Da molti anni Riccardo Campa si staglia come una figura unica nel panorama intellettuale, e non solo di quello italiano: filosofo, storico della scienza, ispanista , letterato, traduttore, docente universitario, esploratore delle più disparate discipline e depositario di un sapere enciclopedico mai fine a se stesso. È stato direttore di Nuova Antologia, collaboratore privilegiato di Eugenio Montale, amico e confidente di grandi personalità della cultura mondiale: dal fisico Erwin Schrödinger, del quale Campa è stato allievo e assistente, a Jorge Luis Borges, a Ernesto Sabato, solo per fare alcuni nomi. Ora, a 89 anni, si appresta a pubblicare con l’editore Carocci un libro filosofico fitto e voluminoso che si può definire, spero senza offenderlo, la summa del suo pensiero e delle sue riflessioni decennali su scienza, metafisica, natura, e mondo umano. Un libro che parla dello Spirito del Tempo, il nostro: un tempo che viene descritto e qualificato in modo non equivocabile già nel titolo di questo nuovo trattato come “L’Epoca dell’Incertezza”.
Adan Zzywwurath:
Quando Borges arrivò a Roma nel 1984, in una sorta di visita di Stato, molti furono stupiti che affrontasse nelle sue conversazioni temi politici e di attualità come la guerra, i blocchi contrapposti, il disarmo. So per esperienza diretta che fu lei a consigliarlo amichevolmente e a collaborare con lui nel trattare questi argomenti. Come mai?
Riccardo Campa:
Borges era stato invitato da Pinochet e c’era andato, aveva accettato d’essere decorato. Questo fatto aveva suscitato molte polemiche, molte accuse nei suoi confronti. Ma in realtà Borges era, si può dire così, un “irresponsabile”, come si definisce “irresponsabile”, secondo certe costituzioni, il comportamento di un Capo dello Stato, che deve sempre essere accompagnato da un membro del governo. Lui non leggeva i giornali, era del tutto indifferente rispetto alle cose del mondo, andava dovunque lo invitavano. Conveniva al suo “magistero oracolare” rendersi “inattuale”. Naturalmente poi questo atteggiamento, profondamente borgesiano, lo scontava ogni anno, perché non veniva preso in considerazione quando era il momento di assegnare il Nobel per la Letteratura. Ricordo che, quando era ospite a casa mia, a Roma, con sua moglie Maria Kodama – che è morta pochi mesi fa – rispose così a un giornalista: “è un’antica tradizione dell’Accademia Svedese, quella di non premiarmi con il Nobel…”. Io non condividevo queste sue forme di “irresponsabilità”: non penso che tutti i letterati debbano essere “impegnati”, però ognuno deve vivere nel proprio tempo. Contrariamente a Ernesto Sabato, l’autore di Sopra Eroi e Tombe, profondamente radicato nella realtà e nella comunità argentina, Borges, con la sua opera “alchemica”, perseguiva epopee senza Tempo. Poteva essere nato in Australia, in Danimarca o dovunque. Negli ultimi anni si era messo a studiare il gaelico, piuttosto che approfondire Joyce, che era della stessa matrice. Preferiva andare molto più in fondo, fino all’origine di quel che gli interessava. Lui viveva in un mondo inesistente, che si era costruito attraverso l’ombra, e con la Parola.
Adan Zzywwurath:
Che ricordi ha delle sue giornate con Borges?
Riccardo Campa:
L’aspetto compromissorio dell’esistenza, quello che vale per tutti noi, Borges non l’aveva mai sperimentato, perché per tutta la vita era sempre stato “amministrato”, prima dalla madre, e dopo dalla moglie, Maria Kodama. Io da ragazzo avevo conosciuto sua madre, donna Eleonora, a Buenos Aires. Poi, quando lei morì, Borges mi ospitò sempre nella stanzetta che era stata della madre. Mangiavamo di fronte casa sua, in una trattoria del suo quartiere, “La Recoleta”.
Nelle nostre conversazioni, come in quelle pubbliche, lui manteneva questa attitudine che io chiamo “oracolare”: non c’era nulla di abbreviativo nei suoi percorsi di pensiero, sempre molto complicati; solo quando parlava di Fantastico, allora era debordante, quasi affettuoso.
