caino, fosse un invidioso, un tagliagole e un bugiardo, e l’ultimo, Abele, fosse un fesso.
Questo, almeno, si evince leggendo le Scritture.
Il Primo Omicidio fu particolarmente atroce e complicato: non c’era esperienza di delitti, nel mondo, ma, in Caino, vigeva solo una precisa volontà sterminatrice. Probabilmente il primo stragista della storia aveva ascoltato i genitori lamentarsi del Peccato Originale, e della susseguente condanna a morte di tutto il genere umano, ma aveva di questa tragedia una cognizione superficiale, per sentito dire. Nessuno era ancora morto, sulla terra. Quindi, andò per tentativi.
Così – dice la Tradizione –, Caino “prese una pietra”, per colpire Abele, “e gli fece delle ferite e delle contusioni alle mani e ai piedi, perché non sapeva da dove l’anima sarebbe uscita; finalmente lo colpì al collo e morì”; ma un altro verbale del medesimo delitto, fonte ugualmente rabbinica, riferisce invece che per uccidere il fratello, “Caino s’era servito dei denti” – lo afferma Bayle.
Ora, se il crimine fosse stato commesso a parti invertite, probabilmente sarebbe risultato meno rozzo e faticoso. Abele era abituato a sopprimere le bestie in modo rituale. Egli sacrificava le più grasse del gregge al Signore, che gradiva le sue offerte carnivore e disdegnava quelle vegetariane del fratello. Per analogia, Abele avrebbe saputo come scannare l’ingenuo, dilettante, Caino senza troppi schiamazzi.
Secondo il Libro del Genesi (4, 2-8), l’Invidia, sarebbe – in ordine di tempo – il primo e vero Peccato Originale introdotto dalla malvagità degli Uomini nel mondo. La grande Disubbidienza in Eden ne fu l’effetto, non la causa.
Adamo ed Eva invidiarono il Signore, e desiderarono diventare come lui. Per questo assaggiarono il pomo proibito. Il figlio primogenito dei nostri Capostipiti – Caino – ereditò evidentemente le loro peggiori debolezze e inclinazioni, oltre a tutti gli altri difetti dovuti alla Caduta. Il Terzo Uomo sulla Terra era anche lui un livoroso, e ammazzò Abele, non per rubargli i beni, né per sete di vendetta, né per follia, né per volontà di dominio: Caino soffriva perché Abele era il preferito del Padreterno e voleva soppiantarlo.
Va quindi rimarcato che, analizzando bene il Genesi, Caino uccise il fratello, soprattutto, perché voleva dimostrarsi più servo di lui nei confronti del Signore. Insomma, per un impulso di cortigiana piaggeria. Movente assai difficile da identificare per qualsiasi detective.
Per fortuna un congetturale investigatore – quale fu Dio stesso, nell’occasione – sarebbe stato aiutato nelle sue indagini dal fatto che c’erano solo tre potenziali assassini su tutta la terra.
E Adamo ed Eva – benché pregiudicati –, quel giorno dovevano avere un alibi di ferro.
II- Esaù, nome che significa il “peloso”, era figlio di Isacco e di Rebecca e gemello di Giacobbe. Tornato stanco e affamato dalla caccia, cedé al fratello la propria primogenitura per un piatto di lenticchie.
Benché Genesi ammetta – tra le righe – che gli era stato giocato un brutto tiro, nessun commentatore delle Scritture ha mai simpatizzato per lui. Era un violento, e ottenne dai Rabbini lo stesso trattamento riservato a tutti gli altri grandi malvagi riprovati dalla Bibbia. I Midrashim spiegano così questo passo di Genesi, 25, 22, che si riferisce a Rebecca, incinta di lui e del suo gemello: “E si agitavano i figli nel suo seno”: “Quando passava davanti ai templi e alle scuole, Giacobbe si muoveva per uscire” dal ventre della madre; invece, “quando passava dinanzi ai luoghi destinati all’idolatria, era Esaù che si alzava per uscire”.
Dopo avergli rapinato la primogenitura, Giacobbe fu costretto a fuggire, temendo l’ira del fratello. In seguito, i due si riconciliarono. Però, secondo le leggende ebraiche raccolte dal mitografo Robert Graves, esistono due versioni diametralmente opposte del loro primo incontro: alcune tradizioni sostengono che “si sentirono presi da mutuo affetto, che Esaù perdonò Giacobbe, e si abbracciarono e baciarono”; “altri invece affermano che Esaù si precipitò al collo di Giacobbe tentando di mordergli la vena giugulare”, ma che il collo del gemello divenne per miracolo “duro come avorio e ruppe i denti di Esaù, che quindi li digrignò con ira impotente”.
Isacco era cieco e nulla sapeva degli armeggi messi in atto da Giacobbe per rimpiazzare il fratello nelle gerarchie della discendenza e nella guida delle tribù. Quando, morendo, il patriarca volle impartire, come imponeva la consuetudine, la sua benedizione al figlio primogenito, davanti a lui si presentò Giacobbe, travestito, al posto di Esaù. Isacco lo annusò per riconoscerlo, ma l’impostore aveva intriso il suo abito di odori d’arrosto e selvaggina, e profumava esattamente come l’irsuto gemello, campione nell’arte della caccia.
Isacco lo benedisse, ignaro, e scontò così gli effetti della propria cecità, indotta, secondo certi rabbini, proprio dal comportamento del suo vero primogenito.
Infatti, racconta ancora Graves, prima che compisse vent’anni, Esaù era già stato “incolpato di omicidio, stupro, furto e sodomia. Dio quindi accecò Isacco, il che lo preservò dallo scorgere l’espressione di biasimo dei vicini“.
Fu un atto di grande pietà, che però si presta a essere equivocato: non è del tutto chiaro come mai, pur essendo in Suo potere, l’Onnipotente non redima Esaù, non raddolcisca il cuore dei vicini, ma privi invece Isacco della vista.
Però bisogna ricordare che Isacco è lo stesso innocente che doveva essere scannato da suo padre Abramo su un altare, per ordine di Dio.
Un “sacrificio” a dir poco misterioso, che commenteremo non oggi, giorno in cui si festeggiano i fratelli, ma il 19 marzo, per la Festa del Papà.