Józef Paweł Natanson – anche detto (o scritto) Joseph –, polacco-anglo-italiano, istituzione e vanto degli effetti ottici speciali di Cinecittà, è nato a Cracovia nel 1909. Ha frequentato l’Accademia di Belle Arti di Varsavia. A Parigi è stato allievo dell’École du Louvre. Dopo un esordio d’artista in patria (una personale di pittura a Varsavia nel ’39), al principio della guerra è riparato in Gran Bretagna, collaborando con il governo polacco in esilio. Influenzato dall’Impressionismo e da Pierre Bonnard, ebbe poi una durevole infatuazione per il surrealismo. Longilineo, prestante, una vaga rassomiglianza con l’ultimo Vincent Price, l’ho incontrato a Genova nel 1983. Questo è il testo riveduto di una mia intervista realizzata allora.
Adan Zzywwurath:
Come è diventato un “mostro” degli effetti speciali?
Józef Natanson:
Del tutto casualmente. Io dipingevo tranquillamente i miei quadri a Londra, quando ho incontrato uno scenografo che mi ha detto: “questo è proprio quello di cui ho bisogno per il mio film!” E il film era Scarpette Rosse di Powell e Pressburger, per il quale ho poi disegnato alcuni costumi e dipinto molti matte shot. Tutti i miei matte shot sono nel balletto: ci ho lavorato molto, almeno sei mesi.
Come lei sa il matte shot è una tecnica molto complicata. È un vetro dipinto che si aggiunge alla parte filmata, secondo una particolare tecnica di ripresa, grazie alla quale non si vede dove comincia, nell’immagine, la parte dipinta, e – se è fatto bene – non si vede neanche che è pittura. Questo è l’obbiettivo del vero effetto ottico speciale: quando è un buon effetto, non deve essere mostrato per molto tempo e soprattutto non si deve vedere che è un effetto, un’illusione.
A.Zz:
Il suo nome, spesso, non compare nei “credits”, nei titoli dei film per i quali ha dipinto autentiche opere d’arte. Come mai?
Józef Natanson:
In generale, non ha molto senso mettere la ” firma” sugli effetti speciali di questo tipo. Anche dal punto di vista artistico, la nostra è un’arte che insegna la modestia.
A.Zz:
Come è arrivato in Italia?
Józef Natanson:
Dopo aver lavorato in Scarpette Rosse ottenni un contratto in esclusiva con la Technicolor. Al principio degli anni cinquanta, tutti i film italiani che venivano girati con il colore, venivano spediti in Inghilterra, perché a Roma non c’erano laboratori in grado di stamparli, e la Technicolor, all’epoca, aveva il monopolio nel settore. Allora le case italiane si misero d’accordo che era più economico, piuttosto che spedire tutto in Inghilterra, avere un esperto del colore in Italia e mi chiamarono. Cominciai a lavorare alla Incom di Roma.
A.Zz:
Cosa ricorda dei suoi primi film italiani?
Józef Natanson:
Come curatore degli effetti speciali, ho iniziato con Puccini, di Carmine Gallone. Mi ricordo che Gallone, presentando il film alla stampa, disse che era stato girato nei più grandi teatri d’opera d’Italia. E invece non era vero: avevamo una sola scenografia, in studio, e io trasformavo i soffitti e i palchi di quell’unico teatro, che con un matte shot diventava il Teatro Argentina, con un altro il Regio di Parma, con un altro ancora La Scala. Disegnavo anche gli omini in galleria. A quell’epoca facevo soprattutto soffitti perché il colore aveva bisogno di luci intense e ravvicinate (la pellicola non era molto sensibile), e bisognava nascondere i riflettori che pendevano dall’alto. Poi con Carmine Gallone ho collaborato ancora a lungo: per Casta Diva, Casa Ricordi e Madama Butterfly. Quando Garrone aveva girato La Monaca di Monza, dopo aver visionato i materiali, mi chiamò disperato. Nella scena del colloquio con l’inquisitore, che era stata ripresa in un castello su un lago, vicino Roma, tra i protagonisti, sullo sfondo della sala, s’era insinuato (si vedeva benissimo!) un grosso contatore e interruttore della luce. Gallone a quei tempi veniva ancora preso in giro per il famoso orologio che compare al polso di un antico romano nel film Scipione l’Africano! Allora mi ha chiamato per cancellare questa nuova svista storica. Io ho disegnato una macchia grigia (il film è in bianco e nero), sullo sfondo, ma la macchina da presa si muove, e ogni tanto un pezzetto di contatore appare e scompare!…
A.Zz:
A quanti film ha collaborato in Italia?
Józef Natanson:
Oh, circa 60, credo. Ma non ho una lista completa.
