Nel 1726 uscì in Germania un libro – Lithographiæ Virceburgensis ducentorum lapidum figuratorum, a potiori insectiformium prodigiosis imaginibus exornatæ –, che avrebbe potuto sconvolgere ogni futuro dibattito sull’Evoluzione. L’autore, Johannes Bartholamæus Beringer, studiava e illustrava in quel volume circa duecento pietre che la Natura stessa sembrava aver decorato: fossili straordinari che dimostravano l’esistenza passata di specie animali mai prima catalogate, e nemmeno ipotizzate.
Le litografie del volume rappresentavano pipistrelli con ali sottili da insetto, ragni “cornuti” appesi alla loro tela, lucertole con dieci braccia, uccelli con testa di pesce, bruchi di farfalla alati, e persino bestiole in forma di coccarda, che sembravano piccoli soli in miniatura con tanto di raggiera, ecc. Tutto questo campionario era uscito come d’incanto dalle caverne di Würzburg, città bavarese presso la quale il Beringer esercitava un’onesta e apprezzata attività di educatore.
Purtroppo però ben presto divenne di pubblico dominio la notizia che lo studioso era l’ingenua vittima di una beffa neanche troppo sofisticata. Due truffatori, il professore ed ex gesuita Roderich e il bibliotecario del tribunale von Eckhart, l’avevano uccellato con l’aiuto di una banda di ragazzini. I Fossili erano pietre assai giovani, appena scavate dalla terra, sbalzate e poi dipinte a mano. La Giustizia accertò che moventi del raggiro erano stati l’invidia professionale e l’antipatia personale. Il professor Beringer cercò inutilmente di ritirare dal commercio tutte le copie pubblicate del suo libro, per bruciarle. A riprova che il suo tentativo di far tabula rasa andò a vuoto, chiunque oggi può leggere la Lithographiæ Virceburgensis in una copia integrale, visibile su Google Books.
Anche questa è una storia che non si registra qui come tributo all’infinito sciocchezzaio dell’Umanità. Interessanti sono certe “deduzioni” con cui il Professore accompagnò le sue scoperte, anche quando esse oltrepassavano il ridicolo.
Tra i sassi istoriati di Würzburg comparivano reperti che recavano impressi i caratteri d’una o più lettere dell’alfabeto ebraico – identificate volta a volta come samaritane, rabbiniche o babiloniche. Beringer le trascrisse e ne chiese il significato ad alcuni esperti di Cabbala. Quindi, diede questa soluzione alle pietre enigmatiche: le caverne dove erano state scoperte erano vicine a un cimitero israelita. Suppose allora che la Luce, rimbalzando da quelle lapidi non lontane, avesse lentamente scolpito i fossili, perché è presumibile che essa possa “imprimere su materiali adeguati le stesse forme di cui ha già preso l’impronta”. Che la Luce possa scrivere, ed essere provvista di Memoria, è tesi che non offenderebbe un fisico moderno.
[dalla Fantaenciclopedia, voce “Verità e Menzogna”]
[in copertina: i resti fossili di una enorme Ammonite]