Nel novembre del 1985, si svolse a Roma, a Palazzo Spinola, un convegno sulle “Variazioni del Fantastico”, al quale Borges volle partecipare. Ci teneva moltissimo. In quella occasione, fui io a ospitare lo scrittore a casa mia, per un mese e mezzo. Gli piaceva stare da me, perché io abito sulla via Salaria, vicino alle Catacombe di Priscilla: parla di questa esperienza, in un suo scritto, come un soggiorno “misterioso”. Diceva che le catacombe lo ispiravano, che era un luogo “misericordioso”.
Ricordo anche che una volta venne a trovarci il presidente Pertini e Borges insisté perché andassimo tutti insieme a cena. Non al Quirinale: andammo in una trattoria in fondo alla via Nomentana. Ci faceva da autista un maresciallo, non c’era altra scorta. La città era vuota, il panorama, lunare; non c’era nessuno per le strade perché in televisione trasmettevano una partita di calcio importantissima. Borges era incline a vagheggiare gli aspetti eroici della vita – sosteneva d’essere il discendente d’un Eroe dell’indipendenza argentina – ma del calcio, così vitale per il suo Paese, non gli importava molto. Però era felice, ci disse, di “misurarsi con l’Umanità”. “Sono contento quando le persone sono contente, perché condivido la loro contentezza”. Il presidente Pertini, continuava a ripetergli, con entusiasmo: “Lei è il più grande poeta del mondo!”. Borges mangiò una pasta alla siciliana, e pollo. Poi firmò un autografo per le proprietarie della trattoria. In quei giorni era diventato un personaggio famoso anche da noi, a livello popolare.
Adan Zzywwurath:
Lei è stato assistente di Erwin Schrödinger, premio Nobel per la Fisica, una delle figure più eminenti della Scienza del XX secolo. Come avvenne il vostro primo incontro?
Riccardo Campa:
Quando arrivai da lui, notai che sulla sua scrivania c’era Fontamara, il romanzo antifascista di Ignazio Silone. Mi aveva molto impressionato questa scoperta, perché Fontamara rappresentava per lui un mondo che si era chiuso terribilmente.
Schrödinger leggeva e capiva l’italiano e parlava spagnolo. Amava la Spagna, considerava il Chisciotte uno degli appuntamenti mentali – li chiamava proprio così: “appuntamenti mentali” – di cui non si poteva fare a meno. E la cosa più fantastica, che riscontrai in lui fu proprio questa: che, a parte la Scienza, amasse in questo modo la letteratura dell’Occidente. Gli pareva una consonante del discorso dell’Umanità.
Adan Zzywwurath:
Il suo nuovo libro si intitola: L’Epoca dell’Incertezza. Questa formula marca il nostro tempo non solo in termini politici globali, o esistenziali, come dato di una crisi delle singole coscienze che vivono nel mondo, ma è il segno distintivo, attuale, della conoscenza umana, almeno da un secolo a questa parte: per semplificare, dall’epoca della scoperta della “Teoria dei Quanta”. L’Incertezza però, lei argomenta, non rappresenta un elemento di crisi fatale e di rottura, all’interno del pensiero occidentale, ma appartiene alla sua stessa tradizione millenaria.
