IV- L’Adulterio dove meno te lo aspetti
Il Matrimonio, pone i coniugi in una condizione ambigua che le autorità cristiane sono portate a giudicare con sospetto. L’eccesso di promiscuità, l’assoluta disponibilità del talamo – presente in ogni casa – a ogni ora del giorno e della notte, il reciproco desiderio che non conosce letargo né soste, le ”avances” consentite, se non favorite, dal Sacramento stesso, un vago sentore di Lussuria, ecc, ecc., doverosamente suscitano l’apprensione, se non il disgusto, dei Padri della Chiesa.
Se ne stupisce Luis Buñuel: “San Tommaso arrivava perfino a pensare che l’atto d’amore tra marito e moglie costituisca quasi sempre un peccato veniale; è impossibile infatti spazzar via dalla mente ogni concupiscenza”.
A nome di tutti i Santi che si sono occupati della spinosa questione, sancisce san Girolamo: “Adultero è colui che è troppo focosamente attratto da sua moglie”.
Secondo Thomas Müntzer – lo sostiene Lutero –, chi è coniugato può commettere illeciti atti di libidine anche fornicando solo con la propria legittima sposa. Infatti Müntzer insegnava che un “marito non può congiungersi con la moglie, se prima non fosse stato informato da una rivelazione divina che da questo coito avrebbe avuto un figlio santo”. Le donne sposate che seguivano i suoi precetti confessavano pubblicamente di essere state fino allora le “puttane” del proprio marito.
Anche in epoca borghese, assai più laica, si riconoscevano certi “peccati”, a chi contraeva un matrimonio: l’occhio è tentato di continuo dalla visione scollacciata; il pudore s’allenta, l’epidermide non è più un tabù, l’irruzione nell’intimità, acconsentita. Allora, paternamente, ci mette in guardia Balzac, anatomopatologo della vita coniugale: “l’uomo che entra nel gabinetto di toeletta di sua moglie, è un filosofo o un imbecille”.
Non tanto perché rischia di sorprendervi un amante, ma per la visione a cui rischia di assistere.
V- “Quante volte?“: Se il Legislatore si nasconde tra le coltri
A Atene, l’assiduità del dovere coniugale era stabilita dalla Legge di Solone: “tre volte al mese”. Tra gli Ebrei, “la Mishnah comanda che il marito, giovane e robusto, e che non lavora, vi adempia una volta al giorno. Per l’abitante di città lo fissa a due volte la settimana, e una per il contadino, una volta ogni trenta giorni per il cammelliere e ogni sei mesi per il marinaio; ma ne esenta chi si dedica allo studio, e il dottore. La moglie che l’ottenesse una volta ogni settimana, non poteva chiedere il divorzio”. A Roma, invece, l’abuso del talamo dipendeva dal capriccio dei mariti.
Passò ai posteri, nel secolo decimosesto, la disputa spagnola sulle intemperanze matrimoniali, che sfociò pure in una inedita legislazione in materia.
Ce ne parla Montaigne: una donna di Catalogna si lamentò pubblicamente “degli assalti troppo assidui di suo marito”, e la faccenda fece tanto umore che giunse a Corte; alle lagnanze della coniuge, “il marito, uomo davvero brutale e snaturato”, rispose “che anche nei giorni di digiuno egli non avrebbe potuto far a meno di dieci”. A questo punto “intervenne quel famoso decreto della regina d’Aragona, col quale, dopo matura riflessione, quella buona regina, per dar regola ed esempio al tempo stesso della moderazione e della modestia richiesta in un giusto matrimonio, ordinò come limiti legittimi e necessari il numero di sei al giorno; tralasciando e trascurando molto del bisogno del suo sesso, per stabilire, ella diceva, una norma agevole e quindi permanente e immutabile”.
VI- Ci sono pure casi in cui l’amore, il troppo amore, lacera le famiglie, frapponendosi fra i coniugi come una mannaia.
Una donna di buona nascita e cultura – secondo un autore di cui Mouchet non fornisce il nome – aveva un marito “così vivace, così ardente, così amoroso, ch’ella non riusciva a far fronte a tutti i suoi assalti”.
Conscia dei propri doveri coniugali, si sforzò per un certo periodo di sottoporsi, per obbedienza, agli amplessi multipli cui il marito la condannava giorno dopo giorno. Però, al suo confessore raccontò con imbarazzo il suo disagio, e aggiunse – felice intuizione femminile – che vedeva il marito deperire a vista d’occhio a causa delle sue usuranti galanterie.
Il confessore nulla eccepì sui connubi, ma rimproverò aspramente la sua protetta perché, con la sua condotta consenziente, metteva in pericolo la salute e addirittura la vita del suo sposo. Questa donna amava il marito teneramente, anche se le sue pretese la disgustavano, per cui chiese una legale separazione adducendo come motivo “il suo desiderio di conservarlo in vita”, ma senza dare altre spiegazioni.
La causa fece scalpore perché non se ne conoscevano precedenti. Al termine d’un regolare processo, i giudici, scrive Mouchet, rigettarono la tesi della donna, ritenendo che non fosse possibile “accordare alla donna quello che chiedeva, e dare così l’esempio unico d’una separazione causata dall’opera dell’Amore”.
[CONTINUA DOMANI, QUARTO GIORNO DELLA “SETTIMANA DEL MATRIMONIO”]
[in copertina: Il Bacio della Sfinge, di Franz von Stuck]