Il nostro debito, la nostra gratitudine nei confronti di Julio Cortázar (l’autore del Gioco del Mondo, e dei racconti di Bestiario) sono tali, che gli dobbiamo almeno questo: legare il suo nome indissolubilmente alla Letteratura Fantastica. Perciò avanzo una modesta proposta: che in omaggio a lui e alla sua verde creaturina immaginaria, il cronopio venga adottato universalmente come unità di misura del Fantastico. Si dovrebbe insomma calcolare in cronopi la caratura di qualsiasi opera letteraria, plastica, pittorica o anche e perché no musicale, che attinga all’ambito “fantastico”.
Faccio degli esempi: quanti cronopi in Poe? Quanto è cronopio Hoffmann? Quanti nano-cronopi in Stephen King? E Borges? Dovrebbe essere obbligatorio, sulla fascetta dei libri fantastici, indicarne il valore fantastico in cronopi. «Leggete Kafka: ben 12.000 gigacronopi disponibili!!!»
Non ho dubbi che tale valore esista e che possa esprimersi «oggettivamente». Come il cesio, tristemente radioattivo, l’elemento fantastico, in letteratura, emana cronopi. Felicemente. Altrimenti detta, la cronopiezza si potrebbe definire la forza propulsiva del fantastico. Qualcosa che sprigiona un’energia commensurabile, come i cavalli fiscali. E che straripa dalla riga alla vita.
Chi o che cosa sono i “Cronopi”?
Cortázar non si è vergognato di raccontare, in più di una circostanza, come ebbe la prima intuizione della loro esistenza “materiale”.
Riassumo nuovamente la versione che Julio Cortázar ne ha dato in un libro [Entretiens avec Omar Prego] illuminante in più di una direzione. Lo scrittore, da poco esule a Parigi, andò una sera al Teatro degli Champs Elisées. Allora gli accadde di uscire dalla nostra consueta dimensione “spazio-temporale”: colto da uno di quegli “Stati di Passaggio che lo sorprendevano quando era stanco e distratto”.
«Durante l’intervallo tutti sono usciti per fumare, e (…) mi sono ritrovato all’improvviso in un teatro vuoto. Io ero seduto e improvvisamente ho veduto – come la visione che puoi avere quando chiudi gli occhi o quando evochi qualcosa e la vedi nel tuo ricordo – ho visto allora fluttuare nella sala degli oggetti di color verde, una specie di palloncini verdi che facevano evoluzioni intorno a me. Nello stesso momento m’è venuta l’idea che erano dei cronopi. La parola e la visione mi sono venuti simultaneamente».
Più tardi, superata una fase iniziale, mitologica e contraddittoria, il cronopio prese forma definitiva, e narrativa, nella saga delle Storie di Cronopios e di Fama: di lui sappiamo che è un esserino verde che quando si accorge che il suo orologio va indietro, non lo ricarica, ma s’intristisce al limite dell’inedia e del suicidio. Mentre i Fama, gli squallidoni, camminano per il Corso alle undici e venti, lui li segue, disgraziato, umido e annichilito, alle undici e un quarto. E allora…: «Bagna il cronopietto il suo biscotto con le sue lacrime naturali».
Il cronopio, in ogni situazione del reale, si rivela totalmente inadeguato. Questa inadeguatezza ci avvicina a un altro segreto del fantastico. Cortázar l’ha detto in qualche modo, parlando di sé: fantastici si diventa nell’infanzia, quando si sperimenta l’inaudita ricchezza delle parole rispetto alla tediosa ripetitività del reale. «Io non ero nato per accettare le cose come sono», ha raccontato. Questo senso di ribellione è costitutivo dei grandi rivoluzionari come dei grandi letterati.
Anche un altro grandissimo cronopio, Karl Marx, ha congetturato qualcosa di “fantastico”, nella sua teoria della forza lavoro e in quella del «feticcio della merce». C’è anzi un punto cronopissimo del Capitale in cui si dice che un tavolo, considerato come merce, «di fronte a tutte le altre merci si mette a testa in giù e sgomitola grilli molto più mirabili che se cominciasse spontaneamente a ballare». Pochi ricordano questo passo, nonostante la caduta del muro.
La Letteratura Fantastica rivela l’altro lato della Realtà. E Cortázar ha sempre testimoniato e combattuto per questa definizione del Fantastico: una potenza critico-dialettica, un’energia trascinante tutta proiettata sul futuro, vero riscatto dal tragico destino delle cose: che è il loro esser così e non altrimenti. Parole nuove e fantasia al servizio della rivoluzione totale, per sovvertire linguaggio e realtà della civiltà occidentale.
Julio però non si oppone allo status quo come fanno gli “scrittori impegnati”. Qualifica che gli procura disgusto e orrore: “Nei cronopi non c’è alcuna allegoria. Non c’è alcuna intenzione didattica né moralizzatrice in loro. Al contrario, ho voluto scrivere dei racconti molto liberi. solamente, ecco qua: queste bestiole hanno le loro caratteristiche e non le possono dissimulare”.
