Confidò Pascal nei suoi disordinati appunti: “Credo solo le storie i cui testimoni si farebbero sgozzare”; ma una “Prova Giugulare” di tal fatta denota in genere un certo fanatismo, più che amore per la Verità. E infatti Voltaire (nelle Lettere Filosofiche) ebbe buon gioco a rinfacciarglielo.
Comunque, così la pensa anche l’opinione pubblica: che ricevere o – ove occorra – darsi la morte sia la prova più persuasiva della Verità, dell’Innocenza. La migliore Prova Retorica.
Stendhal, nella Storia della Pittura in Italia, riferisce un crimine così atroce e articolato, da infrangere qualsiasi certezza in questo campo: l’avvelenamento plurimo che sterminò il 19 ottobre 1587 la Signoria toscana.
Bianca Capello, moglie del Granduca Francesco, per vendetta, voleva uccidere il fratello del marito, il Cardinale de’ Medici. Il porporato l’aveva infatti svergognata quand’ella aveva finto una maternità, per contentare l’orgoglio del marito, che pretendeva da lei un erede. Bianca era d’accordo col confessore: disse d’essere incinta, finse nove lunghi e nauseanti mesi di gravidanza, simulò dolori e urla del parto. Quando il frate giunse sulla soglia della puerpera, nascondendo, comprato chissà dove, un neonato nella manica, trovò, inatteso, il cardinale a sbarrargli il passo. L’astuto Principe della Chiesa abbracciò il monaco, lo palpò, poi con un grido di giubilo pubblicamente estrasse il “grosso pargoletto” dalle sue vesti, esultando: “Dio sia lodato, la granduchessa ha felicemente partorito, e che bel piccino!”.
Si capisce bene che Bianca Capello non l’avesse mai più perdonato, e che meditasse di ammazzarlo.
Nel nostro Rinascimento, il delitto faceva parte del paesaggio.
Invitò quindi a pranzo il fratello Cardinale nella Villa di Poggio a Caiano, e gli imbandì il suo piatto preferito, il “biancomangiare”: carne cotta nel latte, con – in questo caso – una saporita aggiunta di veleno.
Naturalmente, la vittima fu avvertita da una spia. Anche le spie, insieme alla scansia dei veleni, facevano allora parte del paesaggio.
Non è per esotismo che i più truci romanzi “gotici” della storia della letteratura si svolgano tutti o quasi in Italia.
Il cardinale sedette tranquillamente a tavola, ma ovviamente, «nonostante i ripetuti inviti della cognata, non volle toccare di quel piatto, e pensava al modo di convincerla quando il granduca disse: “Ebbene, se mio fratello non vuole il suo piatto preferito, lo mangerò io”, e se ne servì una porzione.
Bianca non poteva fermarlo senza confessare il suo crimine e perdere per sempre l’amore di lui.
Capì che tutto era perduto e prese la sua decisione […]. Si servì come il marito del biancomangiare: morirono entrambi […]. Il cardinale succedette al fratello, prese il nome di Ferdinando I e regnò fino al 1608».
Tragedia terribile, ma che dimostra: fino a che punto può spingersi quel particolare Teatro che inficia le nostre relazioni, che è il Teatro della “Finzione”.
In esso la Menzogna non ha limiti.
Il cardinale deve “fingere” di non sapere che il suo cibo è avvelenato: quindi, non può impedire che ne assaggi il fratello, che non lo sa davvero. La granduchessa pure deve fingere, in quanto è l’assassina, ma, piuttosto che “perdere l’amore di lui”, come dice Stendhal, preferisce perdere lui interamente, e ucciderlo. Quindi si nutre anche lei del cibo mortale: perché? Come prova retorica. Perché i posteri credano alla sua innocenza, di sicuro; perché di quelle morti si incolpi il Cardinale, forse.
E il cardinale non interrompe quella strage, ma se ne sta placido a osservarla.
Vero che quei tempi non brillavano per Giustizia, ma il punto di forza del prelato è che nessuno sappia che lui sapeva, altrimenti come avrebbe scampato l’accusa di fratricidio e di complicità in regicidio? Credo che il suo primo provvedimento come Granduca sia stato quello di far accoltellare dai sicari la spia che gli aveva salvato la vita.
Ciononostante, la verità si è poi saputa. Anche se, probabilmente, è una Verità un po’ avvelenata dalla Leggenda: Bianca e suo marito soffrivano in quel momento di gravi febbri malariche.
Anche se avesse solo valore di Parabola, questo Teatro non esce ridimensionato. Se ne può arguire: la Logica della Finzione, non sempre è Fantastica. Prevalentemente, è una Logica Mitica, perché induce, costringe, al “Sacrificio” estremo di sé, purché si salvi l’apparenza della Finzione. È veramente senza scampo, immediata, “macchinale” e quindi Teatrale alla massima potenza.
[Ho cercato di scandagliare questa Logica nella Fantaenciclopedia, capitolo: “Verità e Menzogna”, là dove parlo, appunto, della “Teatralizzazione del Falso”, come deriva obbligatoria di Finzioni che si intrecciano.]
[in copertina: Senza titolo (oppure: “L’ultima Natura Morta”), di Paul Klee (1940)]