Quel che più colpisce lo spettatore, posto “di fronte” alle tele di Caspar David Friedrich (Greifswald, 5 settembre 1774 – Dresda, 7 maggio 1840), non è l’esattezza del paesaggio, o la nitidezza e la padronanza dei colori, quanto la predilezione dell’artista di assumere, come modelli, uomini e donne che non ci mostrano mai il viso, ma solo la schiena.
Sembra lecito chiedersi se non ci sia un irrisolto nodo filosofico, e, soprattutto, teologico, dietro questa scelta.
I- Uno dei dilemmi che più tormentano un’anima non credula, ma religiosa, non è tanto se Dio esista o meno, quanto perché, nel caso esista, non si mostri mai agli uomini e alle donne, non parli loro, non si manifesti.
Il grido di Isaia (45, 15): “Veramente tu sei un Dio Nascosto!”, attesta uno stupore ancora non rimarginato tra chi professa il Monoteismo.
Pascal ne fece il cardine della sua visione teologica. Leggiamo in un suo frammento (§ 780):
«“Perché Dio non si mostra?”
–Ne siete degno?
“Sì”.
–Siete ben presuntuoso, e indegno, per questo.
“No”.
–Dunque ne siete indegno».
Ecco risolta la questione.
Leggiamo nel Vangelo di Giovanni (1, 18): “Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, Lui lo ha rivelato”.
Il Signore però, affermano le Scritture, almeno una volta si è mostrato a un mortale. Questa famosa Epifania è descritta in un passo che ha suscitato una miriade di interpretazioni.
Si dice in Esodo (33, 11) che, annunciato da una nube, Iddio si recava di frequente nella tenda di Mosè, e che si intratteneva col profeta dialogando “faccia a faccia” con lui. Subito dopo si chiarisce che l’Onnipotente, però, non si era mai davvero mostrato a Mosè, il quale non poté mai vedere il Suo santo Volto.
Che “faccia” gli presentava allora? Una faccia “senza Gloria”; sicuramente. Dio “svestiva il suo splendore”, per conversare con la sua creatura prediletta.
Non lo riteneva degno di svelargli la sua vera essenza e consistenza. Lasciava il suo Nome, il suo aspetto vero, fuori della porta.
Piuttosto che immaginare un Dio in maschera, sembra che quel “faccia a faccia” vada interpretato in modo figurato. Vuol dire: “da sveglio”, non come nei sogni dei dormienti o nelle crisi, prive di coscienza, dell’Estasi. Vuol dire: come si conversa tra due vecchi amici. In Numeri (12, 7-8) Dio in persona, più risolutamente, corregge: Mosè “è l’uomo di fiducia in tutta la mia casa. Bocca a bocca parlo con lui, in visione”.
Mosè, dopo molti abboccamenti, espresse il desiderio di vedere l’Altissimo in tutto il suo Fulgore. E i due si diedero appuntamento, nel modo più furtivo, ossia – suggerisce lo Zohar – come amanti clandestini. Dio allora gli si mostrò, ma: “da Tergo”.
Così Alberto Savinio riassume Esodo (33, 23) in Narrate, Uomini, la vostra storia: «Quando Mosè salì al Sinai per incontrarsi col Signore, questi di lontano gli gridò: “Entra in quella grotta, Mosè, e non guardare la mia faccia mentre passo, se non vuoi morire”. Per maggiore prudenza il Signore posò la mano sull’apertura della grotta e non la ritrasse se non quando fu passato. Mosè vide le terga enormi di Sabaot, che si allontanava tra le saette».
Il Signore fu dunque di parola, ma il profeta, pur avendone l’occasione, pur avendolo impetrato a questo scopo, non ci descrive nel Pentateuco lo sfavillante “derrière” di Dio.
I Dottori di Israele dovettero quindi lavorare d’immaginazione. Dedussero il senso riposto della misteriosa promessa di Dio a Mosè – “Io leverò la mia mano e tu mi vedrai di dietro” – nei modi più disparati.
Ci fu persino, tra i Rabbini, chi interpretò la pantomima della grotta come una sorta di sfilata di Moda, o di passerella – un’esibizione volontaria e civettuola di ciò che solo da dietro poteva essere mostrato: “Disse Rab Hunà bar Biznà a nome di Rabbi Simeone il Pio: Da qui si rileva che il Santo, Egli sia benedetto, gli fece vedere il nodo dei filatteri”.