Lo scrittore argentino è attirato dalla scheggia allusiva, dal marginale, dall’oppresso, il non riconciliato. Le sue predilezioni per la politica rivoluzionaria sono sulla stessa linea delle sue scelte letterarie: ammirevole coerenza. Ciò ha fatto sì che la sua nozione di Fantastico sia egualmente esatta come quella di Borges, ma più contaminata di sussulti moderni e contemporanei. Per questa ragione, Cortázar mal sopportava i racconti di fantasmi, e non amava scriverli: non c’è niente infatti di più rassicurante di un fantasma, una volta che sai chi è. C’è tutto un armamentario tradizionale già pronto per disinnescarlo. Si conoscono gli antidoti.
I cronopi invece sono più simili a animali fantastici – chimere – che non a apparizioni “fantasmatiche”: “Il mio”, ha chiarito Julio Cortázar, “non è un fantastico fabbricato, come quello della letteratura che noi qualifichiamo Gotica, nella quale ci si inventa tutto un mondo di fantasmi, di apparizioni, tutto un arsenale di terrore che si oppone alle leggi naturali, che influisce sul destino dei personaggi. No, davvero, il fantastico moderno è molto differente da questo”.
“È meraviglioso, – continua Julio parlando a Omar Prego del Fantastico “moderno” che lui stesso ha contribuito a creare – è meraviglioso vedere le estrapolazioni inconsce o subconsce che si operano nello spirito del lettore. Il che vuol dire fino a che punto questo genere di letteratura è fecondo, contrariamente a quanto pensano i materialisti che ti dicono che bisogna scrivere sulla realtà di tutti i giorni e sul destino dei popoli. Questa letteratura è molto più feconda perché fa nascere in ciascun individuo una serie di risonanze. In una parola, e lo dico senza alcuna vanità, arricchisce il suo lettore, così come lo scrittore s’è arricchito della sua propria esperienza personale”.
La letteratura, per Cortázar, più che una vocazione, è un dono. “Ho un po’ di vergogna a firmare i miei racconti – ha detto –, perché ho l’impressione in fin dei conti che qualcuno me li abbia dettati“. Ciò succede quando per istinto, o addestramento, ci si sintonizza su un’Altra Dimensione, e si ragiona seguendo un’Altra Logica che poco ha da spartire con la Tirannia della Realtà. E questo, per Julio, è accaduto molto presto.
“Ho avuto fin dalla mia più giovane età questo sentimento: che la realtà non era solamente quella che mi mostrava la mia istitutrice o mia madre e che potevo verificare toccando o sentendo, ma che c’erano anche continue interferenze di elementi che non corrispondevano, per la sensazione che ne ricevevo, a questo genere di cose. Di là viene il mio sentimento del fantastico”.
“Molto giovane, dunque, mi sono fatto sentinella del mio proprio linguaggio. (…) A questa idea centrata sul rigore della lingua, se n’è aggiunta un’altra (…): questa idea molto austera, quasi geometrica che mi faccio del racconto fantastico. Lo vedo un po’ come una forma platonica, una forma pura. Cioè il simbolo, la metafora del racconto perfetto è la sfera, questa forma senza alcun superfluo, chiusa in se stessa… Da una parte, abbiamo la lezione di Borges, che mi ha insegnato l’economia. Cioè a non essere asciutto, ma sobrio (…); a questa si aggiunge una concezione diciamo strutturale del racconto, che coincide con la concezione strutturale che ho del linguaggio”.
La sua carriera di scrittore, Cortázar, lo confessa, l’ha cominciata da bambino, e nel modo più fantastico possibile: tracciando nel vuoto parole, frasi, e piccoli racconti – scrivendo con la punta del dito sul foglio invisibile, impermeabile e inscalfibile, della Realtà. Borges forse direbbe: per un dio, o per gli innumerevoli dei, quelle parole sono ancora lì, leggibili.
Forse gli dei tollerano che il mondo persista e l’universo sopravviva solo per quello che i bambini hanno scritto nel vuoto, e che hanno dimenticato da adulti. Mentre loro, gli dei, possono leggerlo ancora. Forse il mondo è magicamente protetto da quei pochi ghirigori… Ma il “Gran Cronopio” Borges non è Cortázar, Cronopio dei Cronopi… L’idea che tutto sia concatenato, che tutto sia leggibile solo all’interno di una costellazione in cui realtà, sogno e fantasia si mescolano, in Borges è divenuto puro esercizio di Letteratura e – infine – “Burla”. Una burla che certamente merita il massimo rispetto e la più deferente ammirazione. Per Cortázar, invece, questa idea è ben più dolorosa, più stupefatta, più carica di risonanze misteriose. Perciò lo sentiamo più vicino. Perciò lo sentiamo ancora più fantastico e cronopio.
Ci manchi, Julio, da quasi quarant’anni e, dovunque tu sia: Buena Salenas, cronopio cronopio.