Prima di Dupin, Holmes e Maigret, ci furono, nella Storia, non nella fantasia, altri detective che la voce popolare giudicava infallibili.
Uno di questi si chiamava Jacques Aymar, e alla fine del Seicento offriva i suoi servigi ai gendarmi francesi. Come segugio poliziesco, era tra i più ammirati e ricercati.
I- Il 5 luglio 1692, a Lione, avvenne un efferato delitto. Un mercante di vino e sua moglie furono barbaramente assassinati. Le indagini “normali” non approdarono a nulla. Gli inquirenti allora si rivolsero a Aymar. I suoi metodi erano peculiari, ma efficaci.
La logica del Dupin di Edgar Allan Poe, che fonda la moderna criminologia, si basa sulla fede scientifica, che ogni assassino, anche il più astuto, lascia sempre una o più “tracce” o “impronte” del suo delitto, che prima o poi lo inchioderanno come “prove”.
In un certo senso Aymar precorre questa scuola. Solo che lui vede “impronte” dove non ci sono e dove nessuna indagine scientifica può rilevarle. Queste “tracce” invisibili per ogni altro lo conducono direttamente alla fonte del delitto, senza che lui si preoccupi delle sue cause, delle circostanze, dei dettagli.
Aymar era un “rabdomante”. Per la precisione, un Rabdomante del Sangue.
Per rintracciare i colpevoli, si serviva d’una bacchetta, come cercasse l’acqua. Dicono che captasse un’invisibile “scia di sangue”. C’è, spiegavano gli scienziati suoi ammiratori, un fluido, o meglio l’emanazione di una “matière meurtrière”, che lega sempre la vittima d’un omicidio ai suoi assassini. Aymar puntava la bacchetta sui morti, e quella cominciava a vibrare nelle sue mani. Da allora, gli bastava seguire le indicazioni del legnetto che, quasi fosse una bussola, indicava la via presa dai criminali in fuga. Le oscillazioni terminavano solo quando la “baguette” giungeva in prossimità dei ricercati.
Un medico di Lione, Pierre Garnier, in una Dissertation physique sulla Baguette pubblicata nel 1692 (lo stesso anno in cui avvenne il crimine), diede una completa descrizione di come il Rabdomante assicurò alla giustizia i massacratori del vinattiere e di sua moglie.
Aymar, trovò subito la pista giusta. Dal luogo del delitto, accompagnato dai poliziotti, si mosse con sicurezza lungo strade, cortili, ponti, fino a una costruzione “dove indicò una tavola e tre bottiglie che erano state toccate dagli assassini; il fatto – dice Garnier – fu confermato da due bambini che li avevano visti intrufolarsi in quella casa”. L’invisibile scia lasciata dai criminali condusse poi Aymar lungo il Rodano, fino a a Beaucaire. «Quivi la sua bacchetta si volse verso la prigione, dove venne trovato un gobbo che, interrogato, confessò di aver partecipato al delitto con due complici che erano riusciti a fuggire e a passare la frontiera».
Il detective cercò di raggiungere gli altri due, li inseguì, invano, con il famelico legno, fino al confine. L’unico che era stato preso, morì sulla ruota, suppliziato, il 30 agosto 1692.
I prodigi compiuti da Aymar ebbero una immediata rinomanza. Il signor de Vagny, procuratore del re a Grenoble, ne diede, anche lui, un subitaneo resoconto, in un libro dal titolo controproducente per qualsiasi editore, perché riassunse esattamente in tre righe l’intero suo contenuto: Histoire merveilleuse d’un maçon qui, conduit par la baguette divinatoire, a suivi un meurtrier pendant 45 heures sur la terre et plus de 30 heures sur l’eau.
Nel 1694 uscì, a Lione, un Traité en forme de lettre contre la nouvelle rhabdomancie, nel quale l’anonimo autore si scagliava contro i possessori di bacchette forcute, accusandoli d’essere inviati del Diavolo. Accusa che, ancora a Lione, e sempre nel 1694, fu ribadita dal padre Mènestrier nella Philosophie des Images énigmatiques. Il Rituale di Belley scomunicò i divinatori che l’usavano.
Pierre Le Lorrain de Vallemont, scienziato razionalista, optava invece (come il già citato Pierre Garnier) per una spiegazione “fisica” e non “diabolica” delle portentose proprietà della baguette. Secondo questa teoria l’assassino non agisce mai a sangue freddo, ma al contrario da quando ha ucciso è una creatura a sangue “caldo”, caldissimo, praticamente in ebollizione permanente. Dai pori dell’omicida schizzano via, per traspirazione, certi corpuscoli (potremmo chiamarli “corpuscoli del Delitto”) che Aymar capta con la sua bacchetta da Divinatore.
Tuttavia, dicono le cronache, quando fu invitato a Parigi da Enrico di Borbone, Principe della Casa Reale, per incantare la buona società con le meraviglie della sua bacchetta, Aymar diede una pessima prova della sua destrezza. Condotto sui luoghi di due delitti diversi, la sua baguette restò paralizzata. Il detective accampò alcune scuse miserabili per giustificare i suoi fallimenti.
Cominciò allora a serpeggiare tra i suoi contemporanei più di un sospetto sulle sue capacità investigative.
Ci fu anche chi affermò che nelle occasioni in cui aveva avuto successo, il rabdomante in realtà aveva pagato delle spie perché, in cambio di una bevuta o di una lauta somma di denaro, gli spifferassero dove trovare gli assassini.
Un altro procuratore del re, sia pure senza perseguirlo, bollò pubblicamente Aymar come canaglia ed impostore. E che fosse tale era il parere, ancora più di un secolo dopo le sue gesta, dell’emerito Collin de Plancy, autore di un fondamentale Dictionnaire Infernal.
Ma il caso Aymar non è chiuso. E non lo sarà finché la scienza moderna non dimostrerà definitivamente che i Morti, i Delitti, o i Criminali, non lasciano mai nessuna “scia”.
Però è probabile che nei nostri secoli, talmente “illuminati” che li si può definire “abbacinati”, le Accademie non affronteranno mai argomenti come questi.
Ne risentirà purtroppo esizialmente un’intera categoria: quella dei Detective dell’Occulto.
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