Nel gesto divino di “volgere le spalle” a Mosè, che in quel momento rappresenta tutti gli Uomini, c’è, probabilmente, un Segreto.
Forse che – orribile sospetto – prometterci la sua Visione “da Tergo” varrebbe a dire: io, Dio, mi offrirò a te, ma come mio “rovescio”, ossia come il Contrario di Ciò che sono? Anche il Kotzker (Reb Mendl) – convinto che una sorta di “Peccato Originale” fosse insito non nell’Uomo, ma in tutto il Cosmo –, stimava che il mondo fosse stato creato al rovescio: così leggeva il senso dell’incontro tra Mosè e Dio, quando il Santissimo si mostrò, ma solo “da Tergo”.
Diretto erede di questa tradizione, suppongo, dovrebbe essere il pensiero cristiano. Adesso noi, da vivi – dice san Paolo –, vediamo Dio, Cristo, la Verità, confusamente, come in uno specchio, e per Enigmi: “Per speculum in Aenigmate” (1Cor 13, 12).
È straordinario come tanti diano per scontato il senso di questa frase così sibillina. Che vuol dire “come in uno specchio”?
Si risponde: vediamo tutto rovesciato. Lo specchio, si dice, inverte gli oggetti. Vero: ma ce li distorce in modo assai veniale e moderato. La destra prende il posto della sinistra, tuttavia il sotto resta dov’è, e pure il sopra. Il dietro resta dietro, il davanti, davanti: non è come in “Loterie Clandestine”, la litografia di Alberto Savinio, o come nei quadri intellettuali di Magritte.
Ora, dunque, “come in uno specchio”; dopo la morte, vedremo “faccia a faccia”. Non ci sta dicendo, Paolo, che nello specchio scorgiamo Iddio, ma non “faccia a faccia”, bensì in un riflesso indiretto, “nascosto”, perché Lui, il Signore, è alle nostre spalle? È come se ci stesse rivelando: al contrario di quello che accadde a Mosè sul Sinai, il Credente che ha accesso a Cristo, fintantoché rimane vivo, è lui, stavolta, che mostra le spalle, il “di dietro” a Dio, alla Verità. Rispetto a Esodo, sembrerebbe allora una rivoluzione copernicana.
Dio, è come se ci stesse alle spalle. “Si voltò e vide…”, è la formula – lo rileva Zolla – che accompagna, nella Scrittura, ogni Visione corretta, “divina”, dei Profeti. Per gli altri, i non-veggenti, i curiosi, i figuranti, rimane valida la lezione di Genesi, 19: Edith, la moglie di Lot, si dimostrò indegna di “voltarsi” e di vedere all’opera il Signore mentre radeva al suolo Sodoma. Così, fu trasformata in sale. La “statua” d’Edith – nella quale coincidevano corpo e sepolcro – veniva ancora leccata dalle capre palestinesi, in pieno medioevo.
Sfogliando Rilke [“Su Dio”, in Del Paesaggio e altri scritti], troviamo un passo che ci introduce in altre ipotesi e ci avvicina forse al senso riposto delle visioni di Friedrich: “Chissà, mi chiedo, se noi non emergiamo di continuo, per così dire, di dietro le spalle degli dei; separati dal loro viso sublime e raggiante solo dalla loro stessa persona; vicinissimi a quell’espressione che bramiamo, ma posti dietro di essa, e se questo vuol dire solo che il nostro viso e le sembianze divine guardano in una stessa direzione, sono una medesima cosa, come potremo dunque muovere verso Dio dallo spazio che egli ha dinanzi?”.
L’abbraccio salvifico è dunque impossibile, finché Iddio sarà davanti a noi. E ci volgerà sempre le spalle.
II- Nell’Arte (come nella Letteratura, come nel Fantastico), spesso è adombrato un rapporto tra il Creatore e le sue creature, che una volta indagato ci riconduce inevitabilmente all’Enigma di Paolo e di Mosè. Un gioco di specchi, sguardi, schiene, torsioni, lega l’artista al suo modello: similmente Iddio Onnipotente, che è sia Artefice e Artista, sia Modello delle nostre congetture, si comporta con chi ardentemente cerca di “vederlo”.
