I- “Sembra che il prepotente uccelletto – meglio conosciuto come “Dio” – abbia soffiato sul fianco del primo uomo per animarlo e infondergli lo spirito. Se al posto di quel “pajarito” ci fosse stato Louis Armstrong a soffiare, l’uomo sarebbe venuto molto meglio”.
Parole di un intenditore, di Jazz, come di “Altre Dimensioni”: Julio Cortázar.
Il 9 dicembre 1952 questo genio argentino del Fantastico assisté a Parigi, al Teatro degli Champs Elysées, a un fantastico concerto di Louis “Satchmo” Armstrong da New Orleans, icona di un intero genere musicale. Il resoconto che ce ne fornisce lo scrittore è indimenticabile:
“…Louis improvvisamente appare da una porta laterale. E la prima cosa che si vede di lui è il suo grande fazzoletto bianco, un fazzoletto che fluttua nell’aria; e dietro, uno spruzzo di luce do rata che fluttua anch’esso nell’aria ed è la tromba di Louis; e dietro, uscendo dall’oscurità della porta, l’altra oscurità piena di luce di Louis che avanzava sul palco; e il mondo è finito,e quello che viene ora totalmente e definitivamente è il crollo di ogni immobilità e la fine di ogni tristezza. Dietro a Louis arrivano i ragazzi dell’orchestra, e c’è Trummy Young che suona il trombone come se tenesse fra le braccia una donna nuda e di miele, Arvel Shaw, che suona il contrabbasso come se tenesse fra le braccia una donna nuda e d’ambra, e Cozy Cole che si libra sulla batteria come il marchese de Sade sui sederi fustigati di otto donne nude, e ancora altri due musicisti: uno di loro si chiama Napoleon e questo è un argomento irresistibile per un “cronopio” così enormissimo come Louis.
Intanto l’apocalisse è già stata scatenata, perché Louis non fa altro che alzare la sua spada d’oro, e la prima frase di When it’s Sleepy Time Down South cala sul pubblico come una carezza di leopardo…”
“Dalla tromba di Louis la musica scorre come le stringhe profetiche dalle bocche iconiche dei primi santi, la sua calda scrittura gialla si disegna nell’aria, e dopo questo primo segnale si scatena Muskat Ramble” e noi in platea ci aggrappiamo a tutto ciò che abbiamo intorno e che hanno intorno i nostri vicini, e così la sala sembra una vasta società di polpi impazziti e in mezzo c’è Louis con gli occhi lampeggianti bianco dietro la sua tromba, con il fazzoletto che fluttua in un continuo addio a qualcosa che non sai cosa sia, come se Louis avesse bisogno di dire addio tutto il tempo a quella musica che crea e che si dissolve all’istante, come se conoscesse il terribile prezzo di quella meravigliosa libertà che è la sua”…
«Perduto nell’immensa volta del suo canto, chiudo gli occhi e con la voce di questo Louis di oggi ritornano dal tempo tutte le sue altre voci, la sua voce dei vecchi dischi perduti per sempre, la sua voce che canta When Your Love Has Gone, che canta Confession, che canta Thankfull, che canta Dusky Stevedore. E anche se non sono altro che un movimento confuso nel pandemonio perfettissimo della sala appesa come una sfera di cristallo alla voce di Louis, torno a me stesso per un secondo e penso al 1930, quando ho conosciuto Louis in un primo disco, al 1935, quando ho comprato il mio primo Louis, il Mahogany Hall Stomp, e apro gli occhi e lui è lì su un palcoscenico di Parigi, e apro gli occhi e lui è lì, dopo 22 anni di amore sudamericano lui è lì, dopo 22 anni è lì a cantare, a ridere con tutta la sua faccia da bambino irriformabile. Louis “cronopio”, Louis enormissimo “cronopio”, Louis allegria degli uomini che ti meritano».
In quello stesso teatro degli Champs Elysées , appena qualche mese prima, Julio aveva appreso l’esistenza, la compresenza stessa in questo nostro mondo, dei Cronopi. E subito Satchmo gli appare come il più grande, “l’enormissimo” tra tutti i Cronopi. Più grande del grande Cronopio Nijinsky che un tempo calcò le stesse tavole di palcoscenico, e qui “scoprì che nell’aria ci sono altalene segrete e scale che portano alla gioia. Certo, Louis non ha la minima idea che una volta le scarpette di Nijinsky siano finite nel punto in cui ha piantato le sue scarpe gialle, ma la cosa buona dei Cronopios è che non si preoccupano mai di quello che è successo o se quel Lord nel palco è il Principe del Galles. Anche a Nijinsky non sarebbe dispiaciuto sapere che Louis avrebbe suonato la tromba nel suo teatro”.
