I- Consiglio vivamente la lettura di Psicologia e patologia dei fenomeni occulti, di Carl Gustav Jung, a chiunque voglia analizzare, tappa dopo tappa, la carriera d’un Medium.
Ascesa, successo, declino, caduta. Delirio, fallimento, smascheramento.
Jung, in questo studio del 1902, gioca in casa, e ne rende protagonista una parente, che ha spesso occasione di visitare. Come congiunto, non come medico.
Si tratta di sua cugina, Hélène Preiswerk detta Helly, che nel saggio viene chiamata: S.W.
Anche la scelta di certe cifrature, credo, andrebbe psicanalizzata: come si arriva, per nascondere un nome, da H.P. a S.W.?
Helly ha quindici anni e mezzo, è nipote d’un ecclesiastico protestante. Tutti o quasi, nella sua famiglia, hanno accusato disturbi mentali, più o meno gravi. Il nonno ha sofferto (o goduto) fino alla morte d’allucinazioni potenti; anche il prozio, “imbecille, eccentrico”, era colto da visioni insensate. La nonna spesso sveniva, e ai mancamenti immancabilmente faceva seguire uno stato sonnambolico durante il quale azzardava profezie.
In questo quadro famigliare, le “stranezze” di Helly non svettano particolarmente, almeno fino alla pubertà.
Nel 1899, la ragazzina esprime il desiderio di partecipare a una seduta spiritica. Così, per divertimento, assieme a amiche coetanee e a fratelli e sorelle. La seduta si trasforma da scherzo in serio deliquio e Helly, tra lo stupore generale, cade in autentica trance. La medium ha un inatteso battesimo del fuoco, sul campo: e dà voce al defunto nonno paterno.
Datano da allora, avverte Jung, le sue crisi e le strane apatie o “assenze”, che quasi sempre si manifestavano con una vistosa caduta d’attenzione.
Riportata alla realtà, rivelava: “erano di nuovo qui”.
Helly infatti viveva circondata da Spiriti invisibili a ogni altra creatura che non fosse lei stessa. Spiriti prepotenti, petulanti, irritanti.
Lei accoglieva queste visite controvoglia. “Credono ch’io sia qui solo per loro”, si lamenta. “Eppure ho detto agli Spiriti che non volevo, non poteva essere, mi affaticava troppo […]. Mio Dio, non mi si risparmierà nulla?”.
Non trascurerei questo sfogo della sensitiva: chi difende i medium usa spesso come argomento retorico le “sofferenze” che gli Spiriti infliggono a chi ha ricevuto in dono il privilegio di mettere in comunicazione il mondo dei vivi con quello dei morti. Questi patimenti implicherebbero la prova che il medium non ha nulla da guadagnare da uno stato che subisce e non incoraggia. Certo – si dice – non è mestiere che si fa per accaparrarsi un obolo (che comunque, in molti casi, viene cortesemente preteso).
Jung presenziò personalmente a numerose sedute spiritiche condotte dalla cugina, e ne tenne un prezioso resoconto, che poi divenne la sua tesi di dottorato: Psicologia e patologia dei fenomeni occulti. Provo a riassumerlo.
Durante la terza delle sessioni, tenute sempre tra parenti, comparve, nel senso che si fece “sentire”, uno dei principali Spiriti-guida di Helly: Ulrich von Gerbenstein, affettato, dandy e pettegolo.
Quando era sveglia, la fanciulla dimostrava di disprezzare alquanto questo suo querulo sherpa ultramondano. Invece, da sonnambula, riscuoteva grande successo, proprio dando voce a Ulrich, che faceva spesso ridere tutti i famigliari.
È il consenso, che dona energia alla Medium. Altrimenti, come tutte le colleghe, s’affloscerà in depressione. E le menzogne della depressione hanno le gambe più corte.
II- Presto, anzi fin dal principio, Helly si rese conto che faceva parte d’una Corporazione, con le sue regole, i suoi doveri, i suoi diritti, i suoi apprendistati, i suoi riconoscimenti ufficiali: quella dei Medium.
Ella era felice d’essere entrata dalla porta principale in questo nuovo, grande Clan. Chiamava Swedenborg e la famosa Florence Cook “fratello” e “sorella”. Né si sentiva precluse le imprese che avevano dato lustro, in passato, ai più valenti spiritisti. Mentalmente viaggiò, tra l’altro, fino a Marte, altro luogo privilegiato e visitatissimo dai suoi colleghi in trance.