Vermeer, a esempio, non fissava direttamente i soggetti da dipingere, ma ritraeva l’immagine che questi riflettevano nello specchio; perciò in quadri come “Il pittore e la sua Modella” introdusse se stesso di spalle, rovesciando ogni consueta prospettiva. E Italo Calvino ci ricorda che “Claude Lorrain dipingeva dando le spalle al paesaggio, che vedeva riflesso in uno specchietto convesso, traendone effetti di remota vaghezza”. Il pittore, solo “da Tergo” poteva ritrarre la Natura, la cui flagranza altrimenti troppo esplicita l’avrebbe disturbato.
Ma soprattutto l’opera di Caspar David Friedrich può essere, nel caso nostro, rivelatrice. Le figure dei suoi quadri ci volgono “le terga”, come altrettanti Dèi che passeggino sul Sinai.
Fichte – profeta dell’ “Io” –, cominciava le sue lezioni esortando: “Signori, guardino il muro!”. E, dopo una pausa: “Signori, guardino se stessi che guardano il muro!”. “Esasperazione, estasi, amore, e cose simili”, scrive da parte sua Roquairol nel Titano di Jean Paul, “li guardo dall’alto del mio Io. Poi guardo di nuovo Me nell’atto di guardarli…”. Nei quadri di Caspar David Friedrich vediamo applicata proprio questa stessa Utopia del “Doppio Sguardo”.
Friedrich sembra si sia dipinto là dentro, idealizzandosi, come “spettatore”. Lo ha fatto fichtianamente: cioè “guardando se stesso” mentre “guarda” la natura. Sui picchi innevati e vertiginosi, oppure davanti al sublime mare in tempesta, i suoi “modelli” non sono altro che “repliche” e declinazioni di se stesso.
Sono “autoritratti”: per questo non possono voltarsi. Si scoprirebbe che hanno tutti le sue stesse fattezze.
Aggiungo: in quanto idealizzazione del “Soggetto” che si immerge nel mistero della Natura, della Vita, tutti i suoi personaggi hanno anche il volto di chi li guarda – il volto dello “spettatore”, cioè, di chi fruisce l’Arte. Il vostro, il mio. Ci fulminerebbe, allora, se si voltassero, il loro/nostro sguardo di Medusa.
Lo specchio paolino, se si scioglie l’Enigma, somiglierebbe dunque quello maneggiato da Perseo per uccidere Gorgona? Ma siamo noi il pericolo e noi il Mistero, dentro quel riflesso.
Perché una veduta “da Tergo”, è sempre una veduta en abîme. Una visione che ci inquieta, istillandoci un sospetto: che mentre noi guardiamo qualcuno che ci mostra le “terga”, noi stessi stiamo mostrando le spalle a qualcun altro. A chi? Un romantico ombroso (come Friedrich, come Jean Paul Richter, come E.T.A. Hoffmann) direbbe: le stiamo volgendo al nostro Doppio. A un altro Me Stesso.
Allora: lo specchio “magico” di Paolo non ci dice, appunto, che adesso confusamente, alle nostre spalle, vediamo Qualcuno che finché siamo vivi non riusciremo a distinguere bene, ma che poi, dopo morti, ci apparirà come il nostro, celeste, Sosia?
Dante stesso, nell’ultimo approdo del Paradiso, non ha forse indugiato proprio su una simile “alta Fantasia”? Giunto a calcare l’ultimo, inaccessibile, gradino della sua scalata al Paradiso, scrutò nei Cerchi della Trinità il volto di Gesù Cristo, il Dio-Uomo, ma “come in uno specchio”: riconoscendo in Lui tutto il genere umano e quindi se stesso.
Era così anche il Dio di Mosè? era in tutto e per tutto identico a Mosè, era il suo Doppio? Poteva il Signore rivelare al suo servo questo segreto così imbarazzante per un Dio?
Perciò (ma forse) gli si mostrò solamente “da Tergo”.
« … Io vidi il mio Signore con l’occhio del cuore.
Gli chiesi: chi sei?
Rispose: Te! …»
Sono versi di una poesia del musulmano Hallaj.
[in copertina: Der Wanderer über dem Nebelmeer di Caspar David Friedrich (particolare)]