A.Zz:
Tra i suoi film ci sono alcuni capisaldi fondamentali del nostro genere “Peplum”, alcuni Maciste, Ercole, Ursus… Ma lei ha lavorato anche con Mario Bava, e ha contribuito a opere di autori come Fellini, De Sica o come Ferreri, per Dillinger è morto…
Józef Natanson:
Sì, per Fellini ho lavorato nel Satyricon, per Roma e anche all’episodio di Tre passi del delirio, “Toby Dammit”. Di quest’ultimo, ricordo soprattutto la sequenza dell’arrivo dell’attore nell’aeroporto. L’idea di rendere tutto rosso e rosa, per un tramonto immaginario, è stata una bellissima invenzione di Fellini. Ma la pittura in quel caso non c’entrava, era una combinazione di effetti fatti su truka. Dei film fantastici, non ho molti ricordi. Ho lavorato molto, questo sì, a un rifacimento italiano del Ladro di Bagdad. Ma per il resto, non ho una particolare memoria.
De Sica, invece, mi ha dato una delle più grandi soddisfazioni della mia vita. Stava girando Lo chiameremo Andrea e non riusciva a terminarlo perché aveva bisogno di un effetto particolarmente complicato: la protagonista doveva essere colpita da un fascio di raggi di luna, per poter avere un figlio: così le aveva predetto una fattucchiera, mi sembra. Il direttore della fotografia aveva ritagliato un cono di luce per illuminare Mariangela Melato, ma il trucco era troppo visibile e innaturale. Allora De Sica ricorse a me. Contrariamente a Fellini, che delega tutta l’organizzazione degli effetti, perché è molto preso dalle sue invenzioni, De Sica seguiva la cosa personalmente e con grande partecipazione. Io ci pensai parecchio, perché mi rendevo conto che bisognava inventare qualcosa di nuovo. Così è il nostro mestiere: che è antico quanto Georges Méliès, perché i trucchi sono quelli di sempre, ma ha bisogno di continuo di nuove intuizioni. Una notte balzai dal letto urlando: sabbia! Era quello che ci voleva. Far passare della sabbia finissima davanti a una faccia di luna luminosa per creare l’effetto di nubi che le scorrono sopra, e che ogni tanto si aprono lasciando cadere dei raggi. Dopo tre notti di appostamento, trovammo anche le nubi giuste in cielo. Quando vide le riprese di Sica disse: che bello! E mi diede un immenso piacere.
A.Zz:
Lei ha dipinto fondali anche per film assolutamente “realistici”, come Le quattro giornate di Napoli di Nanni Loy…
Józef Natanson:
Sì, certo. Ho dipinto dei matte shot per le macerie e per i bombardamenti della città. Fu un’opera molto difficoltosa, perché, contrariamente a quanto si potrebbe credere, è più facile creare dei fondali a colori sul vetro, piuttosto che in bianco e nero. È arduo trovare la tonalità giusta dei grigi.
Un’altra idea molto diffusa e altrettanto sbagliata, è quella per cui i matte shot o i glass shot (procedimento corrispondente), dovrebbero essere estremamente realisti per risultare credibili. Non solo per motivi teorici, ma per esperienza, posso dire invece che il miglior creatore di effetti ottici speciali non dovrebbe essere un “iperrealista”, ma un Monet: un artista che sapesse usare le tecniche e i colori degli Impressionisti.
A.Zz:
Lei ha collaborato anche a Cleopatra di Mankiewicz, e per questo kolossal ha creato dei glass shot meravigliosi. Peccato che il film si sia rivelato un fiasco al botteghino…
Józef Natanson:
Io devo dire che del fiasco non mi sono interessato, perché molto prima del fiasco ho finito il mio lavoro.
A.Zz:
Produttori e registi ricorrono ai matte shot solo per risparmiare soldi sulle scenografie?
Józef Natanson:
No, un buon regista che sa usare gli effetti speciali può fare delle cose meravigliose, dove sfortunatamente l’economia non c’entra molto: perché il tempo impiegato a fare un “effetto ottico speciale” veramente bello, è tanto, e comporta quindi grandi spese.
A.Zz:
Qual è l’Effetto ottico più strano o più “audace”, in senso artistico, che ha inventato e realizzato per un film?
Józef Natanson:
Beh, una cosa, l’ho fatta… ho mutato l’aspetto di Castel Sant’Angelo, a Roma. Dovevamo girare una sequenza sul castello, come doveva apparire ai tempi dei Borgia, un’epoca nella quale naturalmente non c’era il ponte con gli Angeli… Allora ho inventato una “base” gigante al monumento, utilizzando come piedistallo un’immagine di Porta San Sebastiano con le sue mura… una trasformazione davvero “stranissima”…
[in copertina, un quadro di Józef Paweł Natanson]