Helly fu paragonata dai suoi ammiratori a un altra eccellente sensitiva, la Veggente di Prevorst signora Hauffe, e – ammette Jung –, la suggestione ebbe effetti travolgenti.
La fanciulla, che non si era mai occupata fino allora della Reincarnazione, ne sciorinò subito un complicato sistema. Secondo l’ordito che ne scaturì, la Hauffe era l’incarnazione di un “essere spirituale”, di nome Ivenes, condannato oppure graziato a tornare sulla terra “almeno una volta ogni duecento anni”. Questa entità, adesso, era diventata il “doppio spirituale” di Helly, o, come dice Jung, il nome del suo “io sonnambolico”.
Ivenes, potentissima medium in ogni sua precedente esistenza, era, all’origine, un’ebrea, vissuta ai tempi di Davide. Fu martirizzata nelle persecuzioni di Nerone. Nel tredicesimo secolo, fu una nobile francese, “arsa sul rogo come strega”. Alla fine del diciottesimo secolo, Ivenes conduceva una vita più modesta e ritirata, nella Germania centrale. Era moglie d’un parroco. Goethe la conobbe e la sedusse, e Ivenes ebbe un figlio bastardo. (Helly pudicamente non lo dice, ma è evidente che lei in questa forma reincarnata fece da modello alla povera Margherita del Faust). Ogni Ivenes in terra ebbe dei figli, e gli alberi genealogici dell’una si aggrovigliavano spesso con quelli di un’altra. “Per esempio nell’ottavo secolo essa fu la madre di suo padre”. L’imbroglio parentale quindi nasconde – senza che Jung se ne avveda – almeno l’intrigo di un incesto, proprio come nel romanzo fantastico di Hoffmann, Gli Elisir del Diavolo.
Certo così sua cugina sconcertava l’uditorio. Ma la giovane medium arditamente domava l’incredulità, deviandola. I dubbiosi venivano lusingati con una parabolica attenzione ai loro fatti personali, alla loro araldica. La gilda dei Reincarnati comprendeva infatti anche i più abituali frequentatori delle sue sedute, alcuni dei quali, benché estranei, si rivelavano in realtà blasonati congiunti: “uno era un suo cugino del quindicesimo secolo”, – scoprì la medium – “un altro del diciottesimo, e così via”.
Lo Spiritismo, fin dall’epoca del suo massimo fulgore, sembra nutrirsi di letteratura scadente, sfogliata su riviste di quart’ordine.
Le “guide” dei medium nordamericani – uomini e donne – sono spesso “pellerossa”: misteriosi ed esotici protagonisti dell’epopea western, ai quali si perdona facilmente l’uso d’un linguaggio approssimativo e sgrammaticato. Eusapia Palladino, non immemore dell’iconologia salgariana, aveva come spirito guida “un corsaro”.
La cultura degli spiritisti rimane quella della rivista popolare, del romanzetto a puntate con l’illustrazione enfatica in copertina, alla ricerca a tutti i costi dello Stupefacente, non importa quanto grossolano. Ci deve essere un rapporto preciso tra questo tipo di immaginazioni e le fantasticherie infantili, che tornano alla luce, involontariamente, anche durante le sedute medianiche più emozionanti e paurose.
Le Guide che emergono dall’Altro Mondo (come ad esempio gli Spiriti Istruttori di Yeats e di sua moglie), dettano sempre mappe meticolose, dettagliate fino all’eccesso, dei “luoghi” dove si trovano, o addirittura dell’intero Universo.
Che altro sono queste avventurose geografie, se non “mappe del tesoro” –, retaggio infantile di chi cade in trance?
Forse gli “spiriti” che comunicano con i Medium sono loro stessi, sono cioè gli spiriti dei Medium stessi, tornati bambini, che riappaiono o parlano o scorrazzano con le maschere e i costumi (da indiano, da pirata, da notte di Halloween) che hanno indossato nelle scorribande del passato – o che qualche genitore ha impedito loro di mettere, quando erano piccoli, perché sconveniente per il loro sesso o la loro età.
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