I- Gesù stesso si è definito come lo “Sposo” (Marco 2, 19, ma anche Matteo 22, 1-14 e 25, 1-13). La Chiesa è la sua sposa – in senso figurato; ma “Spose di Cristo”, soprattutto, si sono sempre chiamate le donne che, seguendo una vocazione religiosa, hanno consacrato la loro verginità al Figlio di Dio, entrando nei conventi e nei monasteri. Molto spesso si è visto, nella storia di quelle Anime, che esse intendono il loro titolo in senso meno simbolico o onorifico di quanto si possa credere, mentre realmente – e letteralmente – bruciano d’Amore per il loro coniuge celeste. Elette, tra tutte, sono le Mistiche, cui lo Sposo riserva un trattamento amoroso particolare ed esclusivo.
Le Religiose (novizie o professe che siano) trovano naturale mantenersi pure e fedeli al Cristo mentre sono in vita, allo scopo di godere, più tardi, appieno, dell’Amor Sacro (ma comunque, coniugale) che spetta loro in Paradiso. Le più esplicite tra le consorelle hanno chiarito che in Cielo le attende una totale, individuale, intimità col loro ubiquo Coniuge.
Nei primi tempi del Cristianesimo, annoverare in famiglia, una monaca poteva diventare motivo di vanità nelle ricche case romane. Spinte, anche a forza, le fanciulle a entrare nei conventi, s’acquisivano seduta stante “Congiunti” e “Parentele” d’inarrivabile blasone. San Girolamo [vedi l’Epistola XXII ad Eustochium, capitolo 20] propose a Paola, illustre vedova romana, di consacrare al Cristo la verginità di sua figlia Eustochio, facendole balenare la possibilità d’esser chiamata, da allora in poi, la “Suocera di Dio”: “Grande tibi beneficium præstitit. Socrum Dei esse cœpisti…”. E, racconta il Gibbon: “Paola cedette alla suadente eloquenza di Girolamo”.
Non dobbiamo stupirci della dimensione spropositata, ultraterrena, di questa proposta di “Famiglia allargata”. In effetti è così: la suora, è sposa di Cristo, cioè di Dio; e Dio è quindi il genero di sua mamma, e finisce a far parte dell’Albero Genealogico famigliare.
II- Lo storico Juan Antonio Llorente riferisce il caso di una fanciulla di Piedrahita – ma educata in Salamanca –, di rare doti cristiane, la quale, per il fervore inusitato col quale accompagnava le sue devozioni, finì nel mirino della Santa Inquisizione. Si era nel 1511 e il processo che ne seguì fece assai scalpore.
«Ella pretendeva di vedere continuamente Gesù Cristo e Maria Santa Vergine e parlava loro, anche in presenza di estranei, come se le fossero accanto […]. Vestiva l’abito di Beata, o Religiosa dell’Ordine Terziario di san Domenico. Si presentava come sposa di Gesù Cristo e, persuasa che Maria Santissima l’accompagnasse dappertutto, si arrestava ad ogni uscio che intendeva valicare, scansandosi come volesse cedere il passo a qualcuno che la seguiva, e assicurava che la Madre di Dio la invitava a passare per prima, in qualità di sposa di Dio, suo Figlio, onore ch’ella rifiutava ostentando umiltà, e dicendo a voce abbastanza alta per esser udita : “Oh, Vergine, se tu non avessi partorito il Cristo, io non avrei mai ottenuto d’esser la sua sposa; conviene allora che la madre del mio sposo passi davanti a me”».
Il re di Spagna, visto che il popolo era convinto che la giovinetta facesse miracoli, consultò prima il Grande Inquisitore, e poi il Papa, non sapendo come comportarsi. La piccola santa fu esaminata più volte; non si giunse però a un verdetto, mai dirimendo se fosse animata dallo spirito divino, piuttosto che posseduta da un demonio. I vescovi stabilirono che la Provvidenza avrebbe deciso per loro: bastava aspettare un po’ di tempo. Questa esitazione permise al sovrano, che era certo della santità della fanciulla, di sottrarla a ogni altra indagine futura; dopo di che nulla si seppe più delle sue estasi.
Secondo lo specialista di malattie mentali Calmeil, la ragazza soffriva, in termini clinici, di uno “stato illusorio”; e la cagione di quelle turbe risaliva agli spossanti esercizi spirituali e alle penitenze alle quali ella sottoponeva la sua acerba costituzione.
III- Nel Seicento, in Francia, comparvero veri e propri contratti di matrimonio tra il Signore Gesù Cristo e le aspiranti che facevano voto di donarsi completamente a Lui. Donne comuni, non solo religiose che avevano scelto il chiostro per amor Suo.
Waree, nelle sue Curiosités Judiciaires, trascrive uno di questi atti, di cui fu ideatore e notaio un carmelitano scalzo di Orléans, fra’ Arnoux di san Giovanni Battista:
“Io, Gesù, Figlio del Dio vivente, sposo delle anime fedeli, prendo mia figlia Madeleine Gasselin come mia sposa, e le prometto fedeltà, e di non abbandonarla giammai, e di concederle come dote e favore la mia Grazia, in questa vita, promettendole la mia Gloria in quella futura, e di renderla partecipe dell’eredità di mio Padre.
A’ffe di ciò, io ho firmato questo contratto irrevocabile pel tramite della mano del mio segretario. Fatto in presenza del mio Padre Eterno, del mio amore, della mia degnissima madre Maria, di mio padre san Giuseppe, e di tutta la mia corte celeste, l’anno di grazia 1650, il giorno di san Giuseppe, mio padre”.
Seguivano le firme dello Stipulatore e dei Testimoni: “Gesù, lo sposo delle anime fedeli. – Maria, madre di Dio. – Giuseppe, marito di Maria. – l’Angelo Custode. – Maddalena, la dolce amante di Gesù. – Questo contratto è stato ratificato dalla Santissima Trinità, questo stesso giorno del glorioso san Giuseppe, questo stesso anno”.
In calce si leggeva: “Frate Arnoux di san Giovanni Battista, carmelitano scalzo, indegno segretario di Gesù”.
Naturalmente anche l’altra contraente doveva esprimersi per iscritto accettando tutti i vincoli imposti al Matrimonio: “Io, Madeleine Gasselin, serva indegna di Gesù, prendo il mio amorevole Gesù per isposo, e Gli prometto fedeltà, e che non avrò mai altri che lui, e in pegno della mia fedeltà Gli dono il mio cuore”, etc, etc.
Madeleine Gasselin onorò naturalmente il suo contratto; era però già sposata con il Signore di Vergier, procuratore di Orléans, che ebbe a eccepire sul suo infrigidimento, visto che dal giorno di san Giuseppe ella continuò per un anno a ignorare le sue attenzioni. Se ne lamentò con i superiori di Frate Arnoux, riebbe sua moglie, ed ella “rientrò nei suoi doveri”.
Il carmelitano scalzo pare sia stato severamente punito; non per l’atto in sé, giuridicamente ineccepibile, ma per le conseguenze sotto il tetto coniugale di quell’imbarazzante bigamia.
[in copertina: La Trinità, san Girolamo, santa Paola e santa Eustochio, di Andrea del Castagno)