Riccardo Campa:
Infatti: la saggistica del Novecento si è impegnata nel denigrare la cultura occidentale, e quest’opera di denigrazione prosegue ancora oggi. Ma io spiego nel mio libro – e questa cosa finora non l’ha detta nessuno – che parlare di “Eclisse della Ragione”, o di “Tramonto dell’Occidente” o di crisi della Scienza è una sciocchezza, un’assurdità. C’è invece un filo rosso che lega la storia del pensiero attraverso tutti i secoli. Il Novecento è stato un secolo di sommovimenti epocali, a partire dalle due guerre mondiali, un’epoca all’insegna, contraddittoriamente, dell’universalismo e del nazionalismo, dell’individualismo e delle masse. Ma è stato anche il secolo che ha portato a compimento il percorso dell’Atomismo, che da Leucippo e Democrito – nella Grecia del sesto secolo avanti Cristo – e poi attraverso Lucrezio Caro e la Roma dei Cesari, arriva ai laboratori scientifici europei e extraeuropei. Il trionfo della tecnocrazia e della macchina, sostegno fondamentale delle due guerre, celebrata dal Futurismo come fortilizio estetico, e, dopo, il progetto Manhattan, il fungo di Hiroshima e Nagasaki, hanno messo alla prova le propensioni umanitarie della tradizione occidentale. I grandi scienziati del Novecento, però, hanno contraddetto con il loro lavoro gli aspetti del totalitarismo europeo. La loro finalità era il rinnovamento e il riscatto della cultura occidentale, mantenendo intatta l’ambizione di spiegare le cose del mondo con la ragione, quindi con le formule, con la Fisica. Questo “sottotraccia” è rimasto vivo nella nostra cultura, e i tragici eventi di Hiroshima e Nagasaki non hanno potuto distruggerlo. Tutto quello che è avvenuto, in realtà non ha fatto altro che rendere ancora più incessante l’azione della Scienza.
Adan Zzywwurath:
L’Epoca dell’Incertezza, questa sua nuova indagine su quel che accade “nel nostro tempo”, per citare il titolo di un libro da lei curato in passato, approda a proporre, sotto una nuova luce, una lettura diversa del capitalismo, come fenomeno non solo economico.
Riccardo Campa:
L’incertezza di cui parlo nel libro, deriva anche dalla differenza riscontrata dalla Fisica tra Macrocosmo e Microcosmo. Nel Macrocosmo domina la categoria della “causalità”. Anche il Dio della teologia, in quanto creatore del Mondo, risponde alla causalità: è una causa; anche il “motore immobile” è una causa. Invece – questo è il filone che viene dal De Rerum Natura di Lucrezio Caro, e giunge in Occidente fino al “Principio di Indeterminazione di Heisenberg” – nel Microcosmo prevale la “casualità”. Non c’è la possibilità di stabilire da dove viene l’elettrone, l’elettrone si dismaga lasciando solo una traccia energetica, una scia che noi utilizziamo sia nella fusione, sia nella fissione nucleare. Il comportamento dei Quanta nel Microcosmo è “casuale”, e sottratto alla catena della “causalità”: perciò, per misurarlo, utilizziamo l’approssimazione. Ossia lo rileviamo “statisticamente”. Nell’Epoca dell’Incertezza faccio notare che questa “approssimazione” è esattamente la stessa che viene utilizzata dal capitalismo. Come avviene per il microcosmo, il capitalismo si serve delle rilevazioni di carattere statistico. È la statistica, che noi vediamo come una emergenza epiteliale, che sta a fondamento delle indagini di mercato, per saggiare la capacità di imporsi di un prodotto, quanti possono essere quelli che useranno il telefonino, quanti avranno bisogno delle scarpe, ecc. Anche gli algoritmi che stabiliscono il nostro comportamento in quanto compratori, e ci impongono le nostre scelte di gusto estetiche, sono frutto di un rilevamento statistico, al quale siamo tutti soggiogati.
Adan Zzywwurath:
Si può dire, ricorrendo a una parola-chiave che connota da decenni la sua ricerca, che in qualche modo il Microcosmo è il “mondo dell’Ombra”? L’Ombra, che lei ha analizzato anche affrontando il pensiero più profondo di Borges, filosofo dimenticato. Nello splendido capitolo finale de “L’epoca dell’incertezza” trovo questa decisiva rivendicazione dell’Ombra – appartiene a uno scritto di Arthur Stanley Eddington, allo spirito del quale lei sembra aderire pienamente – : “Nel mondo della fisica contempliamo un risultato spettrografico della vita familiare. L’ombra del mio gomito si posa sulla tavola d’ombra, mentre l’inchiostro dell’ombra scorre sull’ombra del foglio… La franca consapevolezza che la scienza fisica ha a che fare con un mondo di ombre è uno dei più significativi tra i suoi recenti progressi”.