Ma Cronopi non sono solo i geni d’arte: il pubblico impazzito che rumoreggia nella sala, arraffandosi, abbrancandosi l’un l’altro, è formato, per la maggior parte, da Cronopi anch’esso: “Naturalmente a ogni passaggio, quando Louis avvita il vortice della sua ultima frase musicale e la stringa dorata si spezza con una folgorante sforbiciata, i “cronopi” del palcoscenico fanno salti di diversi metri in tutte le direzioni, mentre i “cronopi” della sala si agitano entusiasti nelle poltrone”.
È vero, non manca neppure mischiato tra la folla un certo numero di Famas, i benpensanti, che sono l’esatto contrario, per carattere e successo mondano, dei Cronopi; Famas che, “arrivati al concerto per sbaglio o perché dovevano andarci per forza o perché costava caro, adesso si guardano con aria studiatamente amichevole: ma naturalmente non hanno capito niente di niente, hanno un mal di testa terribile, e in generale vorrebbero essere a casa ad ascoltare la buona musica consigliata e spiegata da bravi presentatori”. Mentre i Cronopi solo Armstrong, solo jazz puro, volevano vedere e sentire, senza intrusioni, senza allocuzioni.
II- Chi sono, da dove vengono i Cronopi? Quando sono, per dir così, “apparsi al mondo”, benché esistano da sempre?
“È stato poco dopo il mio arrivo in Francia (1951)” – spiega il grande narratore argentino, descrivendo il suo primo incontro con queste Entità. “Mi trovavo una sera al Théâtre des Champs-Elysées, si teneva un concerto che mi interessava molto, ero solo, in cima alla piccionaia perché era il posto meno caro. Nell’intervallo, tutti sono usciti per fumare, ecc. Non ho avuto voglia di alzarmi e sono rimasto seduto al mio posto e all’improvviso mi sono ritrovato in un teatro vuoto, ben poca gente era rimasta nella sala, tutti erano usciti. Stavo dunque seduto e all’improvviso ho visto (ma mi domando se bisogna prendere il verbo vedere nel suo significato direttamente sensoriale o se si è trattato di una visione d’altro ordine, come la visione che tu puoi avere quando chiudi gli occhi o quando evochi qualche cosa che vedi nel ricordo, ho visto dunque fluttuare nella sala degli oggetti di colore verde, sorta di piccole palle verdi che facevano evoluzioni intorno a me. Ma, insisto, non si trattava di niente di tangibile, non li vedevo veramente, pur vedendoli, in un certo senso. E insieme all’apparizione di quegli oggetti verdi, che sembravano gonfiati come piccoli palloni, o come dei rospi, o animali del genere, m’è venuta l’idea che quelli erano Cronopios. La parola e la visione mi sono arrivate simultaneamente”.
Fluidi e beatificanti effetti “visivi” sprigionati dalla Musica, i Cronopi, monocromatici, paiono prender contorni precisi, mentre si muovono volando quasi strappi, o in semicerchio. Sono “essenze” dunque, e, perché no?, spiriti espressioni emanazioni d’uomini e donne “veri”.
Un neurologo ferrato in oculistica obietterebbe, forse, che queste figure aeree sono frutti d’emicranie, oppure illusioni ottiche, ma nessuna spiegazione materialistica potrebbe convincerci del tutto che i Cronopi non esistono. Soprattutto perché, dice Cortázar, Cronopi siamo anche noi.
“Cronopia”, per il Maestro argentino, è la disposizione genetica, umana, al Fantastico. Cronopi si nasce. Il Cronopio (ossia l’Uomo o la Donna Cronopia), si distacca dagli altri, non per elezione, né per vocazione, né per magistero, ma semplicemente per indole, e comincia a vedere cose che non ci sono – oppure, detto meglio, cose che ci sono ma gli altri non vedono. Mette in relazione avvenimenti altrimenti scollegati, e dà un diverso significato ai gesti più abitudinari e rituali.
“I Cronopi, fin da piccini, hanno una nozione sommamente costruttiva dell’Assurdo” – testimonia Cortázar. Essi ritengono che sull’Assurdo si possano costruire mondi, mondi paralleli. Anzi che l’Assurdo già per suo conto contamini abbondantemente il Reale, abitandone le pieghe e “complicandolo” con infinite Combinazioni.
Dice ancora Cortazár, parlando dei Cronopi – cioè di se stesso –, che il Cronopio “vive para esperar lo inesperado”: vive per aspettare l’inaspettato o attendere l’Inatteso – e il castigliano come l’italiano permette di cogliere appieno la valenza utopica della definizione: “Sperare, l’Insperato”.
È, questo, il segreto più segreto del Fantastico.