Riccardo Campa:
Sì, in consonanza con Borges, nel libro che ho scritto su di lui ho chiamato l’Ombra: l’Etimologia del mondo. L’Etimologia è una scienza che spiega storicamente la successione dei significati che hanno le parole, quindi l’Ombra è un opificio, un laboratorio. Anche dell’Ombra, come delle particelle, non sappiamo mai prevedere il comportamento, se vada a destra, o a sinistra. L’Ombra, è il Sortilegio dell’Umanità.
Adan Zzywwurath:
Come studioso del Fantastico mi ha anche sorpreso l’improvvisa evocazione, nello stesso contesto nel quale lei parla dell’Ombra, del racconto di Edgar Allan Poe intitolato La maschera della morte rossa.
Riccardo Campa:
Io penso che ci sia sempre una maschera nella Scienza. Anche nella scienza si sono inventate delle cose che non esistono, che si possono definire Fantastiche, come per esempio l’Etere Cosmico, che nasce da una supposizione logica errata. Ma questo è inevitabile. Io sostengo che la letteratura, la narrazione, il discorso, le parole, le immaginazioni, sono sempre l’anteprima della Scienza: prima di articolare un pensiero c’è una sorta di incubazione mentale che poi diventa espressione e alla fine, anche equazione. L’equazione in fondo non è altro che un discorso rappreso in una formula. La Matematica, per esempio, considera l’esistenza e la coesistenza di “numeri immaginari” accanto ai numeri reali. E Musil scrive un’opera fantastica, L’uomo senza qualità, per spiegare che cos’è un’unità immaginaria, ossia un numero che, secondo il postulato di Dedekind, moltiplicato per se stesso dà il risultato: “- 1”.
Adan Zzywwurath:
Se non sbaglio uno degli obiettivi primari della Fisica e della Scienza attuali, resta, come un secolo fa, l’unificazione di meccanica quantistica e teoria della relatività, cioè, e spero di non riassumere questa problematica essenziale troppo brutalmente, riconciliare Macrocosmo e Microcosmo riconducendoli sotto uno stesso dominio di leggi; ma mi pare che il suo obiettivo filosofico, ne L’Epoca dell’Incertezza, si spinga anche oltre: fino a ipotizzare una riunificazione nell’ambito della conoscenza di tutto ciò che è umano e insieme naturale, reale e quindi, in quanto umano, immaginario: scienza, lingua, creazione artistica, psicologia e intuizione mistica.
Riccardo Campa:
È così: io ho cercato di mostrare questo fiume sotterraneo che ogni tanto riaffiora alla superficie, come poesia, come letteratura, come Scienza. Dal sesto secolo avanti Cristo, fino ai nostri giorni.
Uno dei temi sui quali L’Epoca dell’Incertezza si sofferma di più è il rapporto di Reale e Immaginario, indagato nel solco della grande tradizione che dai presocratici, passando per Platone, arriva fino a Poe e ai giorni nostri. L’immaginario (o: l’Inventiva) è in certo senso il “soggettivo” che denota l’esperienza umana e la diversifica da ogni altra. Nello stesso tempo il Reale, che è l’ambito dei fenomeni naturali, storici, sociali, non è dissociabile da questa caratteristica umana, per cui, come ribadisce l’autore, sulla scorta di Platone e Schrödinger, mondo e immagine del mondo sono la stessa cosa, in qualche modo archetipicamente connessi. Il libro approccia e dipana questa materia filosofica complessa con una prosa avvolgente, una catena, collana o lorica che procede vorrei dire per motivi e leitmotiven quasi musicali, affascinanti, resi in un ammirevole italiano, quindi lo stile che Riccardo Campa ha prescelto e che ha dominato in più di 800 pagine non può essere poi riassunto e ristretto in una serie di domande e brevi risposte: sarebbe non solo banalizzante, ma persino irrispettoso. Non posso quindi che terminare suggerendo di leggere “L’Epoca dell’Incertezza”, che sarà in libreria dal 24 novembre. Un libro che si interroga sul ruolo dell’uomo nel mondo, nel quale i lettori troveranno le domande prime e le domande ultime che si deve porre la coscienza. Non solo la Scienza.
[in copertina: Autoritratto di spalle, di Arnold Schönberg]